La riforma del Testo Unico Dirigenza giudiziaria: il Csm ha rinunciato a un radicale cambio di metodo

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La riforma del Testo Unico Dirigenza giudiziaria: il Csm ha rinunciato a un radicale cambio di metodo


Oggi il Consiglio superiore della magistratura ha deliberato la revisione del Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria. La maggioranza ha scelto di non mutare metodo e di non ascoltare la domanda di cambiamento reale che proviene da tutta la magistratura.


Oggi il Consiglio superiore della magistratura ha deliberato la revisione del Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria. La riforma del Testo Unico della dirigenza giudiziaria era imposta dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 44/2024 (c.d. riforma Cartabia). Essa, soprattutto, era imposta dalla necessità di riformare un sistema che ha messo in discussione l’indipendenza interna della magistratura, la legittimità e la legittimazione dell’operato dell’organo di governo autonomo della magistratura e, non ultimo, la percezione che ciascun magistrato ha del proprio lavoro. Si tratta di scenari che sono stati rivelati in modo estremamente crudo dagli scandali che hanno investito la magistratura negli ultimi anni.


Si è arrivati alla discussione in Plenum con due proposte che marcavano tra loro significativi punti di differenza. La scelta dell’una o dell’altra opzione sarebbe stata un elemento capace di rivelare quanto sia autentica la volontà di cambiamento che ogni componente della magistratura va predicando da anni.


Gli obiettivi necessari di qualsiasi riforma del Testo unico dirigenza giudiziaria


La riforma del Testo unico della dirigenza giudiziaria era dunque ineludibile. Nel perimetro disegnato dalla normativa primaria, qualunque riforma del Testo unico della Dirigenza giudiziaria deve perseguire due obiettivi minimi


-        in primo luogo, disegnare una fisionomia di dirigenza giudiziaria da concepire come funzione di servizio all’esercizio della giurisdizione e non come posizione di potere; 


-        in secondo luogo, rendere le decisioni del Consiglio superiore della magistratura meno esposte alle negative influenze delle dinamiche clientelari, che tutti – quantomeno a parole – dicono di volere superare. Le decisioni del CSM devono essere maggiormente prevedibili, leggibili e comprensibili: prevedibilità, leggibilità contribuiscono alla legittimazione stessa delle singole decisioni e – in definitiva – alla stessa legittimazione dell’attività del Consiglio superiore della magistratura.


Oggi il Consiglio superiore della magistratura – contrariamente a quanto da noi auspicato – ha scelto di non cambiare passo accettando di sperimentare strade nuove.


Le ragioni per cui non ci ha convinto la proposta 1) [rel. Carbone-Paolini]


Oggi il Plenum del CSM – a maggioranza e con l’appoggio dei due gruppi maggioritari (AreaDG e Magistratura Indipendente) – ha approvato la c.d. proposta 1 (rel. Carbone-Paolini). Essa, pur nel dichiarato intento di irrigidire la discrezionalità del Consiglio superiore della magistratura, si mostra incapace di superare con l’incisività necessaria il problema cruciale che ha messo in così grave difficoltà la legittimazione delle singole decisioni del CSM. 


La proposta 1 non assicura decisioni maggiormente leggibili e prevedibili; né mette le singole decisioni al riparo da dinamiche clientelari e dal possibile arbitrio delle contingenti maggioranze consiliari. La proposta 1, poi, sollevava serie perplessità sotto il profilo della legittimità.  


L’art. 46-octies d.lgs. 160/2006 (come modificato dalla c.d. riforma Cartabia) dispone che il CSM nella valutazione dei candidati prenda in considerazione il merito, le attitudini e l'anzianità degli aspiranti (art. 46-octies, co. 1 e 2), determinando il rilievo da attribuire a detti parametri.


Ma è sufficiente scorrere l’articolato per comprendere che – soprattutto per gli uffici di grandi dimensioni – con l’approvazione della proposta 1 nulla cambierà per davvero. Il testo della proposta 1 abbonda di clausole “elastiche”, che fanno riferimento ad una “sostanziale equivalenza” degli indicatori (asseritamente) sovraordinati. La “sostanziale equivalenza” non consentirà di contenere in modo efficace i possibili abusi valutativi.


Vi è un’ulteriore ragione di grave perplessità rispetto alla proposta 1.  Essa introduce un sistema di pre-selezione della platea di candidati da valutare – di fatto reintroducendo il sistema delle fasce di anzianità – che avrà l’effetto di escludere ex ante dalla valutazione comparativa una serie di candidati; tale esclusione solleva perplessità sul piano della legittimità, in quanto effettuata in assenza di previsioni di rango primario che autorizzino l’introduzione di cause di esclusione di un aspirante dalla procedura comparativa.


Inoltre, la proposta di reintroduzione delle fasce – per come formulata – determina un duplice effetto contraddittorio rispetto alle stesse intenzioni dei proponenti: enfatizzando l’esperienza maturata in una specifica funzione, promuove un’idea di “percorsi di carriera” che ha l’effetto di introdurre nel corpo della magistratura ulteriori elementi di separazione, irrigidendo ulteriormente i passaggi dei singoli magistrati da una funzione ad un’altra (da requirente a giudicante e viceversa; da civile a penale e viceversa). Inoltre, rischia di privare di rilievo una significativa quota di esperienza professionale maturata nell’esercizio delle funzioni giudiziarie.


La proposta 1) ci sembra poi altamente problematica su un passaggio non trascurabile: l’art. 29, comma 5, della proposta attribuisce – ai fini delle procedure comparative – il rilievo di indicatore attitudinale principale agli incarichi di Capo dell’ufficio legislativo, di Capo dell’ispettorato generale e di Capo dipartimento del Ministero della giustizia (e ad altri incarichi fuori ruolo, qui non rilevanti). Si introduce così la possibilità di far pesare enormemente gli incarichi di diretta collaborazione (su nomina fiduciaria del Ministro della giustizia) nella procedura di comparazione degli aspiranti a ricoprire un ufficio direttivo. Si tratta di un esito preoccupante (che, a ben vedere, nemmeno può dirsi imposto dal testo dell’art. 46 nonies d.lgs. 160/2006, le cui previsioni avrebbero potuto trovare una ben più cauta concretizzazione a livello di normazione secondaria).


La proposta 2)  [rel. Miele – Forziati]: per un radicale cambio di metodo


Il gruppo di Magistratura democratica aveva sostenuto con convinzione un’altra proposta. 


Nel corso dei lavori consiliari e in coerenza con l’elaborazione maturata all’interno del gruppo di Magistratura democratica (da ultimo nel corso del Consiglio nazionale del 3 febbraio 2024 e del seminario del 13 aprile 2024), abbiamo sostenuto con convinzione la proposta 2), elaborata dai consiglieri Miele e Forziati (sostenuta, oltre che da Magistratura democratica, dal gruppo Unicost e dai consiglieri indipendenti Fontana e Mirenda). 


Pur nel contesto di diverse scelte obbligate dalla normazione primaria, la proposta 2 (rel. Miele-Forziati) aveva infatti il pregio di prendere sul serio molti dei nodi controversi che si agitano dietro ad ogni conferimento di incarichi direttivi e semi-direttivi.


La proposta Miele-Forziati avrebbe impresso un radicale cambio di metodo sul tema delle nomine, prevedendo l’attribuzione di un valore a ciascuno degli indicatori considerati dal legislatore (indicatori che sono il necessario oggetto della valutazione consiliare al momento delle singole decisioni). 


Al centro della discrezionalità non vi sarebbe stata più solo la – sempre opinabile – valutazione che si scatena sulle singole nomine, ma soprattutto la scelta dei criteri predeterminati che il CSM pone come auto-vincolo all’esercizio del proprio potere. La proposta Miele-Forziati avrebbe dunque introdotto una discrezionalità di sistema, al posto di una sistematica (e opinabile) discrezionalità. 


La proposta Miele-Forziati avrebbe avuto un ulteriore pregio: essa non avrebbe eliminato del tutto la discrezionalità consiliare, ma, prevedendo una maggiore cogenza del valore dei vari indicatori utilizzabili nella valutazione, avrebbe reso le decisioni meno esposte all’arbitrio


In tal modo, le decisioni del CSM sarebbero state immediatamente leggibili, comprensibili e censurabili dal corpo della magistratura (laddove vi fosse una censurabile valutazione di un indicatore). Ciò avrebbe contribuito al recupero di legittimazione dell’organo consiliare.


La proposta Miele-Forziati si proponeva poi di delineare una fotografia nitida dell’integrale profilo professionale di tutti i candidati: essa avrebbe attribuito il necessario rilievo – soprattutto per gli uffici specializzati – agli indicatori attitudinali, senza però trascurare il valore che è necessario riconoscere al positivo esercizio della funzione giudiziaria nel corso di tutta l’esperienza professionale. Si trattava di una scelta che va nel senso – da noi auspicato – della valorizzazione del quotidiano impegno profuso nell’esercizio della funzione giudiziaria come “valore in sé”. 


La sommatoria dei vari valori attribuiti agli indicatori attitudinali, a quelli di merito e a quelli relativi all’anzianità professionale avrebbe consentito di avere un’immagine “a tutto tondo” dei vari aspiranti: si sarebbe dato il dovuto rilievo ad anzianità e merito, senza trascurare le attitudini, comprovate dalle esperienze organizzative e ordinamentali, valorizzate secondo prevedibili indicatori ponderali. Ciò avrebbe limitato il rischio che alcuni aspetti della loro vita professionale potessero essere sminuiti o, peggio, addirittura trascurati.  


Soprattutto, la proposta Miele-Forziati avrebbe rappresentato un serio ostacolo a prassi distorsive cui troppo spesso abbiamo assistito, quando per un determinato ufficio si è enfatizzato il valore di un certo indicatore, salvo poi mutare repentinamente orientamento – secondo le convenienze – per un ufficio non dissimile. Prassi che hanno fatto nascere, naturalmente, sospetti sulla trasparenza delle scelte operate, con discredito dell’istituzione.


Sappiamo che nessuna regolamentazione potrà impedire alle persone in malafede di condizionare il fisiologico funzionamento delle istituzioni. Un sistema di discrezionalità più regimentata, però, avrebbe potuto rendere più difficili le distorsioni. 


Non esiste il sistema perfetto per contenere il malcostume, contrastare il carrierismo e perseguire l’efficienza. 


Tuttavia, la proposta Miele – Forziati, che oggi il CSM ha scelto di non approvare, avrebbe rappresentato il primo tentativo concreto di dare una risposta in termini di cambiamento reale alle domande di trasparenza, oggettività e moralità  che – quantomeno dall’Hotel Champagne in poi – la magistratura italiana continua ad attendere.


Perché di trasparenza si alimenta la fiducia che i magistrati debbono nutrire nell’organo di governo autonomo. 


Purtroppo, oggi, la maggioranza del Consiglio superiore della magistratura ha scelto di non mutare metodo e di non ascoltare la domanda di cambiamento reale che proviene da tutta la magistratura.

L'Esecutivo di Magistratura democratica

 

03/12/2024

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