Comunicati
Fiducia nell'interpretazione dei giudici
Sebastiano Ardita ha scelto, come strategia difensiva per Nino Di Matteo, di “buttarla in politica”. E’ una scelta legittima; forse non opportuna (al collega Di Matteo verosimilmente non mancherebbero argomenti giuridici per difendersi nel processo disciplinare), ma della opportunità di questa scelta sono arbitri i soli interessati.
Tuttavia, nel buttarla in politica, il collega Ardita ritiene di sollevare due questioni – come scrive nel blog di Liana Milella – sulle quali chiede risposte:
a) “la questione specifica di colleghi di valore esposti in prima linea, per i quali eviterei volentieri – afferma – la sottoposizione a procedimenti basati su argomenti di natura interpretativa”;
b) la più generale questione del sistema disciplinare: spietato con taluni e indulgente con altri e, al fondo, fomentatore di conformismo.
A proposito della seconda questione, non sarà certo sfuggita al collega la netta presa di posizione di Canepa e Maccora – e prima ancora di Area – contro un sistema disciplinare “a doppia velocità”, talvolta inesorabile e talaltra oltremodo prudente pur al cospetto di fatti ben più gravi, come quelli attinenti alla “questione morale”.
Quello che qui preme, però, non è rivendicare primogeniture nella denuncia delle inadeguatezze e distorsioni di un sistema disciplinare che sa anche essere molto ingiusto; preme, piuttosto, la prima delle questioni poste da Ardita, perché gli stessi termini in cui egli la pone rivelano un dato culturale che fa la differenza tra lui e noi.
Ardita “eviterebbe volentieri” di sottoporre a procedimenti disciplinari “basati su argomenti di natura interpretativa” i colleghi di valore esposti in prima linea.
I colleghi esposti nelle indagini e nei processi di criminalità organizzata hanno sempre avuto e sempre avranno tutta la nostra solidarietà, convinta, fattiva e non solo verbale.
Ma si può ritenerli, solo per questo, sottratti alla responsabilità disciplinare? Una risposta affermativa può reggere esclusivamente da un punto di vista corporativo (o microcorporativo); dal punto di vista del popolo, in nome del quale quotidianamente si amministra la giustizia, certamente no. A qualsiasi potere deve necessariamente corrispondere una adeguata responsabilità, perché in ciò risiede una fondamentale garanzia per chi è soggetto al potere. E’ un fatto di democrazia e di civiltà.
Ecco, la differenza tra il collega Ardita e noi sta tutta in quei due diversi punti di vista.
Né le differenze si attenuano limitando la franchigia dei magistrati “meritevoli” ai soli procedimenti, come puntualizza Ardita, “basati su argomenti di natura interpretativa”. La gente comune viene posta sotto processo, talvolta, anche sulla base di “argomenti di natura interpretativa”, perché il diritto è fatto anche, fatalmente, di interpretazione. Ai cittadini normalmente chiediamo di avere fiducia nell’interpretazione dei loro giudici; è dunque giusto chiederlo pure ai magistrati, anche a quelli più esposti e valorosi. E’ un fatto di eguaglianza.
Il Comitato Esecutivo di Magistratura democratica
17 aprile 2013
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