Introduzione a cura di Nello Rossi
Introduzione a cura di Nello Rossi già avvocato generale presso la Corte di cassazione; componente del Comitato direttivo della Scuola della magistratura
1. Mi sforzerò di usare il voi nel parlarvi
Vi ringrazio di avermi chiamato ad intervenire nel congresso di Md a ragionare insieme a voi di questioni di giustizia.
Mi sforzerò di usare il “voi” nel parlarvi, anche se temo che non ci riuscirò sempre.
Lo farò non per marcare una alterità o una distanza ma perché siete “voi” che negli uffici e nell’esercizio della giurisdizione siete e sarete chiamati a reggere l’urto ed a sentire il peso delle difficoltà di fare giustizia nell’Italia di oggi.
La mia presenza qui e quella di altri magistrati non più in servizio dice però già una cosa importante.
Che la magistratura non imita la brutalità di certa politica, non rottama, ma tiene insieme generazioni ed esperienze diverse, vivendo questo legame come una ricchezza ed una risorsa umana ed intellettuale.
2. I due temi di fondo del congresso
Nella nitida ed approfondita relazione di Mariarosaria Guglielmi sono già enunciati e sviluppati i due temi di fondo di questo congresso.
Il primo – chiaro e lineare sotto il profilo intellettuale – ma che sarà oggetto di più di uno scontro, forse di aspre battaglie, è la riaffermazione e la difesa delle regole basilari della giurisdizione nella stagione del populismo trionfante.
Il secondo tema su cui sarà necessario una riflessione approfondita in magistratura è l’analisi della posizione istituzionale e professionale dei giudici italiani e dei problemi che dovranno affrontare nel nuovo ambiente politico ed istituzionale del Paese, governato da un esecutivo che, per bocca dello stesso presidente del Consiglio, si definisce populista.
Su questo ultimo aspetto c’è ancora molto da scavare e da capire.
Con spirito critico ma senza pregiudiziali di sorta.
Lo faremo con contributi diversi dei magistrati che prenderanno la parola dopo di me discutendo i diversi tratti delle politiche populiste nell’ambito del lavoro (Piero Curzio), sul versante dell’immigrazione (Cecilia Pratesi), nel campo del diritto penale ((Simone Spina) e sul terreno del carcere e dell’ordinamento penitenziario (Marco Puglia).
3. Nelle aule di tribunale non dovrà esserci posto né per “amici” né per “nemici” del popolo
Ci sono però aspetti di fondo della politica e della cultura di segno populista sui quali è legittimo e doveroso che i magistrati di orientamento democratico dicano o meglio ricordino subito quale è la loro posizione.
Innanzitutto, che non ci sarà retorica populista o appello al popolo - e alla sua volontà interpretata dal leader di turno - che possa far dimenticare il fatto che nelle aule di tribunale il giudice ed il pubblico ministero si misurano e continueranno a misurarsi con “casi” e con “persone”, riconoscendo diritti, accertando fatti e valutando responsabilità.
Non dovrà esserci spazio per “amici del popolo”, che pretendano di sottrarsi alle loro responsabilità in virtù dell’investitura o del consenso popolare.
E neppure ci sarà posto per aprioristiche condanne di “nemici del popolo” che i magistrati dovrebbero limitarsi a ratificare.
Non è scontato ribadirlo quando siamo recenti testimoni di una vicenda – quella della autorizzazione a procedere per una ipotesi di reato ministeriale formulata nei confronti del Ministro dell’Interno - che, per il modo in cui è stata gestita è riuscita a mortificare insieme il ruolo del parlamento e del giudiziario.
Lo dico senza alcuna considerazione di un merito che so essere difficile e controverso.
Affidare ad una consultazione telematica di persone “ignare” dei dati di fatto un giudizio delicato e cruciale come quello sulle condizioni per l’autorizzazione a procedere ha significato in un colpo solo svilire il ruolo dei parlamentari, dalla legge chiamati a decidere in scienza e coscienza, ed affermare il terribile principio che sulle questioni di giustizia si può deliberare senza conoscere.
Due ferite che ogni persona ragionevole dovrebbe considerare molto gravi per lo Stato di diritto al di là - lo ripeto-- dei personali convincimenti sull’operato del Ministro dell’Interno e che è folle definire, come pure è avvenuto, una “vittoria della democrazia”.
Neppure è scontato riaffermare che dinanzi al pubblico ministero ed ai giudici non ci sono “nemici del popolo” nel momento in cui - senza reazione alcuna del governo e del Ministro della Giustizia - assistiamo a manifestazioni di protesta anche violenta contro decisioni delle Corti alle quali si addebita di non essersi allineate ad un verdetto popolare già scritto.
Dunque nelle aule di giustizia, dal primo grado sino alla Corte di cassazione, né amici né nemici del popolo ma persone con un comune corredo di garanzie e di diritti ed eguali di fronte alla legge.
Non si “attacca” l’Arma dei carabinieri quando si fa un processo difficile come quello sulla morte di Stefano Cucchi.
Non si mette in discussione il ruolo della polizia di Stato quando si indaga sulla morte di una persona in occasione del suo arresto e sui possibili abusi di chi ha il monopolio legale dell’uso della forza.
Non si nega il sacrosanto diritto di legittima difesa quando si condanna per tentato omicidio, dopo una accurata ricostruzione dei fatti, chi ha sparato ad un ladro già immobilizzato ed ormai incapace di offendere.
Semplicemente si ricorda a chi volesse dimenticarlo che, come diceva già Sant’Agostino, lo Stato senza diritto è una banda di briganti.
4. Popolo e minoranze: eguali di fronte ai giudici
Il secondo punto da sottolineare è che, in conformità al ruolo che gli è assegnato dalla Costituzione, i magistrati saranno chiamati a garantire le libertà ed i diritti fondamentali delle molte minoranze per così dire trasversali che compongono una società che resta pluralista ed articolata come quella italiana.
Libertà e diritti fondamentali che non possono essere compressi o negati né in nome del popolo-nazione inteso come un tutto organico plasmato dalla storia o dalla tradizione né in nome di una rosseauviana volontà generale comunque rilevata o registrata.
Troppo spesso, nella teoria e nella prassi del populismo si sostiene la primazia assoluta ed indiscutibile della volontà del popolo, interpretata dai capi, non temperata da diritti e libertà individuali e destinata a non subire impacci o limiti che non siano letti e condannati come il frutto di resistenze di privilegiati, di manovre antipopolari, di macchinazioni e di complotti.
In questa impostazione c’è evidentemente un pericolo grande per la giurisdizione, per il suo libero ed imparziale esercizio e per coloro che amministrano giustizia.
Ma vi è anche una insidia estrema per lo stesso parlamento, come la prima fase della esperienza populista sta dimostrando, e per altre istituzioni decisive per la vita democratica: la libera stampa, le autorità indipendenti, le istituzioni tecniche, le burocrazie neutrali, tutti coloro che servono la Repubblica e non il governo di turno e meno che mai i capi populisti.
I rischi, lo sappiamo, sono destinati a crescere in modo esponenziale se e quando alcune facili ricette populiste urteranno contro la realtà.
Allora, se non prevarrà la ragione, non si cercheranno le cause degli insuccessi ma i sabotatori, i traditori del popolo.
Ed anche i magistrati potranno essere annoverati, per il solo fatto di fare il loro mestiere, tra coloro che intralciano e ostacolano la realizzazione del disegno populista.
5. I magistrati italiani nella stagione del populismo: un’analisi sul campo
Detto questo, i congressi non si fanno solo per riaffermare i principi ma per interrogarsi, per capire, per ragionare insieme.
Di qui il tema di questa sessione: i magistrati italiani nella stagione del populismo.
Tutti sono consapevoli che ad ogni passo, nella loro concreta esperienza professionale, i magistrati entreranno in contatto con le politiche legislative di una maggioranza e di un esecutivo che rivendicano il loro carattere populista.
Ai magistrati spetterà decidere le inevitabili controversie sul diritto a percepire il reddito di cittadinanza e sulla possibilità di ottenere la pensione alle nuove condizioni normative.
Saranno i magistrati che dovranno applicare le severe sanzioni per le false dichiarazioni ed attestazioni in queste materie.
Ai giudici toccherà gestire le nuove procedure in materia di diritto di asilo e l’emergenza sociale di una gran massa di immigrati che è illusorio rinviare nei paesi di provenienza – come ha sperimentato il Ministro dell’interno che pure questo aveva promesso agli elettori – ma che è pericoloso lasciare senza programmi di insegnamento della lingua, senza alcuna politica di integrazione, senza altra prospettiva che non sia la disperazione sociale.
Sarà compito dei giudici garantire un carcere nel quale non si marcisca e si viva privati si della libertà ma non della dignità e di una seria prospettiva di riscatto e di recupero alla società.
E l’elenco potrebbe continuare estendendosi ai temi da sempre tormentati del diritto e del processo penale, della sicurezza, del contrasto alla grande criminalità ma anche dell’illegalismo diffuso – che il populismo per spirito demagogico tende a sottovalutare - di chi si arricchisce non pagando i contributi ai lavoratori, violando le norme sull’edilizia e sull’ambiente, evadendo le tasse.
A fronte di questa congiuntura i giudici, anche se volessero, non potrebbero rimpicciolirsi, non potrebbero mettersi di lato, schivando problemi e pericoli.
Meglio, dunque, avviare una riflessione aperta e problematica sui singoli aspetti delle politiche populiste ma anche sul fenomeno populista e sulle sue complesse ripercussioni nel nostro ed in altri paesi.
Una riflessione da svolgere con la consapevolezza di vivere nel Paese dei due populismi.
Una peculiarità, questa, che fa dell’Italia quasi un unicum nel panorama mondiale.
Forse solo in Francia si sono verificate convergenze in qualche modo analoghe a quelle che vediamo in atto in Italia, che peraltro sono state bloccate sul nascere dal sistema elettorale francese.
Il caso italiano, la singolarità del populismo double face, meriteranno dunque considerazioni particolari e specifiche.
6. Perché l’esplosione del populismo?
La peculiarità italiana del duplice populismo non deve però oscurare il fatto che gli avvenimenti del nostro Paese sono parte di un fenomeno di portata mondiale.
Dopo una lunga incubazione, dopo anni di presenza minoritaria, marginale o folkloristica sulla scena sociale e politica i movimenti di segno populista sono venuti prepotentemente alla ribalta, con un’accelerazione proprie delle fasi storiche rivoluzionarie.
Le più antiche democrazie del mondo, che per secoli abbiamo considerato come esempi e modelli, nonostante le loro imperfezioni, hanno decretato la prepotente affermazione di leader e di movimenti populisti e sono percorse da spinte popolari che hanno rimesso in discussione politiche economiche e sociali, alleanze internazionali ed assetti istituzionali consolidati.
La presidenza Trump e la Brexit sono questo.
Giovani democrazie come quelle di molti paesi dell’Est europeo dall’Ungheria di Victor Orban alla Polonia sono state rimodellate nel giro di pochi anni in senso autoritario nel nome di una democrazia dichiaratamente illiberale, gerarchica, propensa a divorziare dalle libertà e dalla garanzia dei diritti individuali.
Come estrema convulsione, paesi che sembravano incamminati sulla via della democratizzazione sono precipitati nell’abisso di dittature odiose e della repressione più feroce, come nel caso della Turchia.
Da quale nodo di problemi irrisolti, da quale grumo di ansie, di pulsioni, di sofferenze e di insofferenze deriva l’esplosione populista?
Ed ancora: il fenomeno che chiamiamo populismo può produrre una sorta di divaricazione tra democrazia e il sistema di libertà e di garanzie che abbiamo sempre considerato come una componente essenziale dello Stato democratico di diritto? C’è, in altri termini, il rischio di una cesura tra democrazia, diritti individuali e libertà?
Ed infine: a quali nuove tensioni sarà sottoposto il giudiziario nell’età del populismo?
Sono interrogativi che stanno di fronte ad ogni cittadino attento alle vicende collettive.
E sono domande ineludibili anche per i magistrati di orientamento democratico.
La magistratura di orientamento progressista ha iscritto l’aggettivo “democratico” nella sua ragione sociale.
Così è per “magistratura democratica” e così è per “area democratica per la giustizia”.
Nel chiamarsi e nel definirsi entrambe “democratiche”, queste realtà collettive hanno voluto dire subito, già nel nome, che il rapporto con il demos, il dialogo con il popolo, l’attenzione alle istanze popolari sarebbero stati la loro stella polare nel pensare i problemi della giustizia e dei diritti.
Il contrario, dunque, di ogni atteggiamento elitario, di superiorità, di aristocratico isolamento.
Un modo di essere che dovrebbe mettere al riparo da due reazioni molto diffuse nei confronti del fenomeno populista: l’irrisione e l’indignazione.
Né l’una né l’altra di queste reazioni aiutano a capire quello che sta accadendo, entrambe sono cattive consigliere e precludono il necessario sforzo di comprensione.
7. Alle origini del populismo: la crisi, la crescita delle disuguaglianze, le migrazioni
Con questo spirito di apertura critica occorre ragionare delle cause che stanno alla radice dell’esplosione populista e sui diversi aspetti del populismo, sapendo distinguere, all’occorrenza, tra le istanze popolari che stanno alla base del populismo e le politiche populiste.
Deve essere chiaro che “comprendere” non equivale a condividere o ad accettare.
Ma la comprensione è la premessa di ogni azione, anche della ricerca degli antidoti più efficaci alla possibile deriva negativa di una democrazia priva di adeguate garanzie dei diritti e limitatrice delle libertà.
Alcuni dei fattori genetici del populismo i magistrati li hanno toccati con mano nella loro esperienza professionale, altri li hanno visti in anticipo e tempestivamente denunciati, mentre altri, occorre ammetterlo, sono stati per loro imprevisti, sorprendenti ed amari.
I fattori genetici del populismo, dicevo: la crisi economico finanziaria iniziata nel 2007, la dimensione assunta dai fenomeni migratori e le reazioni che essi hanno innescato, l’acuirsi delle disuguaglianze sociali.
Quest’ultimo aspetto, la crescita delle disuguaglianze all’interno della società, Magistratura democratica, in ragione della sua sensibilità sociale, lo ha posto al centro della sua riflessione, prima e più di altri, nel congresso di Bologna, individuando in esso una mina sociale da disinnescare con politiche appropriate che sono in larga parte mancate.
Inoltre, per larghi strati della popolazione la lunga recessione economica, che ha scosso le economie avanzate, ha avuto una funzione di dolorosa pedagogia.
Essa ha infatti “rivelato” che l’economia globalizzata non è sempre e comunque un gioco cooperativo dal quale tutti traggono qualche vantaggio ma una competizione che riserva ai perdenti - a volte intere regioni e settori produttivi - un futuro di declino e di marginalizzazione.
Nella stretta della crisi e in assenza di poteri pubblici in grado di controllare gli effetti della globalizzazione, i cittadini più svantaggiati di molti dei paesi più ricchi del mondo si sono sentiti privati delle antiche protezioni e drammaticamente incerti sul futuro di fronte alla crescita delle tecnologie labour saving, alle diverse forme di delocalizzazione produttiva, allo spostamento dei centri decisionali in colossali società multinazionali o in istituzioni internazionali e sovranazionali connotate da un rilevante deficit democratico.
È in questo contesto che la crescita delle migrazioni è stata avvertita dagli strati sociali economicamente più deboli come una minaccia insieme economica, sociale, demografica e culturale.
E ciò non tanto e non solo sul versante della, spesso inesistente, concorrenza per il lavoro quanto sul terreno della fruizione dei servizi sociali, delle politiche di sostegno ai meno abbienti, della vasta penetrazione di stranieri in aree del tessuto urbano, dell’alterazione di stili tradizionali di vita.
Senza una credibile e visibile politica di integrazione dei migranti che si trovano sul territorio nazionale e senza una programmata politica di gestione dei flussi migratori questa sensazione di minaccia rischia di far ritenere velleitaria e di travolgere brutalmente ogni idea di accoglienza, generando pulsioni e veleni, come la xenofobia ed il razzismo, che credevamo relegati in un oscuro passato,
8. Il populismo non sarà una parentesi
A queste preoccupazioni reali ed angosciose per grandi masse di cittadini, le risposte offerte dai populisti sono apparse tanto più convincenti in quanto presentate come semplici, praticabili, a portata di mano, facilmente risolutive.
In economia, la spinta ad un rientro nei confini degli Stati nazione, l’aspirazione a ritornare padroni in casa propria, l’insofferenza per uno Stato meramente regolatore, cioè per pubblici poteri incapaci o impacciati nell’intervenire sulle situazioni di crisi economica.
Che altro sono le politiche protezionistiche perseguite negli Usa, la spinta al recupero di sovranità nazionale nel Regno Unito, il sovranismo affermatosi in molti paesi europei, con il corredo di contestazione della Ue e della sua funzione di regolazione?
In politica, l’affermazione dell’identità nazionale di contro alle prospettive di società multietniche e multiculturali ed al ruolo degli organismi internazionali o sovranazionali, prima tra tutte l’Unione europea.
Sul versante sociale, la domanda di protezione economica del lavoro e del reddito reindirizzata allo Stato nazionale.
Sono perciò discutibili ed inappropriate le rappresentazioni unilaterali e talvolta caricaturali del consenso ai populisti che ignorano ogni aspetto strutturale di questa realtà e si esauriscono nella denuncia delle manipolazioni e delle operazioni demagogiche che pure abbondano nell’armamentario populista.
Proprio in ragione delle sue cause strutturali il populismo non sembra destinato ad essere una parentesi, un’ondata che si ritrarrà più o meno rapidamente lasciando riemergere intatto il panorama preesistente.
9. E in Italia? Non uno ma due populismi
E in Italia? In Italia, come si è detto, si è detto si è di fronte non ad uno ma a due populismi.
Preceduti da una lunga stagione di prepopulismo, di declino o sparizione dei partiti, di trasformazioni della democrazia, di diseducazione alla politica.
Anche da noi nelle ultime elezioni i due partiti populisti hanno offerto una risposta alle due domande di fondo che le persone comuni pongono ad una democrazia.
Che cosa chiede, infatti, il cittadino alla democrazia?
Avere la sensazione di poter decidere, attraverso la democrazia, del destino proprio e della comunità cui appartiene e avere prospettive di sicurezza economica e sociale e di miglioramento della propria condizione.
A queste due istanze il populismo di destra ha risposto “sovranismo”, riduzione del carico fiscale, “protezione” dei piccoli operatori economici e professionali (le partite Iva), “accoglimento” delle richieste dell’ampia platea degli aspiranti al pensionamento.
Il populismo left wing ha risposto “democrazia diretta” e “reddito di cittadinanza”.
In sostanza due vie di uscita diverse dallo status quo, due speranze differenti di cambiamento.
Naturalmente occorre esercitare l’arte della distinzione tra queste diverse proposte senza mai accomunarle in un unico giudizio.
Personalmente, ad esempio, trovo criticabile che una parte della sinistra tradizionale usi, per contestare il reddito di cittadinanza – una misura di politica economica per più aspetti indispensabile e di cui occorre se mai favorire una razionale applicazione – gli stessi argomenti e le stesse immagini della destra più conservatrice.
Dimenticando di aver acriticamente esaltato un’altra misura mirata ad un preciso target elettorale come quella degli 80 euro riservata ad una fascia economica intermedia della società e del tutto ininfluente sulle forme più estreme di povertà.
Molto si dovrà discutere nel merito della assurda illusione “sovranista” di risolvere i problemi del Paese ponendosi fuori o contro l’Unione europea, offrendo una risposta suicida che nessun deficit di democrazia della attuale Unione europea può giustificare.
Così come si dovrà affrontare il tema dei limiti invalicabili della democrazia diretta, del suo rapporto con la democrazia rappresentativa e delle materie non sottoponibili a referendum propositivi (prima tra tutte quella penale).
Ma questi temi che dovranno essere oggetto di una discussione razionale sono oggi messi in secondo piano dal fatto che la diversità radicale della proposta politica non implica affatto una inconciliabilità tra i nostri due populismi.
10. Contraddizioni ed osmosi tra i due populismi
Forse le contraddizioni tra i due movimenti di ispirazione populista sono davvero insanabili.
Forse assisteremo ad una sorta di resa dei conti tra queste due anime del populismo nostrano.
Per il momento vanno però registrati alcuni fenomeni di osmosi.
Osmosi sul versante delle politiche dell’immigrazione.
Coincidenze sul terreno delle polemiche contro l’Ue, facile bersaglio paralizzata - come è - tra le deliberazioni spesso ininfluenti della Commissione e del Parlamento e i veti degli Stati o del Consiglio dei ministri.
Avvicinamenti e compromessi sul piano delle politiche sociali caratterizzate da una sommatoria al ribasso delle promesse fatte in campagna elettorale.
Sintonie sul terreno del giudiziario dove trovano eguale accoglimento le diverse pulsioni verso un ordinamento penale più duro, sbrigativo, feroce (legittima difesa, area del penitenziario).
Si potrebbe dire: populismi diversi ma potentemente accomunati dal fatto di essere populisti a dispetto delle originarie differenze di cultura e di impostazione.
11. I punti di forza della giurisdizione
Non è compito dei magistrati dire se questo processo di parziale osmosi e questa combinazione di politiche diverse produrranno effetti economicamente positivi, esiti socialmente più giusti o genereranno nuove crisi e condurranno al declino economico e sociale.
In altri termini: non spetta ai giudici, in quanto tali, dire se il 2019 sarà un anno bellissimo o un annus horribilis.
Anche se nessuno può impedire loro di leggere i dati della situazione economica e sociale del Paese.
È certo solo che nulla sarà facile e scontato per la magistratura nell’epoca del populismo.
Personalmente sono fiducioso che i punti irrinunciabili del mestiere dei magistrati saranno anche i loro punti di forza.
La società delle molte minoranze, che nel giudice ripongono la loro unica speranza; il sindacato dei lavoratori nella sua ritrovata unità; la rete pluralistica della società italiana che non accetta di farsi omologare e travolgere nell’indistinto universo populista: queste ed altre realtà collettive offriranno il sostegno sociale necessario - insisto “necessario” - alla giurisdizione ed alla magistratura per non farsi snaturare e continuare ad assolvere alla sua funzione nella stagione del populismo.
Se e quando non basterà citare norme, anche delle leggi più alte, invocare carte, convenzioni e precedenti, rivendicare gli insegnamenti dei maestri per far vivere la forza ragionevole del diritto, dovrà essere la società che ha bisogno del giudice a proteggerne la funzione, come altre volte è accaduto in passato nei momenti cruciali della storia del Paese.
L’altro punto di forza sarà l’unità della magistratura.
Unità della magistratura nel suo complesso.
Unità da ribadire dopo che è stata incrinata con incredibile leggerezza da chi, proprio e solo in nome dell’unità, ha rivestito le più alte cariche della associazione dei magistrati italiani.
Unità da rivendicare sulla base della storia e dei principi dell’ANM, anche polemizzando apertamente con chi sembra oggi propenso a svendere storia e principi dell’associazione.
Ma, prima ancora, unità della magistratura di orientamento democratico e progressista che deve essere preservata con un quotidiano esercizio di pazienza ed a prezzo di ogni fatica.
Questa unità, infatti, non è solo un bene prezioso per i magistrati di orientamento democratico ma è, in un certo senso, un bene collettivo che appartiene all’intero mondo del lavoro e delle classi svantaggiate ed agli ultimi nella scala sociale oltre che all’opinione pubblica democratica del Paese.