Intervento di Elena-Simina Tănăsescu

Docente di Diritto Costituzionale comparato ed europeo, Università di Bucarest

Sia pure in estrema sintesi, farò un discorso che risulterà, per la specificità del contesto nazionale portato ad esempio, in parziale controtendenza a quanto è stato detto qui oggi: i dati relativi alla Romania si prestano, in qualche misura, a una diversa configurazione del fenomeno.

 Il concetto di populismo non è nuovo; se riferito alla materia penale, è sicuramente molto più vecchio delle problematiche che interessano la nostra discussione. La paura dell’alterità, i pregiudizi, le modalità atte a frazionare una società, creando in essa antagonismi capaci di favorire un dato ideale a scapito di una giustizia imparziale, non rappresentano elementi di novità.

Osservato dalla prospettiva del diritto costituzionale, il populismo odierno si presenta come un esercizio autoritario del potere statale, fondato su una rivendicazione – falsa o vera che sia –: coloro che governano sono i veri rappresentanti del “popolo”. Ne deriva un disprezzo profondo per le élite e i “tecnocrati”, che conta i giudici tra i suoi primi destinatari. Il populismo è, inoltre, alimentato da sentimenti anti-pluralisti, anti-liberali e, in fin dei conti, anti-costituzionali (anche queste non sono novità!). Peraltro, accade che, in un Paese come la Romania, il populismo penale sia stato strumentalizzato secondo modalità differenti rispetto all’Italia e ad altri Stati europei.

 Per molti anni, la Romania ha condotto – e ufficialmente continua a sostenerla - una lotta contro la corruzione istituzionalizzata, quasi una corruzione “di Stato”. Riprendendo quanto già richiamato dai precedenti relatori, la lotta contro la corruzione non ha una vittima identificata o identificabile. Per esemplificare, pensiamo al famoso riciclaggio di denaro che ha coinvolto, tre anni fa, la vicina Moldavia: un “buco” di un miliardo di euro, pari a tre volte il bilancio annuo nazionale. Ebbene, questi reati di corruzione non possono avere una vittima determinata ma riguardano un Paese nella sua integralità.

Nell’andamento della politica penale rumena anti-corruzione, la corsa del pendolo va ora in direzione contraria: da un aumento accelerato della lotta alla corruzione si è passati all’estremo opposto, dove si assiste a una politica “populista”, sebbene diversamente connotata (parlando del populismo governativo, non esprimo un giudizio di valore in senso politico: si sa che il populismo si manifesta, in prima battuta, in ambito legislativo ed esecutivo e che, in genere, è orientato contro i magistrati; questo, però, non impedisce a un populismo giudiziario di manifestarsi). Nella loro agenda, sia il Parlamento che il Governo in carica non mettono l’accento sulla lotta alla corruzione, ma piuttosto sulla necessità di una politica penale “morbida”, il che appare quantomeno contraddittorio. Non solo: il Governo persegue una politica, oltre che di prevenzione, anche di clemenza verso gli autori di reati in genere e verso persone condannate che, effettivamente, si trovano in condizioni detentive molto difficili. Questa politica di clemenza sottolinea – giustamente - tutto quanto è stato detto qui oggi: il fatto che una repressione penale eccessiva non può ottenere i risultati sperati e la necessità, al contrario, di immaginare politiche pubbliche che siano capaci di perdonare. Ma proprio qui sta la manipolazione. Il Governo non parla di politiche di inclusione o di modalità di prevenzione effettiva, né parla di come “restituire” alla società, attraverso il loro reinserimento, le persone che sono state condannate. Semplicemente, si fa riferimento al perdono dei soggetti riconosciuti colpevoli dalla giustizia. Ci troviamo di fronte a un populismo che, con impulso pendolare, oscilla verso l’altro estremo e che ha già iniziato a minacciare gli stessi magistrati.

Nei limiti di questo breve intervento, mi sento in dovere di segnalare le diverse misure di natura legislativa che, concentrate nella riforma del 2018, sono state adottate allo scopo di attuare questa politica penale.

In Romania abbiamo tre leggi sulla giustizia[1]. Le nuove disposizioni introdotte prevedono la possibilità, per i magistrati, di accedere al pensionamento anticipato (18 anni di anzianità, a partire dall’età di 45 anni), parallelamente a un’ammissione alla professione subordinata a uno stage preparatorio quinquennale. A questo punto, è lecito interrogarsi sulla gestione delle risorse umane interna del sistema giudiziario. Un’altra modifica introdotta riguarda alcune specificazioni relative alla responsabilità professionale e patrimoniale dei giudici che siano ritenuti colpevoli di errori giudiziari. Ancora, lo spazio del contenzioso amministrativo è stato ridotto a favore del contenzioso costituzionale, reso da una Corte costituzionale di nomina politica (il contenzioso amministrativo è affidato a magistrati con funzioni giudicanti), quindi da un organismo professionale tecnocratico. Infine, in seno alla Procura generale, è stata creata – e appena attivata - una sezione speciale di inchiesta riservata ai magistrati, con il compito di trattare unicamente i dossier che presentino una qualsiasi connessione con l’attività di un magistrato: quindi, non solo le infrazioni eventualmente commesse, ma ogni documento a cui tale attività potrebbe, in qualche modo, ricollegarsi.

Nell’ambito della stessa policy, è stata promossa una riforma dell’ordinamento penale.

Il codice penale rumeno e qualche legge speciale in materia sono stati emendati allo scopo di ridurre la sfera di applicazione delle sanzioni anti-corruzione per condotte quali l’abuso di potere o il traffico di influenze illecite, sospettate di essere – a torto o a ragione – violazioni fortemente connotate in senso “soggettivo” e, per questo, di non costituire “vere e proprie” violazioni. Pertanto, chi ne sia ritenuto colpevole dovrebbe beneficiare più della clemenza che della giustizia penale.

La riforma ha toccato anche il codice di procedura penale, con l’effetto di rendere non solo molto più complesse le intercettazioni, ma anche obbligatorio l’annullamento di provvedimenti giudiziari – comprese sentenze definitive - rese sulla base di queste.

 Per altro verso, è stata introdotta la possibilità di adottare strumenti compensativi per la criticità delle condizioni in cui versano i detenuti – ancora una volta, si tratta di un problema “classico” ricorrente, molto grave e riconosciuto -, al fine di impedire una condanna della Romania da parte della Corte europea del diritti umani.

Infine, come ultimo aspetto di questa politica di clemenza e di “giustizia” - non a favore del reo o della vittima- ma  delle idee, capace di manipolare il sistema penale in funzione di determinati obiettivi politici, troviamo la strumentalizzazione del concetto di identità costituzionale. Quest’ultima è stata interpretata dalla Corte costituzionale rumena, anziché secondo le garanzie proprie di un meccanismo democratico di attribuzione delle competenze, in forza di un ri-orientamento su valori anti-europei, quasi a voler modellare l’identità nazionale sulle divergenze esistenti tra un singolo Paese e la portata del processo di integrazione europea.

 In conclusione, non risulta affatto che il populismo penale sia altro dall’oggetto sul quale si sono soffermati i precedenti relatori. Al contrario, da questa “istantanea” sulla Romania, si evince semplicemente che il populismo, anche nella materia in questione, è assai contestuale e dipende in misura notevole dall’impiego che si fa della politica. Il populismo penale resta una manipolazione delle policy pubbliche tesa al raggiungimento di un obiettivo di ordine politico, non alla ricerca di un maggiore equilibrio nel funzionamento della giustizia.

 
* Trascrizione e traduzione a cura di Virgilio Mosè Carrara Sutour
[1] l. n. 303/2004, sullo status dei giudici e dei pubblici ministeri; l. n. 304/2004, in materia di organizzazione giudiziaria; l. n. 317/2004, sul Consiglio superiore della magistratura