Speciale XXI Congresso
L'intervento di Lucia Vignale
C’è una frase di Marcel Proust che sembra scritta proprio per noi. Dice così: “Non arriviamo a cambiare le cose secondo i nostri desideri, ma a poco a poco i nostri desideri cambiano”. MD voleva cambiare le cose secondo i propri desideri (un po' ci è perfino riuscita) ma a poco a poco i suoi desideri sono cambiati.
Siamo nati come forza di opposizione, ma presto ci siamo trovati ad essere forza di governo nella ANM. In questa veste abbiamo affrontato snodi cruciali dei rapporti tra Magistratura e Politica.
Così, a poco a poco, abbiamo perso un po’ di spinta ideale, siamo diventati una “corrente” e della corrente abbiamo finito per acquisire tutti i difetti lasciandoci coinvolgere in logiche spartitorie.
Questo ci ha fatto perdere consensi e, per recuperarne, abbiamo deciso di percorrere la strada di Area.
L’esperienza di Area è partita dall’idea che le correnti fossero un male e fosse necessario creare qualcosa di nuovo: un centro di aggregazione meno strutturato, più aperto, più “liquido”. Una “non corrente”.
Presto ci siamo resi conto però che così non poteva andare. Abbiamo capito che Area doveva avere organi rappresentativi.
Credo sia stata una decisione giusta, perché Area elegge consiglieri del CSM e manda i propri rappresentanti nella ANM e non avere soggetti politici di riferimento non rende gli eletti più liberi, non li rende affatto più indipendenti. Se va bene li rende più vicini ai colleghi che conoscono e stimano (quindi alle realtà territoriali da cui provengono); se va male li rende autoreferenziali.
Ed eccoci qui: abbiamo eletto un Coordinamento di Area, abbiamo uno Statuto di Area. Dal prossimo mese di Gennaio, ad Area dovremo iscriverci. Possiamo farlo nel modo che io e Roberto Arata abbiamo proposto o in un altro modo che il Consiglio Nazionale deciderà . Non credo sia così importante. E’ importante però che di questo passaggio MD sia protagonista, perché tornare indietro non è più possibile: significherebbe condannare il gruppo all’irrilevanza, spaccare l’unico pezzo della sinistra italiana che miracolosamente si è unito.
Adesso Area esiste, non è più una “non corrente” e siamo noi che l’abbiamo voluto, con deliberazione unanime, all’esito di ben due congressi.
E allora io qui, oggi, non voglio parlare più di Md e di Area. Non voglio parlare più dei contenitori, ma dei contenuti. Voglio parlare della nostra azione politica. Voglio tornare a parlare (come già feci - senza molto successo – al congresso di Roma) dell’art. 107 della Costituzione.
L’art. 107 della Costituzione dice che “i magistrati si distinguono tra loro soltanto per la diversità di funzioni” e nessun Governo ha mai ritenuto di doverlo modificare. Forse perché non ce ne era bisogno, forse perché quel principio poteva essere affievolito nei fatti o attraverso riforme ordinamentali. Proprio questo in concreto è avvenuto e in parte siamo stati noi a volerlo, quindi dobbiamo assumercene la responsabilità politica.
Volevamo la temporaneità degli uffici direttivi, la temporaneità delle funzioni, la temporaneità della permanenza in DDA, perché ritenevamo pericoloso concentrare troppo potere per troppo tempo in capo ad un solo individuo; perché credevamo nella magistratura come “potere diffuso”.
Poi abbiamo dovuto constatare che i diritti tutelabili ed azionabili erano aumentati, la loro tutela era diventata sempre più complessa, la necessità dell’approfondimento tecnico sempre maggiore e allora abbiamo cominciato a parlare di specializzazione.
Infine, abbiamo preso atto che il lavoro giudiziario era diventato massacrante per quantità e qualità, che l’efficienza era indispensabile e ci è parso che fosse un peccato disperdere professionalità acquisite.
Cercando di mettere insieme la temporaneità delle funzioni, con la necessità della specializzazione e l’esigenza di non disperdere professionalità abbiamo consentito che nascesse (dirò di più: abbiamo creato) una strana figura: quella del dirigente professionista eventualmente itinerante che inizia la propria carriera in una piccola Procura o in un Tribunale di provincia per finirla poi in una grande città.
Una individualizzazione del potere dunque: esattamente il contrario di ciò che volevamo (e la recente vicenda del “decreto proroghe” ne è un esempio eclatante).
Un giorno abbiamo perfino scoperto che uno di noi - si proprio uno di noi - aveva chiesto raccomandazioni ad un politico per passare da una Procura più piccola ad una più grande. Ma anche allora non abbiamo saputo fermarci a pensare. Ci è sembrato sufficiente dire che era un caso isolato. Un po’ come ha fatto la polizia quando si è scoperto cosa era successo a Genova nella scuola Diaz.
Ma forse non è un caso tanto isolato e non è vero che non siamo noi: siamo anche noi, siamo anche questo, perché siamo umani e, come diceva Terenzio, niente di umano ci è alieno.
E vado oltre: ci siamo mai interrogati seriamente sugli effetti che può produrre sull’indipendenza dei sostituti e sulle dinamiche interne alle Procure l’aspirazione ad entrare in DDA? A me pare di no. Non pensate sia un tema da affrontare? non credete che valga la pena chiedersi, anche nel settore delicato della Criminalità Organizzata, fino a che punto l’indipendenza interna ed esterna possono essere sacrificate in nome dell’efficienza?
Io penso che il tempo sia maturo per una riflessione seria. Dobbiamo guardarci in faccia e dirci che abbiamo sopravvalutato i magistrati. Non abbiamo pensato che renderli diseguali poteva essere pericoloso, che avrebbe messo in piedi un sistema clientelare, che quel sistema poteva travolgere l’Autogoverno.
Badate che il rischio è concreto: chi propone di scegliere per sorteggio i Consiglieri del CSM, riesce sempre di più a trovare ascolto e noi non possiamo liquidare il problema con sprezzante sufficienza. Chi lo fa (e ce ne sono tra noi) non vede la realtà che lo circonda o forse è troppo preso da se stesso per preoccuparsi di guardarla.
L’esistenza di una “carriera” ha introdotto un mutamento genetico nella magistratura italiana.
Abbiamo magistrati pieni di aspirazioni ed ambizioni, magistrati che programmano la propria carriera nei minimi dettagli, colleghi che analizzano ogni singola delibera, ogni singolo conferimento di incarico.
Ormai tutti i magistrati sono convinti che non si giunga a ricoprire determinati ruoli se non grazie ad accordi trasversali, rapporti amicali, raccomandazioni, clientele.
Questo mina la credibilità e l’autorevolezza dell’autogoverno e dunque la credibilità e l’autorevolezza della magistratura. Ci rende tutti più fragili, può renderci tutti meno indipendenti.
Ed eccoci dunque al tema del congresso, alle disuguaglianze: l’uguaglianza dei magistrati come garanzia di indipendenza; l’indipendenza della magistratura come garanzia dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Io credo che sia compito di questo congresso, lanciare proposte forti e chiare per combattere il carrierismo. Perciò vi invito a leggere con attenzione il documento della Sezione Ligure, a riflettere sulle proposte che vi sono contenute e a farle diventare, almeno in parte, le nostre proposte: le proposte con le quali MD, credibilmente e in modo riconoscibile, si presenta, con Area, alla magistratura tutta.
Mi sembra che abbiamo il dovere di assumere questa iniziativa: non perché siamo bravi, neppure perché siamo superiori, ma perché sopravvivere in un sistema di spartizione consociativa significherebbe rinnegare noi stessi.
Io spero che saremo capaci di farlo. Se così non fosse, l’idea che la politica giudiziaria non sia una giostra di potere, ma possa essere “arte del cambiamento” andrebbe persa e questo sarebbe davvero un delitto imperdonabile.
(4 novembre 2016)
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