Relazione della Segretaria generale
1. Una società più diseguale: il lascito della pandemia.
1.1. Poco più di due anni ci separano dal congresso di Roma.
Sul bilancio di questo periodo pesano le durissime prove affrontate dalla nostra comunità e le terribili sfide per la democrazia portate dalla pandemia e dal suo lascito.
Una crisi economica e sociale drammaticamente descritta dalle cifre sull’aumento del livello di povertà e sull’aggravarsi delle diseguaglianze.
Oltre due milioni di famiglie in povertà assoluta, e oltre 5,6 milioni di persone, secondo il rapporto dell’ISTAT dello scorso giugno riferito al 2020, rispetto ai 4,6 milioni del 2019. Dal 2005 è il livello di povertà assoluta più elevato.
Peggiora il quadro dei minori in condizioni di povertà[1], e per chi vive nel nostro paese da straniero[2].
L’emergenza sanitaria ha portato più disuguaglianza per le donne. Nella risoluzione dello scorso febbraio[3], il Parlamento Europeo ha parlato di una crisi sanitaria con “un connotato di genere” e delle sue conseguenze con “una chiara prospettiva di genere”: dall’allarmante aumento della violenza e delle molestie alle pesanti ricadute in termini di perdita di posti di lavoro (che ha riguardato in prevalenza i settori dove maggiore è l’occupazione femminile), alla maggiore esposizione ai rischi sanitari negli ambiti - come quello dell’assistenza sanitaria - con prevalente presenza di donne lavoratrici.
Le stime dell’Istat, al marzo 2020, indicavano in circa 8 milioni i lavoratori sospesi (1/3 di tutti gli occupati) nei settori di attività più colpiti dalla crisi, poco più della metà con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, per una quota molto consistente senza adeguate forme di protezione in caso di disoccupazione e con redditi di lavoro molto bassi.
L’accesso al lavoro e la tutela dei diritti dei lavoratori, la dignità del lavoro e dei lavoratori, la sicurezza sul lavoro: condizioni essenziali per garantire pari dignità alle persone, coesione sociale, e la tenuta stessa della democrazia.
Condizioni che la precarizzazione e la liberalizzazione, la progressiva erosione delle tutele e delle garanzie, le grandi trasformazioni del mercato e quelle portate dalle nuove tecnologie hanno strutturalmente compromesso, con effetti oggi destinati a moltiplicarsi come risvolto sociale ed economico della crisi sanitaria.
L’inaccettabile sequenza di morti sul lavoro fa parte da tempo della cronaca quotidiana del nostro paese e di questa quotidianità fanno parte i lavoratori precari e quelli che, lavorando, sono a rischio di povertà.
Di questa quotidianità fanno parte i riders e i braccianti; i lavoratori spesso giovani e i lavoratori immigrati, sfruttati e vessati nel circuito del lavoro nero e della criminalità organizzata.
È stato necessario, per descrivere tutto questo, coniare nuove parole: il lavoro schiavistico e paraschiavistico.
Nessuna prospettiva di rinascita e di ripresa può immaginarsi se la politica non assumerà il lavoro come priorità assoluta e non darà risposte in termini di accesso al lavoro, di tutele e di garanzie, di stabilità del posto di lavoro, di diritto a un salario minimo.
E se l’Europa non affronterà il lascito della pandemia perseguendo con determinazione gli obiettivi dichiarati nei documenti sul Recovery Plan, di coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione. Se – come ha scritto Ezio Mauro – questo non sarà il momento delle scelte, e non solo degli strumenti tecnici; della politica e di una nuova visione del futuro basata sugli obiettivi di una nuova agenda per un'Europa sociale forte, incentrati sulla tutela di ogni individuo e, in particolare, delle persone più vulnerabili e su una ripresa inclusiva e giusta dal punto di vista sociale[4].
1.2. Noi siamo i giudici di quest’epoca, chiamati ad affrontare con gli strumenti del diritto le questioni più controverse, ad interrogarci sul ruolo da svolgere rispetto ad un bilanciamento di valori che la crisi ha reso spesso ancora più difficile, e a confrontarci con le tensioni alle quali la giurisdizione è sottoposta nella sua funzione di tutela e di garanzia dei diritti fondamentali delle persone.
Noi siamo i giudici di una democrazia che ha scritto nel suo patto fondativo la promessa dell’eguaglianza emancipatrice come promessa eterna, mai realizzata, e mai realizzabile una volta per tutte.
Una promessa che esige il confronto con la concretezza dei problemi che la realtà porta nelle aule di giustizia; che richiede la comprensione di tutti gli aspetti di complessità del presente e, per questo, lo sguardo fuori dalle aule, attento alle grandi trasformazioni in atto e ai cambiamenti, come quelli che oggi descrivono una società sempre più drammaticamente diseguale.
La nostra storia, la storia di Magistratura democratica ci ricorda che non si può essere soli ad affrontare le sfide. E queste sfide. Occorre costruire fronti più ampi; cercare nell’apertura al punto di vista esterno le sinergie culturali necessarie per comprendere ed analizzare il presente; agire nel contempo dall’interno, per quel confronto dialettico necessario a far vivere, attraverso una continua verifica, le nostre certezze.
Dobbiamo essere e sentirci giudici e cittadini europei, impegnati a promuovere un progetto d’Europa che non tradisce se stessa e gli impegni assunti nella sua Carta.
Che non mette a rischio il futuro della sua democrazia, come in passato e negli stessi luoghi in cui quel passato “è già successo”, ricostruendo frontiere e alzando muri[5].
Se le modifiche apportate ai decreti sicurezza per il sistema dell’accoglienza ed integrazione hanno operato in direzione di quel riallineamento alla Costituzione che aveva indicato il Presidente della Repubblica, nessuna inversione di rotta si vede rispetto alle politiche nazionale ed europea di esternalizzazione delle frontiere e di affidamento della loro “gestione” a paesi terzi, come la Turchia e la Libia. Una politica che ci pone di fronte a gravissime violazioni dei diritti fondamentali: non solo campi di detenzione arbitraria e tortura ma respingimenti in violazione degli obblighi internazionali sul soccorso in mare. Sono più di 13.000 le persone riportate in Libia quest'anno: un numero che – come ricordavano l’OIM e l'UNHCR nel comunicato congiunto del 16 giugno dopo l’ultimo episodio dei 270 migranti della nave Vos Triton – ha già superato il totale di tutti i migranti intercettati in mare nel corso dell’intero 2020, e riportati indietro verso luoghi di condizioni disumane, dove spesso sono destinati a scomparire come “merce” nelle mani dei trafficanti di esseri umani.
In quei luoghi e nel nostro mare, lungo ogni rotta oggi percorsa dai migranti fra indicibili sofferenze ci giochiamo il futuro della democrazia europea, e dell’Europa quale “comunità” basata sul primato dei diritti fondamentali, e sui valori universali e indivisibili della solidarietà e pari dignità delle persone.
Il futuro che deve ritrovare la visione e lo spirito dei Padri fondatori, al quale il nostro congresso – in un momento di scelte e sfide decisive per l’Europa- vuole richiamarci.
Guardando all’isolamento di cui oggi la magistratura soffre nel paese, alle sue divisioni, alla chiusura e al ripiegamento del suo dibattito interno, il confronto con la complessità del presente ci sembra un compito immane. E forse lo è.
Ma i giudici non possono farsi da parte, schivando i problemi che la concretezza del reale pone dinanzi a loro. E in questo difficile contesto, Magistratura democratica dovrà fare la sua parte, usando tutta l’intelligenza collettiva di un gruppo che in molte delle sfide del presente può ritrovare l’attualità del progetto all’origine della sua avventura e, nell’attualità di questo progetto, il senso della sua presenza.
2. Crisi della magistratura, crisi dell’autogoverno: una crisi a più facce, ma la giurisdizione è oggi la vera posta in gioco.
2.1. Celebriamo il nostro XXIII congresso nel pieno di una difficile stagione per la magistratura e per la giurisdizione.
La crisi innescata dallo scandalo delle nomine e dalle gravissime cadute etiche svelate dall’inchiesta di Perugia ha mostrato in questi mesi pericolosi segnali di avvitamento intorno ad un intreccio, sempre più inestricabile, fra cause irrisolte delle degenerazioni e delle cadute; analisi incompiute e letture strumentali; proposte di cure sbagliate, tentativi di rinnovamento di facciata e progetti concretissimi, capaci di travolgere l’assetto costituzionale voluto a tutela di una giurisdizione indipendente.
Dopo l’iniziale rivolta, e la richiesta di una forte reazione allo scandalo appena esploso venuta dalle assemblee autoconvocate, la magistratura appare immobile, percorsa da divisioni e contrapposizioni al suo interno, incapace di dare segnali riconoscibili di una svolta unitaria verso il necessario cambiamento.
Fra tentativi di letture consolatorie, distinguo di breve respiro, e spinte antisistema, nel dibattito interno è mancata un’analisi condivisa e un’assunzione di responsabilità collettiva rispetto alla necessità di affrontare i tanti nodi venuti al pettine. E da questo obiettivo ci allontanano anche le letture in apparenza più radicali, che accomunano indiscriminatamente nella riprovazione singoli, gruppi, protagonisti delle diverse stagioni dell’autogoverno e dell’associazionismo.
Nel nostro dibattito e nella sua rappresentazione esterna, abbiamo visto prendere sempre più corpo un modello di magistratura fatta di singoli, indipendenti perché estranei alle esperienze collettive: una nuova dimensione di individualismo difensivo, e di protagonismo di quanti si propongono come la parte sana di un corpo malato, in grado di riscattarne l’immagine perché, da sempre, soli, estranei ad ogni esperienza di aggregazione e alle inevitabili contaminazioni che da queste derivano.
La magistratura di questa stagione di crisi sembra aver smarrito la sua identità di soggetto collettivo e non riesce a ritrovarla nei luoghi dove in origine si è costruita: nell’esperienza associativa e nell’autogoverno, luoghi dove si è espresso l’impegno comune e l’assunzione di responsabilità per una magistratura all’altezza del suo ruolo; luoghi di confronto, dove il pluralismo delle idee ha operato da controspinta alla chiusura corporativa.
In questi luoghi avremmo dovuto ritrovare la spinta a far ripartire una riflessione sui cambiamenti culturali subiti per effetto di nuove forme di carrierismo e di corporativismo, e sulle ragioni ed effetti della crisi che ha investito il nostro sistema di rappresentanza.
E in questa lunga, difficile stagione si è aperto un fronte ancora più preoccupante: la frequenza di indagini per fatti gravi e gravissimi, che coinvolgono giudici e pubblici ministeri, esige risposte immediate agli inquietanti interrogativi sull’attualità, gravità ed ampiezza della nuova questione morale. Risposte che non si esauriscono nelle sanzioni penali e disciplinari: non possiamo più rinviare una riflessione sugli scenari che si intravedono dietro inchieste, arresti, contesti ambientali nei quali fatti e condotte si collocano, e sulla necessità di fare luce su tutte le zone d’ombra dove si annidano i fattori di degenerazione.
2.2. Abbiamo scelto come tema centrale di riflessione del congresso il rapporto fra magistratura e democrazia: in questo rapporto pensiamo che si possa trovare una chiave di lettura di tanti aspetti della crisi, dei suoi effetti e dei suoi risvolti sulla legittimazione democratica della magistratura.
Salvatore Mannuzzu parlava dell’accordo fondamentale del giudice con la Repubblica, qualcosa che è ben di più della lealtà e della fedeltà al giuramento prestato, basato non sul consenso ma sulla fiducia, e di una consonanza che nasce dal riconoscimento del ruolo della giurisdizione nella tutela dei diritti e le libertà, come limite posto dalla Costituzione ad ogni potere e come difesa da ogni arbitrio.
Fu una presa di coscienza collettiva che consentì alla magistratura la svolta radicale del congresso di Gardone: lì la magistratura prese consapevolezza delle sue responsabilità nell’attuazione della Costituzione e gettò le basi per la sua legittimazione democratica.
E oggi è solo una nuova presa di coscienza collettiva, del nostro ruolo e dei cambiamenti necessari per essere all’altezza della nostra funzione, che può aiutarci a ricostruirla.
Il tempo stringe. La vera posta in gioco di una crisi che, fra immobilismo interno e attacchi dall’esterno, oggi non trova una via d’uscita, è diventata la giurisdizione.
Le analisi più tranchant sulle dimensioni e l’irreversibilità della crisi hanno sempre più guadagnato spazio nel dibattito interno, e oggi dominano quello pubblico e mediatico, con sorprendente seguito anche fra autorevoli osservatori ed opinionisti. In queste analisi non serve capire e discernere vicende e cause. E non c’è memoria storica dell’esperienza dell’autogoverno e dell’associazionismo e del ruolo che hanno avuto. La cura proposta è radicale: la torsione dell’attuale assetto costituzionale, che ha garantito l’indipendenza della magistratura per tutelare una giurisdizione indipendente.
La giurisdizione è l’obiettivo, dichiarato, di chi teorizza l’esistenza di un sistema e in questa chiave riscrive anche la storia di indagini e processi: la degenerazione avrebbe colpito la magistratura anche nell’esercizio delle sue funzioni; oggi, come in passato, le motivazioni di indagini e sentenze andrebbero ricercate nelle finalità politiche della parte più ideologizzata dei giudici e dei pubblici ministeri.
La crisi partita dalle cadute nell’autogoverno e nell’attività di amministrazione della giurisdizione, dopo aver investito in pieno i gruppi e tutto il sistema di rappresentanza, sta pericolosamente lambendo valori essenziali per la tenuta della democrazia: l’imparzialità della giurisdizione, e la fiducia della collettività nell’imparzialità del giudizio e delle decisioni.
È uno scenario che deve fortemente preoccuparci. E che, senza chiedere sconti né indulgenze, vorremmo che preoccupasse ogni cittadino di questo paese.
2.3. Noi non ci attendiamo analisi e cure pietose. Non confidiamo nella nottata che prima o poi passerà. E non vogliamo capri espiatori.
L’assunzione di responsabilità da parte della magistratura deve essere piena. E ci riguarda in via diretta, come magistrati che rivendicano il valore dell’associazionismo, della rappresentanza, dell’autogoverno.
All’esplosione dello scandalo immediata e ferma è stata la reazione dell’ANM, con la richiesta di dimissioni per tutti coloro che erano stati interessati dalle vicende dello scandalo e sulla stessa linea di fermezza si è mosso al suo interno il gruppo di Unicost.
Ma colpe e condotte dei singoli non spiegano il grumo di problemi svelato dalla crisi.
E se oggi ci aspettiamo che le buone riforme facciano la loro parte, intervenendo dove quelle cattive e pessime hanno contribuito a portare distorsioni (mi riferisco in particolare all’attuale legge elettorale per il CSM), pensiamo che il rinnovamento etico e culturale, più profondo e duraturo, non possa che partire dalla magistratura e dai gruppi.
Il necessario percorso di riflessione richiede un’analisi di ciò che ha contribuito a svilire il senso dell’impegno associativo, e che ha fatto recedere le ragioni ideali, quale spinta ad aggregarsi, rispetto ad interessi e obiettivi individuali.
È il processo che Nello Rossi ha descritto come perdita di democraticità interna ai gruppi e al sistema di rappresentanza: dinamiche che hanno in vario modo contribuito ad allontanare i luoghi della decisione da quelli del confronto, indebolito il substrato ideale e culturale alla base di ogni aggregazione e favorito percorsi individuali, con riflessi diretti e condizionamenti anche sull’autogoverno.
Ogni gruppo oggi deve fare i conti con il suo passato e rileggere in questa chiave la sua storia, interrogandosi sulle degenerazioni subite con la nascita di potentati; le dinamiche interne e le condotte nell’autogoverno comunque condizionate dall’obiettivo di acquisizione del consenso e di rafforzamento di presenza nei territori e negli uffici; il consolidamento di posizioni di potere individuale di singoli, sino ad arrivare alle zone d’ombra e di incontro con i poteri esterni.
2.4. Incapace di ritrovare nel dibattito associativo una nuova visione e una progettualità comune, la magistratura deve intraprendere e portare avanti questo difficile e faticoso percorso facendo appello a tutte le risorse disponibili nei luoghi che ancora esprimono il senso autentico del pluralismo, apertura, capacità di riflessione critica.
Luoghi istituzionali, come quelli della formazione.
La Scuola deve diventare sempre più la casa comune dove far crescere una nuova cultura dell’etica professionale e deontologica. E dove anche la magistratura del futuro può ritrovare una memoria condivisa della nostra esperienza unica di autogoverno e di associazionismo, e del loro valore autentico, e della nostra storia di istituzione appartenente alla democrazia di questo paese, parte dell’argine che l’ha sostenuta nei momenti in cui è stata più duramente colpita.
E un ruolo importante potrà essere svolto dalla rete delle riviste, sempre più articolata e vitale, che restituisce l’immagine di una magistratura impegnata nella riflessione e nell’elaborazione culturale, non ripiegata su se stessa ma aperta al confronto con il punto di vista esterno.
Questa rete – come ha scritto Enrico Scoditti in una riflessione su Questione Giustizia – offre spazi di democrazia, platee di discussione e di confronto, luoghi di proposte e di controllo rispetto a quelle decidenti e può in questo momento sostenere e stimolare il percorso di rigenerazione culturale di cui abbiamo fortemente bisogno.
3. Il nostro impegno come Magistratura democratica. Ripartire da “ciò che c’è”: l’importanza della nostra Associazione; il valore dell’autogoverno.
3.1. Quali sono i nostri compiti in questa complessa stagione? E quale ruolo ha avuto il gruppo nel dibattito di questi mesi? È necessario per Magistratura democratica interrogarsi e continuare a farlo per una verifica costante delle scelte compiute e per quelle che ci attendono.
Non è stato facile trovare il percorso ma Magistratura democratica può rivendicare di aver assunto su di sé il carico della gravità della crisi, e della responsabilità politico/culturale di comprenderne le cause e di rendere conto.
Non ci siamo messi al riparo dai venti di tempesta. Abbiamo affrontato la bufera abbattutasi sulla magistratura e sull’istituzione consiliare cercando di tenere la barra dritta, senza sottrarci al confronto sulle cadute emerse né alla riflessione critica e autocritica per provare ad analizzarne a fondo le cause.
Non abbiamo negato l’esistenza e la gravità della questione etica e morale, ma abbiamo cercato come gruppo di farci carico dei nodi politici dell’alterazione dei meccanismi interni e nei luoghi di rappresentanza, e della questione democratica che la crisi ha disvelato.
Senza mai cedere a riflessi difensivi o alla tentazione di minimizzare i fatti, non abbiamo tuttavia mai arretrato nella difesa dei valori dell’autogoverno, dell’associazionismo e del pluralismo.
Non abbiamo cercato né mai imboccato facili scappatoie, rivendicando diversità, alterità ed estraneità rispetto alle vicende, ai loro protagonisti, e ai metodi di governo portati nell’istituzione consiliare.
Abbiamo invece ostinatamente operato nel tentativo e con la prospettiva di aggregare un fronte ampio nella magistratura associata, convinti della necessità di trovare tutte le sinergie necessarie per affrontare un percorso comune di rinnovamento.
3.2. Per questo, superata l’iniziale drammatica fase dello scandalo, e senza sottovalutare il peso di divisioni, limiti e difficoltà del dibattito interno, abbiamo sempre sostenuto la necessità di investire sull’ANM e sull’unità associativa: una richiesta e una sfida ad una assunzione di responsabilità comune; una chiamata in causa di tutti a farsi carico della gravità della crisi e dei rischi per la giurisdizione.
Dopo le ultime elezioni, con un percorso travagliato si è giunti alla costituzione della nuova giunta e all’elezione del Presidente Santalucia, con un consenso molto ampio, necessario per affrontare quella che si presenta non più solo come la stagione della crisi e delle riforme ma come una nuova fase di crescenti e gravissimi attacchi alla giurisdizione e al suo assetto costituzionale.
Il livello delle aggressioni al Presidente dell’ANM, dopo le dichiarazioni sul referendum proposto da Radicali e Lega, ne è una dimostrazione: inaccettabili e – se non fossero inaccettabili – risibili accuse di aver fatto appelli alla rivolta e incitazioni all’insurrezione contro la democrazia e l’ordine democratico; gravissime, e – se non fossero gravissime – grottesche insinuazioni di avere suonato il corno da battaglia, ingaggiato il conflitto e minacciato di arrestare gli “avversari”.
Oggi, come da mesi, ai cittadini di questo paese si parla di una magistratura guidata da una cupola; che istruisce processi e apre indagini per fini strumentali, se non criminali; che si riunisce in gruppi e in una associazione da sciogliere e da vietare come anomalie della democrazia.
Siamo tornati, nel volgere di pochi giorni, al clima e ai metodi della più recente stagione di imperante populismo: alla contrapposizione fra volontà del popolo e giudici - nemici del popolo, fra interesse dei cittadini e privilegi della corporazione; ai giudici che se vogliono interpretare le leggi devono farsi eleggere.
È un argine che sta cedendo sotto il peso di questi attacchi ripetuti.
È l’argine che in democrazia protegge le istituzioni dalle pericolose delegittimazioni.
E dobbiamo essere consapevoli che quando gli argini della democrazia cominciano a cedere, la falla si può allargare verso quella direzione molto pericolosa che si intraprende quando si decide di fare terra bruciata intorno ad un’istituzione della democrazia, accusandola di agire contro la democrazia.
La scena degli accusatori oggi si affolla di vecchi e nuovi protagonisti, molti tornati per l’occasione da dietro le quinte.
A tutti oggi vogliamo ricordare che la nostra Associazione è stata già sciolta: dal fascismo, che perseguitò i suoi dirigenti.
A tutti vogliamo ricordare che esiste oggi l’esempio, anche in Europa, di ciò può succedere quando si nega il diritto di parola e quello di associarsi ai magistrati, ai giornalisti, agli avvocati, ai cittadini.
Questo esempio oggi si chiama Polonia. Si chiama Ungheria. E ai confini dell’Unione, si chiama Turchia.
L’esempio oggi si chiama “legge museruola”. Così l’opposizione e i magistrati hanno definito la legge che il governo polacco ha adottato per completare la demolizione dell’indipendenza della magistratura e dello Stato di diritto: non è bastato mettere sotto controllo il Consiglio di Giustizia e la Corte Costituzionale; attribuire all’esecutivo il potere di nominare giudici; mandare in pensione, trasferire e far retrocedere nelle funzioni quelli sgraditi. Una legge che punisce con sanzioni disciplinari i magistrati che osano parlare criticamente delle riforme della Giustizia nel loro paese, applicare il diritto dell’Unione, ricordare quello che ha detto la Corte di Giustizia sulla contrarietà di quelle riforme ai principi sui quali si basa la democrazia europea. Una legge che vieta di parlare di "questioni politiche" nei dibatti e nelle assemblee dei giudici, e obbliga i giudici a dichiarare pubblicamente la loro appartenenza a qualsiasi associazione.
A chi oggi vorrebbe museruole e bavagli, dobbiamo ricordare che non siamo in Polonia, non siamo in Ungheria, non siamo in Turchia.
Siamo in uno Stato di diritto. E ci aspettiamo di trovare un fronte ampio di difesa sul diritto di parola: dall’Avvocatura, donne e uomini della parola, a tutti coloro che hanno a cuore la democrazia.
E – in un contesto in cui si riconosce ormai una strategia di aggressione grave e sistematica – ci aspettiamo che la magistratura associata tutta sappia mettere da parte particolarismi divisioni e ripiegamenti che ne limitano l’azione, e ritrovare nell’ANM la consapevolezza del suo ruolo e di tutte le sue responsabilità: rispetto alla difesa della giurisdizione, e della sua legittimazione; alla necessità di ricostruire un rapporto di fiducia con i cittadini, il più forte baluardo a difesa della sua indipendenza; di continuare a presidiare il suo assetto costituzionale e ad essere oggi un interlocutore presente sulle riforme necessarie per il recupero di efficienza della Giustizia.
3.3. Abbiamo difeso e rivendicato il valore del nostro associazionismo. E alle correnti non abbiamo chiesto passi indietro ma passi in avanti, per rimettersi in discussione, e tornare ad essere luoghi espressione del pluralismo e di collegamento ideale e cultuale con i luoghi di rappresentanza.
Abbiamo difeso i valori dell’autogoverno, del suo pluralismo e della sua rappresentatività. Abbiamo continuato a rivendicare la pienezza delle sue prerogative di politicità e discrezionalità, ricondotta a trasparenza e correttezza, e l’importanza di rendere conto del loro esercizio. Abbiamo rivendicato il ruolo di garanzia che il Consiglio ha avuto per la giurisdizione: di chiave di volta - come scriveva Pino Borrè – che ha reso realistico, possibile, un sistema giudiziario democratico.
Colpito duramente dalle vicende dello scandalo, provato da un’onda lunga di ripercussioni, con le dimissioni successive di componenti e tre elezioni suppletive, il CSM è rimasto al centro di un attacco concentrico, portato da fuori e dall’interno, indebolito dalla sfiducia e dal distacco nella magistratura, e continuamente rimesso in discussione da progetti di riforma capaci di snaturarne la fisionomia costituzionale.
La nostra posizione di difesa dei valori dell’autogoverno e dell’istituzione che lo rappresenta non ha mai significato ignorarne le problematiche né rimuovere fatti e responsabilità.
È una posizione che non ci ha mai impedito di valutarne le criticità rispetto al cambiamento culturale subito dalla magistratura, che nell’autogoverno non ha trovato anticorpi e che anzi lì si è espresso in degenerazioni e cadute nell’attività di amministrazione della giurisdizione.
Non abbiamo scoperto con lo scandalo di Perugia i mali del carrierismo, e i rischi per l’indipendenza legati ad un modello di magistratura tutta e troppo proiettata verso percorsi ascendenti nella giurisdizione, o in circuiti paralleli.
E nelle nostre riflessioni politiche e culturali ci siamo sempre confrontati con quello che abbiamo definito il percorso interrotto dell’autoriforma del 2007, che la magistratura e il suo circuito dell’autogoverno non hanno saputo portare avanti, investendo sugli strumenti per contrastare carrierismo e corporativismo – come le conferme e le valutazioni quadriennali di professionalità – e su quelli necessari per garantire un esercizio corretto e trasparente dell’ accresciuta discrezionalità (dall’attendibilità delle fonti di conoscenza alla qualità delle motivazioni e di tutta l’attività di rendiconto).
In uno spazio politico di confronto che per Magistratura democratica si è fatto sempre più ristretto, e in un contesto in cui, come soggetto collettivo, non ha più, da tempo, un luogo di stabile interlocuzione per offrire il suo apporto culturale sulle linee di azione generale dell’autogoverno, continuiamo a seguirne il percorso, e ad interloquire, anche criticamente, nella convinzione che il difficile esercizio della discrezionalità richieda consapevolezza della complessità delle scelte che si compiono e attitudine a renderne conto.
4. Un bilancio a grandi linee.
Un bilancio, sia pure a grandi linee, delle iniziative che danno conto dello sforzo collettivo culturale e politico del gruppo, stimolato e sostenuto dalla presenza della Rivista, è oggi necessario.
Nel compiere le scelte che decideranno del nostro futuro, dobbiamo avere consapevolezza delle nostre risorse e della nostra capacità di presenza, nel dibattito associativo e nella società.
Ed è un bilancio doveroso, in un momento in cui anche per i più autorevoli e accorti opinionisti, le “correnti” sono diventate solo sinonimo di lobby, cricche e camarille, al servizio dei propri affiliati e non di un ideale.
In questi mesi, in parallelo alla riflessione avviata dalla Rivista sulle sfide portate dell’emergenza sanitaria, abbiamo dato centralità e seguito, con tre seminari, al nostro dibattito interno sulle opportunità di cambiamento rappresentate da nuove tecnologie e modalità organizzative del lavoro, e sulle loro ricadute sul modello culturale di giudice e di giurisdizione[6].
Abbiamo dedicato un seminario di studio interno ad una prima riflessione sulla risposta del diritto penale all’emergenza economica e sanitaria, e sui reati collegati ai provvedimenti di sostegno alle imprese[7].
Nel giugno dello scorso anno abbiamo discusso, in una iniziativa aperta e partecipata, di sistema elettorale del CSM e delle riforme in campo, con l’obiettivo di promuovere quelle in grado di valorizzare pluralismo culturale, rappresentanza di genere, effettiva partecipazione, e potere di scelta dei magistrati-elettori[8].
Un’intensa giornata di studio e di confronto è stata dedicata alla riflessione sul ruolo della dirigenza e sulla conformità del modello di dirigente all’assetto costituzionale della magistratura fondato sulla pari dignità delle funzioni e sugli altri snodi e criticità del sistema ridisegnato dalla riforma del 2007: verifiche intermedie e temporaneità degli incarichi direttivi; valutazioni di professionalità; possibili meccanismi di cd. “raffreddamento della carriera”[9]. Una riflessione che si è avvalsa di tutta l’elaborazione che negli anni Magistratura democratica e QG hanno promosso sui temi dell’autogoverno e sull’ordinamento giudiziario, e che ha portato ad una sintesi sulla nostra visione di magistratura senza carriera e di dirigenza -non corpo separato nella magistratura, fondato su uno status permanente e su percorsi paralleli a quelli giurisdizionali, ma esperienza diffusa e funzione reversibile.
Oltre che nelle numerose occasioni di riflessione collettiva interne al gruppo, e dopo un primo confronto organizzato subito dopo i fatti di Perugia[10], abbiamo dedicato un seminario aperto al confronto sulle ragioni della crisi e sull’attacco alla giurisdizione[11], con contributi poi raccolti e valorizzati dalla Rivista.
La nostra attività di approfondimento e di vigilanza sui temi della libertà e dei diritti è proseguita in questo biennio con l’organizzazione e la partecipazione a numerose iniziative ed interventi sul carcere[12] e sull’immigrazione[13]. Alla giustizia e al processo del lavoro[14] e al rapporto fra genere e diritto abbiamo dedicato due importanti seminari, con il coinvolgimento di accademici ed esperti[15].
Con l’iniziativa sulla rotta balcanica, che ha coinvolto giornalisti, avvocati, associazioni di volontariato, abbiamo portato il nostro contributo di conoscenza e di mobilitazione a favore dei diritti sulle nuove frontiere dell’esclusione poste nel cuore dell’Europa[16]. Con la recente iniziativa sulla Palestina abbiamo voluto ribadire il nostro impegno di giuristi per la pace, per la giustizia, per i diritti umani e i diritti del popolo palestinese[17].
Il nostro sguardo è sempre rivolto all’Europa e alle promesse scritte nella sua Carta dei diritti fondamentali.
È lo sguardo che dà respiro e prospettive al nostro impegno e che in MEDEL e nel gruppo MD Europa oggi spazia dai temi della difesa dello Stato di diritto e dell’indipendenza della magistratura, sotto attacco anche nei paesi membri dell’Unione, e dalla mobilitazione a favore del ripristino delle condizioni minime di democrazia in Turchia, al futuro dell’Europa sociale.
Al rilancio del Pilastro europeo dei diritti sociali è stato dedicato il recente seminario del gruppo Europa[18], e al tema abbiamo voluto dedicare anche la sessione internazionale del congresso.
Con MEDEL, l’Università di Firenze e Questione Giustizia abbiamo promosso la conferenza internazionale su Pubblico ministero e Stato di diritto in Europa[19]. Un evento che ha affrontato temi cruciali e posto interrogativi di fondo: il rapporto fra il Pubblico ministero con la democrazia; il ruolo crescente della sua discrezionalità e della accountability che deve connotarne l’agire; come questi principi si declinano nell’esperienza italiana, unica per assetto di indipendenza interna ed esterna del Pubblico ministero; la costruzione di un modello europeo di Pubblico ministero e il suo futuro nell’attuale panorama innovato dalla presenza della Procura Europea.
Il risultato di quell’evento, che ha avuto l’attenzione delle Istituzioni europee e coinvolto nel confronto accademici, magistrati europei ed italiani, è il numero monografico di Questione Giustizia, che verrà fra pochi giorni pubblicato, realizzato in collaborazione con MEDEL e con l’Università di Firenze.
Al pubblico ministero abbiamo dedicato anche il seminario, in due sessioni, dello scorso giugno: un confronto aperto ad accademici e giornalisti, sulle specificità e sulle problematiche poste dalle concrete dinamiche operative delle Procure, nella loro azione esterna e nella loro dimensione interna[20].
Un’ iniziativa in linea con la nostra attenzione e vigilanza rispetto ai rischi legati all’allontanamento dal modello garantista di Pubblico ministero, oggi evidenziati dalla personalizzazione del ruolo, dalla sovraesposizione mediatica e da modalità di comunicazione che favoriscono una presentazione semplificatoria dei risultati investigativi. Rischi attuali, che abbiamo sempre denunciato, di una mutazione genetica rispetto al modello costituzionale, di primo tutore dei diritti e delle garanzie, che deve agire nella consapevolezza, e dimostrando consapevolezza, della necessità di verificare nel contraddittorio la ricostruzione accusatoria.
5. Questione Giustizia.
Non sarebbe stato possibile portare a termine la traversata di questi quattro anni senza le energie culturali, gli stimoli, le sollecitazioni e la capacità visionaria di Questione giustizia. E non occorre un bilancio per valutare l’importanza di questo patrimonio collettivo costruito da un’azione ininterrotta, con la direzione di Pino Borrè, Livio Pepino, Beniamino Deidda, Renato Rordorf.
Affidata negli ultimi due anni alla direzione di Nello Rossi, e delle due vicedirettrici Ezia Maccora e Rita Sanlorenzo, la Rivista ha confermato la sua autorevolezza, la sua capacità di incisiva presenza in un pubblico vasto ed eterogeneo, e di coinvolgimento, che va ben oltre l’ambito dei giuristi e degli addetti ai lavori.
In una stagione che ci ha imposto difficili prove, e da giuristi ci siamo ritrovati soli di fronte ad enormi dilemmi, QG è stata un faro acceso nel buio fitto calato intorno a noi. Ne siamo usciti anche continuando a interrogarci sulle grandi questioni e a confrontarci con la densità del reale e la concretezza di problemi nuovi e spinosi portati dall’attualità. Per tutta la durata della lunga fase della crisi sanitaria QG ha seguito, con autorevolezza e con l’immediatezza della pagina online, tutte le questioni legate al diritto nell’emergenza, oggetto di successivo approfondimento del numero monografico della Rivista”[21].
In QG abbiamo cercato e trovato importanti chiavi di lettura per la crisi che ha investito la magistratura, e per riprendere il percorso di riflessione tracciato dalla rivista in questi anni sui temi dell’autogoverno e dell’associazionismo, con interventi che hanno segnato una partecipazione attiva al dibattito pubblico e approfondimenti con specifici obiettivi[22].
Con la sua pagina online, arricchita da nuove rubriche (da Controvento a Tribuna aperta), QG continua a stimolare quotidianamente il dibattito, non solo interno alla magistratura, sui diritti e sulla giurisdizione, sull’Europa, sulla democrazia.
La Rivista trimestrale resta uno strumento di elaborazione alta e di riflessione approfondita. La Rivista parla da sé. E, più delle parole, è la Rivista che dimostra la sua capacità di accogliere, il riconoscimento con il quale viene accolta, la sua attitudine a confrontarsi con la complessità delle tematiche che incrociano la questione giustizia, e di affrontare temi spinosi. Ne sono la dimostrazione gli ultimi due numeri monografici, La giurisdizione plurale: giudici e potere amministrativo, e quello di prossima uscita su Pubblico ministero e stato di diritto in Europa.
QG è il risultato di un lavoro collettivo, di vecchi e nuovi componenti del comitato di redazione, e dell’apporto di straordinari collaboratori: dopo Fernanda Torres, Sara Cocchi per l’online e Mosè Carrara Sutour per la Rivista.
Nella sua capacità di rinnovarsi, QG resta legata alle sue origini e alla sua storia che hanno reso la Rivista, promossa da Magistratura democratica, luogo di riflessione e di confronto aperto e plurale.
Pluralismo, apertura, e disponibilità al confronto ne hanno fatto un luogo di aggregazione. Prezioso per tutti coloro che trovano irrinunciabile il punto di vista degli altri.
6. Le riforme che ci attendono, le riforme che vogliamo
6.1. Abbiamo scelto di dedicare una sessione del congresso al tema delle riforme. Un intero numero della Rivista trimestrale darà conto dell’analisi avviata da QG sul lavoro delle commissioni tecniche volute dalla Ministra della Giustizia, Marta Cartabia, per i diversi settori civile, penale e ordinamentale.
Le riforme oggi necessarie per la Giustizia possono diventare un’opportunità per radicali mutamenti di rotta in direzione di un recupero di efficienza non neutro né indifferente ai valori.
La complessità ed ampiezza del lavoro svolto dalle commissioni non consentono giudizi sommari né semplificazioni. Saranno l’attenzione critica, l’apertura al confronto e la consapevolezza dei valori in gioco a guidarci nella valutazione del merito delle proposte.
Non faremo mancare il nostro contributo nella consapevolezza che la magistratura e Magistratura democratica non possono sottrarsi oggi alla responsabilità di contribuire all’inversione di rotta tanto attesa e alle sfide che in questo momento si pongono per la giurisdizione.
Riforme necessarie ed opportunità. Ma non solo: alcuni interventi oggetto delle proposte potrebbero rappresentare un vero e proprio cambio di paradigma. Mi riferisco in particolare alle proposte della commissione Lattanzi sulla giustizia riparativa, sull’archiviazione meritata che coniuga effetti deflattivi con quelli riparativi, sull’estensione della non punibilità per fatti di lieve entità e dell’ambito della sospensione per la messa alla prova.
Si intravede una netta inversione di tendenza rispetto alle continue torsioni e deformazioni che hanno prodotto una dilatazione irrazionale dello strumento repressivo, un uso demagogico del diritto penale e un allontanamento dai principi e dai valori alla base dell’architettura del diritto penale liberale.
Come ha scritto Marco Bouchard[23], la vittima di reato e il soggetto giuridico offeso dal reato diventano protagonisti delle proposte di riforma e tutela della vittima, giustizia riparativa, unitamente alla riduzione dei tempi del processo penale e al perseguimento di finalità di efficienza ed efficacia dell’amministrazione della giustizia, possono diventare i pilastri di una vera rivoluzione culturale.
Dobbiamo poi sottolineare l’abbandono di criticità insanabili del d.d.l. Bonafede, come l’uso improprio della sanzione disciplinare in relazione alla mancata osservanza dei tempi nelle varie fasi procedimentali, come noto condizionati da una pluralità di fattori e non tutti nella disponibilità dei magistrati. Una soluzione destinata a moltiplicare i suoi effetti distorsivi, incentivando una definizione celere dei procedimenti, a scapito della qualità delle decisioni.
Un’analoga forte criticità che si rileva anche in relazione alla proposta della commissione Lattanzi per il controllo sulla tempestività dell’iscrizione affidata al giudice. Si rischia di introdurre una mina nel processo, legata all’incertezza della valutazione su tempestività/tardività della iscrizione (spesso condizionata da elementi che devono essere attentamente considerati) e agli effetti di inutilizzabilità degli atti risultati tardivi dopo la retrodatazione. Ci chiediamo quanto questa scelta possa incentivare la prassi di iscrizioni frettolose e automatismi proprio quando al pubblico ministero si richiede attenzione e ponderazione nel compimento di un atto non neutro per la persona che lo subisce, e considerazione per le sue ragioni.
Dalla discussione e dall’approfondimento ci aspettiamo un utile contributo anche per la valutazione di altre proposte relative a snodi rilevanti, e con implicazioni sul complessivo equilibrio del sistema processuale e ordinamentale. Su criteri di priorità, appello del pubblico ministero e parte civile, Magistratura democratica può vantare un’amplissima e risalente elaborazione. Oggi sono temi sul tappeto e non faremo mancare il nostro contributo di analisi e riflessione necessario per aggiornare quelle riflessioni e ricercare nel nostro confronto interno valutazioni condivise.
6.2. Il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza sottolinea per la giurisdizione civile l’esigenza di rapidità e di qualità, in relazione a quelle della concorrenza, al più rapido e meno costoso reimpiego delle risorse nell’economia, all‘incentivo per gli investimenti, e alla promozione della scelta di soluzioni organizzative più efficienti.
La tenuta della giustizia civile sarà necessaria in un‘ottica che va ben oltre il recupero della produttività: dare risposta ai bisogni di giustizia, ai diritti delle persone, alla tutela dei più deboli, e regolare con il diritto ciò che diversamente resterebbe affidato ai rapporti di forza.
In un contesto che ha aggravato bisogni e diseguaglianze, questa tenuta è essenziale per ricostruire la coesione sociale e l’accesso a un’amministrazione della giustizia, vicina e comprensibile, sarà parte essenziale del processo di ricostruzione.
La scelta di considerare nel progetto di riforma inscindibili e complementari i piani indicati dalla Ministra della Giustizia Marta Cartabia – il piano organizzativo, la dimensione extraprocessuale e quella endoprocessuale – rappresenta in un sé un’opzione importante, nell’ottica di recupero di qualità ed efficienza della giustizia civile. E, accanto al potenziamento degli strumenti di risoluzione delle controversie complementari alla giurisdizione, la piena attuazione dell’Ufficio del processo si presenta come il possibile punto di svolta di una nuova organizzazione del lavoro, con ricadute positive anche sul piano della qualità del servizio.
Il condizionamento del Recovery Plan non sembra aver consentito analisi approfondite e previsioni d’impatto delle modifiche proposte, basate su un ampio complesso di dati giudiziari, sia per quanto riguarda il processo di cognizione che per quello di esecuzione.
Questo tuttavia dovrà avvenire nell’immediato seguito: e bene faranno i decisori politici a istituire canali di ascolto con la cultura giuridica, che si esprime nell’accademia e nell’avvocatura, e nella magistratura associata- - alla quale Magistratura democratica sa di potere e di dover dare un contributo rilevante –, e nei luoghi in cui si riflette e si elabora con serietà: richiamo il documento del 9 marzo 2021 inviato dagli Osservatori sulla giustizia civile alla Ministra della Giustizia, e “Giustizia 2030. Un libro bianco per la giustizia e il suo futuro”, del febbraio 2021.
Crediamo che nessuna riforma potrà però ottenere gli esiti sperati senza la consapevole tensione di ciascun magistrato nel lavoro quotidiano.
E, ancora una volta, questo ci rimanda al modello di magistrato quotidianamente sensibile all’attuazione della Costituzione e del principio di eguaglianza, che i magistrati di Magistratura democratica riconoscono come orientamento individuale e patrimonio collettivo.
6.3. La commissione per le riforme ordinamentali ha abbandonato quelle proposte del d.d.l. Bonafede che, con cambiamenti chirurgici e apparentemente di piccola portata, appaiono in realtà capaci di alterare profondamente alcuni tratti costituzionali del CSM. Interventi che rappresentano la cifra culturale e politica di quella riforma, che marchia l’associazionismo come un fattore genetico di inquinamento e di alterazione dell’amministrazione della giurisdizione e svilisce il significato della rappresentanza: il divieto di associarsi in gruppi per i componenti del Consiglio a corollario dell’affermazione che «ogni membro esercita le proprie funzioni in piena imparzialità e indipendenza»; il sorteggio nella composizione delle commissioni per evitare – secondo la relazione illustrativa- «la distribuzione dei posti tra le correnti all’interno degli organi attraverso cui si svolgono le funzioni di autogoverno».
Magistratura democratica ha assunto una posizione critica anche sulle proposte del d.d.l. Bonafede che, nel dichiarato intento di disincentivare il carrierismo e garantire maggiore trasparenza, intervengono per imbrigliare l’esercizio responsabile della discrezionalità, chiudendo gli spazi anche per gli interventi di normativa secondaria (con una disciplina primaria che articola parametri, indicatori, punteggi).
Siamo fermamente convinti che dalla crisi non usciremo con aggiustamenti progressivi di questa o quella circolare né mettendo sotto tutela il CSM ed espropriandolo delle prerogative essenziali di discrezionalità.
La discrezionalità resta lo strumento irrinunciabile per adeguare le scelte di amministrazione alle esigenze della giurisdizione. E per questo ci auguriamo che la scelta del sorteggio per individuare la platea dei componenti della commissione del concorso in magistratura non diventi una sorta di precedente. Dal CSM non ci aspettiamo l’infallibilità ma scelte che, nel difficile esercizio delle prerogative di discrezionalità, rappresentino quell’assunzione di responsabilità che è l’essenza dell’autogoverno.
6.4. Abbiamo assistito con preoccupazione al dibattito di questi mesi sulla legge elettorale e il sorteggio, soluzione che trova da tempo sostegno anche all’interno della magistratura e che ha avuto l’endorsement di autorevoli opinionisti in varie forme declinato: sorteggio degli eleggibili, elezione fra i sorteggiati, sorteggio tra gli ottimati, sorteggio tout court. Da ultimo abbiamo sentito parlare perfino del sorteggio pilotato fra i magistrati più laboriosi: dunque selezione sganciata da ogni collegamento ideale dell’eletto con i rappresentati, e il dato statistico/quantitativo di puntuale resa nel lavoro come garanzia della capacità di svolgere funzioni di autogoverno.
La finalità dichiarata del d.d.l. Bonafede di «contrastare l’emergente, patologico, fenomeno del “correntismo” nella magistratura, allentando il legame tra contesto associativo ed eletti nell’organo di autogoverno» è stato il mantra del dibattito anche sulla legge elettorale nel quale, è bene sottolinearlo, non ha mai trovato però spazio la riflessione sulle distorsioni prodotte dalla legge elettorale attualmente in vigore, introdotta con le medesime finalità, sostituendo al peso delle correnti quello dei rapporti personali e dei legami territoriali.
Riteniamo una svolta necessaria e positiva la chiusura della commissione rispetto a soluzioni incompatibili con l’idea della rappresentanza.
Come cittadini, prima che come magistrati, dobbiamo preoccuparci di fronte ad esperimenti su organismi rappresentativi, che mortificano il valore delle elezioni come un momento collettivo per una comunità, negando il confronto tra idee e visioni diverse della giurisdizione e dell’amministrazione della giurisdizione.
E da magistrati che difendono ad ogni costo la libertà di associarsi, il pluralismo e tutte le aggregazioni ideali e culturali in cui si esprime, siamo aperti a tutti i sistemi elettorali del CSM e dei Consigli giudiziari che promuovono il pluralismo, le candidature di valori e non di appartenenza, capaci di aggregare trasversalmente consensi, anche in piccoli uffici, e quindi a meccanismi elettorali che si prestano a questi obiettivi (dal panachage ad una applicazione del voto singolo trasferibile che favorisca risultati di rappresentanza proporzionale).
6.5. Con il deposito di sei quesiti, si è compiuta la prima tappa dell’iniziativa referendaria promossa dal Partito Radicale e della Lega.
Annunciata con enfasi e presentata dalla stampa come referendum “sulla Giustizia”, l’iniziativa riguarda in realtà temi abbastanza eterogenei: dall’abolizione dell’incandidabilità delle persone condannate (anche per fatti molto gravi), alla partecipazione degli avvocati ai consigli giudiziari; dalla responsabilità civile dei magistrati alle norme sul passaggio delle funzioni; dall’abrogazione di norme processali che disciplinano i presupposti per l’applicazione di misure cautelari (con l’effetto di escludere l’applicazione di misure per fatti molto gravi nel caso in cui l’esigenza di cautela sia solo quella connessa al pericolo di reiterazione) a quella delle norme che determinano il numero dei firmatari, per la verità già molto esiguo, necessario per la presentazione delle candidature al CSM.
Si fa fatica ad individuare in queste proposte quella comune matrice che i promotori le hanno voluto imprimere con lo slogan per una “Giustiziagiusta”: un messaggio che maschera la complessità dei quesiti, alcuni di difficile lettura anche per gli esperti, e dell’intreccio di norme sottostanti (ben 5 quelle coinvolte dal quesito sulla separazione delle carriere).
Un aspetto, questo della complessità, che trovato lo slogan efficace, è destinato tuttavia a passare in secondo piano nel dibattito pubblico che accompagnerà la raccolta delle firme.
Tutta in salita la strada per chi vorrà partecipare al confronto per portare le ragioni della sua contrarierà a questa iniziativa o anche solo per segnalarne le incongruenze e i rischi.
Una strada chiusa per la magistratura, che questa iniziativa vuole in realtà mettere nell’angolo e, a quanto pare, anche ridotta al silenzio.
6.5.1. La Giustizia giusta esige che i giudici “paghino di tasca loro”. Il quesito per introdurre l’azione diretta contro i magistrati è uno specchietto per le allodole: questa prospettiva appare tanto sganciata dalla concreta possibilità che un giudice possa garantire di tasca propria (e meglio dello Stato) tutti coloro che si riterranno danneggiati da decisioni sfavorevoli, quanto pericoloso perché interferisce con un esercizio libero da pressioni e condizionamenti delle funzioni giurisdizionali. E creare il meccanismo che, senza rendere il giudice irresponsabile, impedisca l’azione diretta non è certo una peculiarità del nostro paese. Se abbiamo già richiamato quel che accade nei confini dell’Unione europea, qui dobbiamo richiamare il Consiglio d’Europa e la Raccomandazione CM/Rec (2010) 12 del Comitato dei Ministri agli stati membri: «soltanto lo Stato, ove abbia dovuto concedere una riparazione, può richiedere l’accertamento di una responsabilità civile del giudice attraverso un’azione innanzi ad un Tribunale» e «i giudici non devono essere personalmente responsabili se una decisione è riformata in tutto o in parte a seguito di impugnazione».
6.5.2. Magistratura democratica ha sempre rivendicato la sua posizione a favore del diritto di tribuna. Una posizione oggi ancora più impopolare, e sulla quale abbiamo registrato passi indietro anche nella magistratura progressista.
Ma proprio l’esperienza dei consigli giudiziari precursori di questa soluzione conferma che la necessaria apertura è anche il risultato di un percorso culturale, e che soluzioni diverse -come quelle che il referendum intende introdurre imponendo una presenza dell’avvocatura estesa a tutte le competenze e alle valutazioni di professionalità- non possono non farsi carico dei profili di criticità. Siamo certi l’avvocatura stessa sarebbe pronta a rilevarle: impedire che l’avvocato rediga il parere per la progressione del suo giudice, non è un atto di diffidenza per l’avvocatura ma una garanzia per l’esercizio della giurisdizione al riparo da ogni rischio, anche inconsapevole, di un possibile condizionamento, dovuto a ostilità o compiacenza.
6.5.3. Fra tutte le proposte dell’iniziativa referendaria, quella per la cd. separazione delle carriere ha il maggiore valore simbolico.
Il risultato del quesito, attraverso un ginepraio di norme da abrogare, è formalizzare il divieto per i già limitatissimi passaggi di funzione, introdurre sin dal reclutamento due percorsi paralleli e, per questa via, sancire di fatto la fuoriuscita dal pubblico ministero dalla giurisdizione.
La scelta del quesito referendario che riguarda in realtà l’assetto costituzionale del pubblico ministero, e dunque materia di riforma costituzionale, è chiaramente funzionale a spingere l’acceleratore in favore della riforma per la separazione delle carriere. Obiettivo mai scomparso dall’orizzonte politico di questo paese e oggetto della proposta di legge costituzionale d’iniziativa popolare promossa dall’Unione Camere Penali.
Siamo consapevoli che la difesa dell’assetto forte di indipendenza del pubblico ministero, derivante dal suo ancoraggio alla giurisdizione, richiede un modello culturale e professionale di magistrato che dia prova, nel suo essere, di consapevolezza e di responsabilità rispetto ai valori in gioco. E di svolgere il suo ruolo di primo organo di tutela, nel processo, dei diritti e delle garanzie del cittadino agendo nel rigoroso rispetto delle regole processuali e deontologiche, con una forte cultura del dubbio, della prova e delle garanzie. È il pubblico ministero, che sin dalla fase delle indagini, sa indirizzare le sue scelte verso la prospettiva processuale dell’accertamento di fatti e di responsabilità individuali, evitando iniziative meramente esplorative e poco attente alle regole processuali di garanzia.
Siamo consapevoli che di tutto questo, come magistratura, dobbiamo farci carico nella nostra azione in difesa dell’unità della giurisdizione e di un assetto che tuttavia non può più considerarsi un’anomalia di questo paese.
In questa consapevolezza siamo fermi nella difesa delle scelte della Costituzione che, ricordiamolo, nascono in risposta all’esperienza del fascismo.
Un corpo separato pubblici ministeri non potrebbe restare indipendente dalla politica: costituirebbe il potere dello Stato più forte che si sia mai avuto in alcun ordinamento costituzionale dell’epoca contemporanea. E un potere senza più ancoraggio alla giurisdizione finirebbe con l’essere riportato alla sfera della responsabilità politica e al controllo dell’esecutivo: due prospettive da scongiurare.
La giurisdizione indipendente richiede un pubblico ministero indipendente. E l’indipendenza del pubblico ministero è il necessario corollario dell’indipendenza dei sistemi giudiziari, come ricordano il parere n. 9 del 2014 del Consiglio Consultivo dei Procuratori Europei e tutte le Carte elaborate in ambito sovranazionale.
È il principio alla base di quello che si può considerare un percorso evolutivo del modello di pubblico ministero che, nella diversità di sistemi, si va affermando in Europa, e che ha preso corpo con la nascita della Procura Europea, primo vero esempio di ufficio requirente sopranazionale indipendente, sia rispetto alle istituzioni europee che ai paesi membri.
Un modello che potrà avere ulteriori sviluppi nella verifica di fatto affidate alle Corti europee sulla capacità del pubblico ministero di agire in modo indipendente, e al riparo da interferenze dell’esecutivo: questa capacità diventa il parametro per valutare di volta in volta la compatibilità delle diverse soluzioni ordinamentali con la titolarità di funzioni che incidono sui diritti e sulle libertà (come l’emissione e l’esecuzione di mandati di arresto europeo), e che chiamano per questo in causa il ruolo del pubblico ministero quale primo garante di decisioni eque e imparziali.
Ed è una prospettiva destinata a rafforzarsi a fronte dei rischi rappresentati per l’Europa dai processi di regressione democratica nei suoi paesi membri, che hanno portato alla demolizione dell’indipendenza dei sistemi giudiziari e – l’esempio è offerto ancora una volta dalla Polonia con la riforma del 2016 che ha riunificato i ruoli di Ministro della giustizia e di Procuratore generale – hanno sovvertito il principio stesso della separazione di poteri.
7. L’autonomia di Magistratura democratica; il pluralismo e l’unità della magistratura progressista.
7.1. Dopo il mandato ricevuto a Bologna, abbiamo cercato di riavviare il percorso di Magistratura democratica, ritrovando slancio e presenza come soggetto collettivo nella società, nella magistratura, e come parte importante del fronte progressista rappresentato da AreaDG.
Un impegno a continuare nel percorso unitario, anche come gruppo, che abbiamo rinnovato a Roma, ma che non ha portato ai risultati attesi.
Se la politica è fatta anche di passioni e di sentimenti, oggi la posta in gioco è troppo alta per continuare a ragionare solo con la mozione degli affetti: occorre un’analisi fredda sulle cause che ci impongono di ripensare alle modalità con le quali si è in origine concepita la costruzione di un fronte progressista più ampio rappresentato da AreaDG.
Chi in questi anni più ha lavorato a questo progetto, e con questa prospettiva, ha scommesso sulla capacità di aggregazione che nasce dall’unità nei valori: il punto di partenza per mettere insieme esperienze, percorsi e storie diverse nei gruppi fondatori. E ha scommesso sul pluralismo interno di AreaDG, come tratto caratterizzante di un nuovo soggetto.
Nessuna delle proposte che hanno in seguito variamente declinato l’opzione di cedere sempre più soggettività a favore di AreaDG, e di arrivare ad una unità di voce anche all’esterno, ha mai chiaramente teorizzato lo scioglimento di Magistratura democratica. E la richiesta di maggiore investimento politico in AreaDG si è sempre fondata sull’assunto dell’irrilevanza dei contenitori rispetto alla preminenza dei contenuti.
Magistratura democratica può rivendicare di aver contribuito in maniera decisiva, con i suoi iscritti e come soggetto collettivo, alla costruzione di AreaDG, portando contenuti, progetti, esperienze e il suo punto di vista.
Abbiamo dunque scommesso sul pluralismo di AreaDG. Abbiamo accettato la sfida che ci poneva la costruzione di un soggetto plurale, credendo di poter e dover essere partecipi del suo percorso anche come gruppo: non per tenere alto il nostro vessillo ma perché siamo convinti che ci sia bisogno di Magistratura democratica e delle sue specificità e che queste possano vivere solo nella sua soggettività di gruppo. E perché crediamo che la premessa di scelte unificanti e di progetti unitari non sia l’omologazione culturale e politica della magistratura progressista ma il “riconoscimento” di tutte le identità, individuali e collettive, che la compongono.
7.2. In questi anni abbiamo assistito in AreaDG a ripetute prese di posizione, anche delle dirigenze, contro la permanenza al suo interno di Magistratura democratica come gruppo, e a continui tentativi di risolvere, per via burocratica, un problema evidentemente politico: dalla richiesta di introdurre il divieto di doppia iscrizione, a quella di modifica statutaria per sancire l’esclusione dei gruppi fino ad arrivare all’ultima assemblea generale di un anno fa, quando la questione è stata nuovamente drammatizzata con la presentazione di una mozione per chiedere ai candidati espressi da AreaDG l’impegno a rinunciare ad altre iscrizioni in caso di elezione.
Le ragioni dell’evoluzione dei nostri rapporti interni sono strutturali ma sempre più chiaramente nel tempo ne è emersa la cifra politica.
Il mancato scioglimento dei gruppi fondatori, per molti necessario punto di approdo del progetto di fare uscire AreaDG dallo stato di liquidità; in parallelo, la scelta di AreaDG di strutturarsi nelle forme di gruppo, di cui in origine voleva rappresentare il superamento, con la sua dirigenza e i suoi iscritti; quella di Magistratura democratica di non assecondare la prospettiva, sullo sfondo di molti nostri congressi, della fine della sua esperienza né quella di compromesso di una progressiva dismissione delle attività con rilevanza esterna; la decisione, a Bologna, di avviare invece un nuovo corso, riaffermando la soggettività di Magistratura democratica, e la sua partecipazione come gruppo al percorso comune di AreaDG.
In questo assetto che doveva essere funzionale al pluralismo interno, la risorsa di AreaDG (una associazione plurale, che comprende persone e gruppi, con la loro identità ed autonomia, secondo la sua Carta fondativa) si è trasformata in un fattore strutturale di crisi permanente. Ciò che riteniamo parte essenziale del nostro impegno – l’essere voce critica e autocritica, nel dibattito associativo e in quello pubblico – ha generato fibrillazioni sempre più forti; ogni nostra presa di posizione è stata percepita come presa di distanza, rifiuto di interlocuzione, ricerca di visibilità fine a se stessa.
Da ultimo, nella fase di formazione della nuova giunta dell’ANM, e sulle posizioni espresse da Magistratura democratica a favore della giunta unitaria, sono arrivati retropensieri e diffidenze sui veri obiettivi perseguiti dalla dirigenza di Magistratura democratica con la sua strategia comunicativa; l’aperta contestazione della dirigenza di AreaDG, di alcuni compenti del CDC e di componenti della delegazione consiliare della legittimità del confronto nell’esecutivo allargato convocato per discutere della crisi dell’ANM; le dichiarazioni pubbliche di lettura critica delle scelte di Magistratura democratica, poiché operate in concorrenza.
Le tensioni emerse, con esternazioni pubbliche, non hanno risparmiato la rivista. Gli interventi pubblicati da QG sulla permanenza al CSM di Davigo dopo il suo collocamento a riposo sono stati portati come esempio delle fughe in avanti di Magistratura democratica, per dare la linea su vicende non ancora discusse in AreDG: una lettura dunque, in chiave politica e di rivalità politica, di riflessioni su una questione di diritto, con evidenti profili di rilevanza generale e ricadute sulla rappresentatività dell’organo di autogoverno, sulla quale l’unica linea possibile era la ricerca di soluzioni giuridicamente corrette.
E anche la pubblicazione della riflessione critica sulla riforma Bonafede della prescrizione, di segretario e presidente di Magistratura democratica, è stata più volte portata ad esempio di una presa di posizione in contrasto con la linea dell’ANM presieduta da AreaDG.
Dopo esserci a lungo avvitati nei dibattiti su come, dove, e quando la voce di Magistratura democratica potesse esprimersi (se solo attraverso il coordinamento, o dopo l’interlocuzione con il coordinamento e dopo aver cercato una sintesi nel coordinamento), le tensioni interne si sono dunque espresse più chiaramente in forma di divergenza sui contenuti. E oggi – se non risolte – rischiano di demotivare chi più pratica l’impegno associativo nella magistratura progressista e di minare seriamente la prospettiva di ogni progetto unitario e di possibile unità politica che, nel rispetto del pluralismo, ne rappresenta la base.
7.3. Dalle difficoltà ad esprimere ed accettare la dialettica e la sua rappresentazione esterna dobbiamo trarre motivo di riflessione più profonda sui cambiamenti delle dinamiche interne a Magistratura democratica e ad AreaDG.
Abbiamo vissuto anche noi la perdita di democraticità nei processi decisionali, e di centralità dei luoghi di confronto democratico e di partecipazione alle scelte, a favore di circuiti ristretti.
Abbiamo accettato l’idea che le intelligenze di pochi potessero sostituire un percorso collettivo, indirizzarlo e guidarlo dall’alto verso il meglio.
Soprattutto nella prima fase di costruzione di AreaDG – in parallelo a questo processo – abbiamo visto emergere con forza le dinamiche territoriali, rafforzarsi le posizioni individuali legate alla capacità di azione, a fini di consenso, sui territori, nel ruolo di bacini elettorali. E un chiaro riflesso di queste dinamiche si è avuto nell’autogoverno.
Con questa alterazione abbiamo anche noi conosciuto il leaderismo e l’indebolimento del metodo dialettico, del ragionamento collettivo e della ricerca di sintesi, a vantaggio della linea unica e della ratifica plebiscitaria delle decisioni prese altrove.
Anche il confronto in Magistratura democratica sul percorso di strutturazione di AreaDG ne ha risentito. Poche volte e, da parte di pochi, le scelte da compiere sono state oggetto di un confronto esplicito e aperto.
Al congresso di Roma ho parlato di processi paralleli a quelli dichiarati e ribaditi nelle mozioni congressuali unitarie. Percorsi non esplicitati nei nostri luoghi di discussione e di confronto. Per questo ne ho parlato con preoccupazione.
Un segnale chiaro di rischio per la coesione del gruppo e di abbandono.
I fatti mi hanno dato ragione.
In quel congresso abbiamo raccolto chiari segnali del distacco di una parte del gruppo, già in atto silenziosamente da tempo, che si è poi manifestato nel voto di astensione sulla mozione unitaria e sulla elezione della dirigenza. Da lì si è aperta una nuova fase che ha avuto altre tappe significative. L’esclusione del segretario di Magistratura democratica da luoghi di interlocuzione costante e di confronto sull’autogoverno non preannunciata né discussa né mai chiarita; le dimissioni di tre componenti del CSM; la fuoriuscita di altri iscritti, molti parte della dirigenza di AreaDG o in passato di Magistratura democratica, sulla base di un documento politico di rottura (Il Tempo delle scelte), di attacco aperto alla linea della segreteria, e di sostanziale invito agli altri iscritti ad abbandonare il gruppo.
Ciascuno è in grado di valutare quanto le ragioni di quella scelta fossero fondate e proporzionate ai loro effetti.
E di giudicare se questa dirigenza ha represso il dissenso interno, guidando il gruppo verso l’autoreferenzialità e la chiusura, dividendo e indebolendo il percorso di AreaDG, o se invece la linea unitaria ha dato sempre concretissima prova di sé con il sostegno unitario, decisivo e convinto al progetto di AreaDG, e a tutti i candidati chiamati ad attuarlo nell’autogoverno e in ANM.
Non dobbiamo lasciare inascoltato quel campanello di allarme.
Quelle scelte hanno segnato non solo la volontà individuale di cambiare percorso, ma anche l’obiettivo politico di abbandonare unilateralmente ogni prospettiva di progetto unitario; di rimarcare la frattura fra un prima e un dopo e il venir meno delle condizioni minime non solo per poter restare insieme ma per poter persino dialogare. Una prospettiva che noi rifiutiamo, e che va nella direzione di un disconoscimento reciproco, di creazione di due fronti contrapposti e di incompatibilità fra chi si pone dall’una o dell’altra parte.
7.4. Sono convinta che non avremo un futuro se non saremo in grado di rivolgere lo sguardo in avanti, a quello che ci attende; di continuare ad essere un luogo aperto di confronto e di pensiero critico. Se non avremo l’ambizione di un progetto ampio, di essere punto di riferimento per tutto il campo progressista, e di aggregazione intorno ai valori condivisi e ai valori da difendere.
Per questo mi auguro che il dibattito del nostro congresso sappia guardare al futuro, e trasmettere con forza il messaggio di un gruppo che non si chiude ma costruisce, e guarda oltre e fuori di sé.
Per ripartire in questa direzione è necessario prendere atto che solo un nuovo assetto può rimettere le nostre dinamiche sui binari giusti del confronto utile e della prospettiva di impegno unitario.
Non una di quelle vicende, per quanto laceranti, che hanno segnato le nostre difficoltà interne, può in sé giustificare la perdita dell’obiettivo politico di unità del fronte progressista.
E non saranno altre alchimie statutarie o formule descrittive di totali o parziali cessioni di sovranità, procedure di preventive o successive interlocuzioni, a dare risposta alla necessità di non perdere questa prospettiva.
Un obiettivo politico deve essere perseguito politicamente. Partendo da un confronto paritario sui contenuti e sulle scelte da compiere; dal riconoscimento reciproco delle specificità di ogni soggetto collettivo e della loro complementarità; dalla consapevolezza di quanto costruito in questi anni, e dall’esperienza positiva in territori e uffici.
Partendo da un’assunzione di responsabilità reciproca rispetto alla ricerca anche faticosa, ma costante, delle possibili convergenze; dall’impegno a dare rappresentanza al pluralismo della magistratura di orientamento democratico e progressista, e alle istanze dei singoli che sono, e vogliono continuare ad essere, come qualcuno ha detto, multilevel e che, con la loro presenza in AreaDG e in Magistratura democratica, intendono continuare nel percorso di un progetto comune portato avanti in questi anni.
Nessuno può espropriare gli iscritti della libertà di scelta, e qualunque soluzione statutaria si adotti in AreaDG per ridefinire e chiarire l’assetto dei rapporti con i gruppi fondatori, va salvaguardata la libertà di scelta. E il senso della scelta di tutti coloro che vogliono continuare ad essere portatori di una prospettiva di impegno unitario.
8. Magistratura democratica e il suo futuro.
La storia di Magistratura democratica è stata la storia di una crescita.
E di un gruppo che non vuole fare mera testimonianza.
Con l’apertura all’esterno, e una forte presenza nella magistratura, Magistratura democratica ha saputo esercitare un’influenza profonda sull’intera istituzione giudiziaria.
Questo è ancora il percorso da seguire.
Oggi scontiamo la difficoltà nel ritrovare luoghi di confronto con una magistratura ormai profondamente cambiata, e la disarticolazione di molte sezioni sui territori e negli uffici ci impone di ripensare a modi di partecipazione e di coinvolgimento.
Ma il nostro percorso, per quanto faticoso, deve proseguire lungo le linee di azione indirizzate tanto al dialogo con la società quanto ad incidere sulla cultura della magistratura.
Un percorso oggi fatto di difficoltà e di complessità, che non si prestano, nell’analisi e nelle conclusioni, a semplificazioni, slogan o parole d’ordine.
Ma in questo contesto Magistratura democratica è presente. E non solo perché vive di un glorioso passato. È presente perché ha un futuro, e continuerà a fare la sua parte.
E anche in questa promessa di futuro non siamo e non saremo soli.
Roma, 27 giugno 2021.
[1] Le famiglie con minori in povertà assoluta sono oltre 767 mila e le maggiori criticità – sottolinea il rapporto- emergono anche in termini di intensità della povertà, che misura quanto poveri sono i poveri.
[2] Le persone straniere in povertà assoluta sono oltre un milione e 500 mila, con una incidenza pari al 29,3%, contro il 7,5% dei cittadini italiani.
[3] Risoluzione del 21 gennaio 2021 sulla prospettiva di genere nella crisi COVID-19 e nel periodo successivo alla crisi.
[4] Risoluzione del Parlamento europeo del 17 dicembre 2020 “Un’Europa sociale forte per transizioni giuste”.
[5] Secondo un report pubblicato dal Centre Delàs d’estudis per la pau, Building walls, Fear and securitization in the European Union, a 30 anni dalla caduta del muro di Berlino, risultavano ricostruiti nei paesi membri dell’Unione Europea e nell’area Schegen all’incirca 1000 km di muri, più di sei volte il totale della lunghezza del muro di Berlino.
[6] Continuando a discutere: settore penale – I incontro telematico nazionale 30 aprile 2020; Continuando a discutere: settore civile – II incontro telematico nazionale 8 maggio 2020; Continuando a discutere: il processo del lavoro - IV incontro telematico nazionale 27 maggio 2020, https://www.magistraturademocratica.it/articolo/continuando-a-discutere-i-prossimi-incontri-nazionali-telematici_3069.php
[7] Continuando a discutere: il diritto penale dell’economia. I reciproci condizionamenti fra pandemia e governo dei fenomeni economici –III incontro telematico nazionale, 26 maggio 2020
[8] Continuando a discutere: MD, la crisi, le proposte – “Riforma della legge elettorale del CSM” - V incontro telematico nazionale, 3 giugno 2020 https://www.radioradicale.it/scheda/607283/la-riforma-della-legge-elettorale-del-consiglio-superiore-della-magistratura
[9] Continuando a discutere: MD, la crisi, le proposte - “Carriera, direttivi, discrezionalità del CSM” - VI incontro telematico nazionale, 6 giugno 2020 https://www.magistraturademocratica.it/articolo/carriera-direttivi-discrezionalita-del-csm
[10] https://www.magistraturademocratica.it/articolo/un-magistrato-per-il-cittadino-autogoverno-o-eterogoverno-della-magistratura_3005.php, https://www.radioradicale.it/scheda/578470/un-magistrato-per-il-cittadino-autogoverno-o-eterogoverno-della-magistratura
[11] Seminario del 20 marzo 2021, https://www.magistraturademocratica.it/articolo/dalla-crisi-e-dalle-cadute-nel-governo-della-magistratura-all-attacco-alla-giurisdizione
[12] Seminario del 12 marzo 2021 https://www.magistraturademocratica.it/articolo/trattamento-rieducativo-e-giustizia-riparativa-per-una-nuova-penalita
[13] Seminario del 14 ottobre 2020 https://www.magistraturademocratica.it/articolo/europa-migranti-e-richiedenti-asilo--per-una-svolta-di-civilta_3108.php
[14] Seminario del 14 maggio 2021, https://www.magistraturademocratica.it/articolo/il-nocchiere-in-gran-tempesta-20281
[15] Seminario del 19 febbraio 2021, https://www.magistraturademocratica.it/articolo/diritto-e-genere-dal-pregiudizio-all-orgoglio
[16] Seminario del 26 marzo2021 https://www.magistraturademocratica.it/articolo/in-mezzo-al-fango-e-alla-neve-la-rotta-balcanica-fuori-e-dentro-i-tribunali
[17] Seminario del 9 giugno 2021 https://www.magistraturademocratica.it/articolo/la-palestina-i-palestinesi-giustizia-pace-e-liberta
[18] Seminario del 18 maggio 2021, https://www.magistraturademocratica.it/articolo/la-carta-dei-diritti-fondamentali-e-i-diritti-sociali
[19] Conferenza del 18 settembre 2020, https://www.magistraturademocratica.it/articolo/pubblico-ministero-e-stato-di-diritto-in-europa_3050.php
[20] Seminario del 4 e 5 giugno 2021, https://www.magistraturademocratica.it/articolo/il-ruolo-del-pm-nella-giurisdizione
[21] https://www.questionegiustizia.it/rivista/la-disciplina-dell-emergenza-covid-19
[22] Magistrati oltre la crisi (Rivista trimestrale n. 3 del 2019 https://www.questionegiustizia.it/rivista/2019-3.php
[23] Giustizia riparativa, vittime e riforma penale. Osservazioni alle proposte della Commissione Lattanzi, in QG online 23 giugno 2021.