Conferenza di MEDEL: conclusione di Luigi Ferrajoli
Professore emerito di Filosofia del Diritto, Università di Roma Tre
Premessa
Voglio anzitutto esprimere il mio ringraziamento per l’invito a questo vostro congresso. E voglio subito esprimere il mio apprezzamento per la bella relazione introduttiva della segretaria generale Mariarosaria Guglielmi.
Come antico esponente di Md – entrai in Md nel lontano1967 e vi rimasi per tutti gli otto anni della mia vita di magistrato – ho partecipato a quasi tutti i 22 congressi di Magistratura democratica. Ebbene, nella relazione di Mariarosaria ho sentito gli accenti della Md dei suoi anni migliori: la stessa passione civile, lo stesso entusiasmo politico, la stessa radicalità intellettuale, la stessa capacità di analisi critica e di progettazione politica che furono proprie dei tempi più gloriosi di questo straordinaria, preziosa associazione di magistrati che è Magistratura democratica.
Condivido interamente la riflessione di Mariarosaria sulle attuali derive populiste, anti-politiche e xenofobe del nostro sistema politico e sulla crisi da esse innestata della nostra democrazia costituzionale. Il populismo al Governo ha infatti un’intrinseca vocazione anti-costituzionale, che gli proviene dall’assunzione, come unica fonte di legittimazione del sistema politico, della volontà popolare, indebitamente identificata, sulla base del responso elettorale e senza mediazioni partitiche, con la volontà del ceto politico investito dal voto. Di qui la sua intolleranza per i limiti e i vincoli imposti alla politica dai diritti fondamentali e dai principi costituzionalmente stabiliti, per la separazione dei poteri e il controllo giudiziario e, per altro verso, per il confronto parlamentare e per le opposizioni politiche. Di qui la sua inevitabile e pericolosa vocazione a trasformare la democrazia parlamentare in un’autocrazia elettiva. Si tratta, va aggiunto, di una crisi della democrazia non soltanto in Italia, ma anche in molti altri Paesi europei, avendo l’Europa, come ha scritto Mariarosaria Guglielmi, «venduto l’anima» con le sue politiche di chiusura e negazione della dignità dei migranti e con le regressioni illiberali che stanno sviluppandosi in tanti suoi stati membri, dall’Ungheria alla Polonia, dalla Romania alla Bulgaria e alla Repubblica Ceca.
Ma ciò che più di tutto ho apprezzato della relazione Guglielmi è stata la riproposta di un tratto distintivo della vecchia identità di Md: «la scelta di campo a favore dei diritti e dei soggetti deboli» (p. 27), alternativa alla consonanza con le politiche dominanti e al rifugio rassicurante nel vecchio formalismo e tecnicismo. È una scelta che non contraddice affatto il costume di terzietà e di imparziale soggezione alla legge che deve contrassegnare la giurisdizione, giacché essa altro non è che la scelta in favore della Costituzione, cioè del principio di uguaglianza e dei diritti fondamentali costituzionalmente stabiliti. La scelta per i diritti fondamentali costituzionalmente stabiliti equivale infatti alla scelta di campo a favore dei soggetti deboli che di quei diritti sono i titolari insoddisfatti e i cui diritti sono più gravemente violati: una scelta, perciò, delle loro istanze di uguaglianza e delle loro aspettative di garanzia, le quali sono perciò la fonte etico‑politica di interpretazione e per così dire di inveramento dei valori costituzionali e fanno del giudice un garante dei diritti delle persone contro i poteri, proprio perciò da questi indipendente quale contro-potere, collegato alla sovranità popolare tramite la garanzia dei diritti costituzionalmente stabiliti come diritti di tutti.
1. La questione migranti
Ebbene, i soggetti deboli per antonomasia, titolari di diritti fondamentali violati e insoddisfatti, sono oggi soprattutto i migranti. Per questo stare dalla parte della Costituzione e dei diritti fondamentali in essa stabiliti vuol dire, come dice il bel sottotitolo del vostro congresso, stare «dalla parte dei sommersi». Per questo l’opzione ideale per i diritti fondamentali che la Costituzione vi impone in quanto magistrati è oggi tutt’uno con la scelta a sostegno dei migranti. Per questo la questione migranti è oggi il banco di prova di tutti i valori stabiliti dalla nostra Costituzione come dalle Costituzioni di tutti i Paesi europei e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione: l’uguaglianza, la dignità delle persone, i diritti umani a cominciare dal diritto alla vita, la solidarietà, che sono tutti valori oggi pesantemente violati dalle politiche di questo Governo e da quelle dell’intera Europa.
Dico subito che questo Governo e, in particolare, il Ministro dell’interno Salvini non hanno affatto inaugurato, ma hanno solo proseguito le politiche e le pratiche contro gli immigrati del precedente ministro Minniti e quelle degli altri Governi europei. Ci sono però quattro gravissime differenze qualitative nell’operato di questo Governo rispetto a quello dei Governi passati, tutte connesse all’approccio populistico alla questione dell’immigrazione e tutte corrispondenti ad altrettante perversioni del tradizionale populismo penale.
1.1. La prima differenza è il carattere criminogeno assunto oggi in Italia dalle leggi e dalle politiche governative in tema di sicurezza. Mi limito a ricordare due misure il cui effetto sarà quello di accrescere la devianza, la marginalità sociale e l’insicurezza.
La prima è il decreto cosiddetto “sicurezza” voluto dal ministro Salvini, che oltre alle solite misure punitive ha ridotto le forme di integrazione e soppresso di fatto il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ne sta seguendo l’espulsione dal sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) e dai centri di accoglienza straordinaria (Cas) di decine di migliaia di migranti, gettati sulla strada come irregolari e destinati ad alimentare l’emarginazione sociale e la delinquenza a beneficio ulteriore della politica della paura. Si tratta di una misura disumana e crudele, stupidamente persecutoria, con la quale migliaia di persone perfettamente integrate nella società italiana vengono strappate dal loro mondo e trasformate in persone illegali e virtualmente devianti: giacché sempre le persone escluse dalla società civile sono esposte e disposte ad essere incluse nelle società incivili o illegali o peggio nelle organizzazioni criminali.
La seconda misura criminogena è la proposta di legge sull’estensione dei presupposti della legittima difesa. Nel testo approvato al Senato viene di fatto soppresso il requisito della proporzionalità tra difesa e offesa, semplicemente con l’aggiunta che tale requisito ricorre “sempre”, senza possibile valutazione da parte del giudice, in caso di violazione di domicilio, e quindi anche nel caso di chi in casa propria spari per difendere i propri beni. Non è solo una riforma carica di valenza simbolica dato che antepone, come ha detto Mariarosaria Guglielmi, l’inviolabilità del domicilio e dei beni all’inviolabilità della vita umana. E’ anche una misura che provocherà l’aumento degli omicidi, oltre che dei suicidi e degli infortuni dovuti all’uso di armi da fuoco. Basti pensare al numero attuale degli omicidi in Italia, dove nessuno va in giro armato, e al loro numero in America, dove tutti possono comprare armi: meno di 400 omicidi in un anno in Italia, 66.000 in Brasile, circa 30.000 negli Stati Uniti e in Messico dove tutti si armano per paura. Non è azzardato prevedere che l’uso delle armi promosso da Salvini porterà anche da noi il numero degli omicidi e dei suicidi ai livelli americani.
1.2. La seconda differenza delle politiche di questo Governo in tema di migranti rispetto alle politiche del passato è ancor più inquietante. Consiste nel fatto che il consenso popolare viene perseguito, dagli odierni populismi, non soltanto nei confronti di misure punitive, ma anche nei confronti di politiche e di pratiche che apertamente violano i diritti umani delle persone e talora consistono in veri e propri reati: come la preordinata omissione di soccorso, la chiusura dei porti (misura informale equivalente di fatto a un provvedimento discriminatorio, perché adottato unicamente nei confronti delle navi recanti a bordo migranti), la costrizione dapprima dell’Aquarius e della Diciotti e poi della Sea-Watch a vagare in mare con i loro carichi sofferenti di centinaia di persone, il trattenimento in ostaggio e perciò la privazione della libertà dei migranti a bordo di queste navi. Qui il populismo penale consiste nella ricerca del consenso non già facendo leva sulla paura per la criminalità di strada e inasprendo le pene, bensì ostentando politiche esse stesse illecite, consistenti in violazioni massicce dei diritti umani. Va aggiunto che il ministro Salvini ha non solo commesso, ma ha anche rivendicato il reato di sequestro di persona contestatogli dalla Procura di Agrigento e per il quale è stata chiesta l’autorizzazione a procedere, nonché tutte le altre disinvolte violazioni di norme di diritto interno e di diritto internazionale: dalle norme del codice penale sull’omissione di soccorso al Testo Unico sull’immigrazione del 25 luglio 1998 che vieta il respingimento indiscriminato di quanti intendono chiedere asilo, nonché di minori stranieri non accompagnati e di donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi al parto, dalla Convenzione di Amburgo sulla ricerca e il salvataggio marittimi del 27 aprile 1979, che impone di operare i salvataggi «nel modo più efficace possibile» portando i naufraghi in un «porto sicuro», cioè nel porto più vicino, fino al principio elementare del diritto del mare, oltre che delle tradizioni marinare di tutti i paesi civili, secondo cui chi rischia la vita in mare deve essere comunque salvato.
Ebbene, questo cumulo di illegalità, ostentatamente disumano, sta provocando una catastrofe della quale l’Italia e l’Europa dovranno un giorno vergognarsi e saranno, dalla storia, chiamate a rispondere. Negli anni 2014-2016 centinaia di migliaia di persone furono salvate dalle navi della Marina militare italiana e della Guardia costiera, dalle navi delle Ong, le quali da sole hanno salvato ben 46.796 persone nel solo 2016, e dai mercantili di passaggio. Ma ora, a causa della preordinata omissione di soccorso decisa dal Governo con la chiusura dei porti, la strage continua in dimensioni ben maggiori. Poiché la Marina militare italiana viene tenuta a distanza, le navi delle Ong sono state allontanate e i mercantili girano al largo per non perdere giorni di viaggio a causa dell’impossibilità di trasferire a terra i migranti salvati, altre migliaia di naufraghi resteranno senza soccorsi e moriranno affogati, ovviamente lontano dai nostri occhi e dalle nostre coscienze. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), nel 2018 ben 2.275 persone sono affogate nel Mediterraneo e il tasso di mortalità, lungo la rotta Libia-Europa, che nel 2017 è stato di un decesso ogni 38 arrivi, è stato nel 2018 di un decesso ogni 14 arrivi. Inoltre l’85% dei migranti tratti in salvo nell’area di mare libica sono stati consegnati alla Libia dove sono stati incarcerati nelle ben note condizioni spaventose. A causa dell’omissione di soccorso, lo scorso 18 gennaio sono affogati ben 117 migranti dei 120 naufraghi al largo della Libia. Si è trattato di una strage, di cui questo Governo porta la responsabilità, dato che esso non solo non si è direttamente attivato, ma con la chiusura dei porti e l’allontanamento delle navi della nostra Marina e delle navi delle Ong ha di fatto impedito che altri prestassero soccorso a questi disperati.
Sono queste gigantesche omissioni di soccorso e, soprattutto, la loro aperta rivendicazione e ostentazione i tratti principali per i quali questo Governo cosiddetto «del cambiamento» passerà tristemente alla storia e che valgono a oscurare, per la loro drammatica immoralità e illegittimità, tutte le altre politiche governative. Non si tratta solo di politiche che alimentano il veleno razzista dell’intolleranza e del disprezzo per i diversi quale veicolo di facile consenso. L’esibizione dell’illegalità e della disumanità equivale a deprimere la moralità corrente e ad alterare, nel senso comune, le basi del nostro stato di diritto: non più la soggezione alla legge e alla Costituzione, ma il consenso elettorale quale fonte di legittimazione di qualunque arbitrio, persino se delittuoso.
1.3. Vengo così alla terza differenza delle politiche di questo Governo contro i migranti rispetto a quelle messe in atto dai Minniti e dai Macron e che assimila semmai il ministro Salvini al presidente americano Trump. Essa consiste nel fatto che la violazione dei diritti umani, mentre era occultata da Minniti, viene ora sbandierata come fonte di consenso. Di qui il veleno distruttivo immesso nella società italiana del quale ci ha parlato Laura Boldrini. Il ministro Salvini non si limita a interpretare la xenofobia, ma la alimenta e la amplifica, producendo due effetti distruttivi sui presupposti della democrazia.
Il primo effetto è l’abbassamento dello spirito pubblico e del senso morale nella cultura di massa. Quando l’indifferenza per le sofferenze e per i morti, la disumanità e l’immoralità di formule come «prima gli italiani» o «la pacchia è finita» a sostegno dell’omissione di soccorso sono praticate, esibite e ostentate dalle istituzioni, esse non solo sono legittimate, ma sono anche assecondate e alimentate. Diventano contagiose e si normalizzano. Sollecitano l’odio per i diversi. Non capiremmo, altrimenti, il consenso di massa di cui godettero il nazismo e il fascismo. Queste politiche crudeli stanno avvelenando e incattivendo la società, in Italia e in Europa. Stanno seminando la paura e l’ostilità per i soggetti più deboli. Stanno logorando i legami sociali. Stanno screditando, con la diffamazione di quanti salvano vite umane, la pratica elementare del soccorso di chi è in pericolo di vita. Stanno fascistizzando il senso comune. Stanno svalutando i normali sentimenti di umanità e solidarietà che formano il presupposto elementare della democrazia.
Stanno, infine, costruendo le basi ideologiche del razzismo; il quale, come scrisse lucidamente Michel Foucault, non è la causa ma l’effetto delle oppressioni e delle violazioni dei diritti umani: la «condizione»”, egli scrisse, che consente l’«accettabilità della messa a morte» di una parte dell’umanità. In tanto, infatti, possiamo accettare che ogni anno decine di migliaia di disperati vengano respinti o peggio affoghino nel tentativo di approdare nei nostri paesi, e che milioni di persone muoiano per fame e malattie non curate, in quanto questa accettazione sia sorretta dal razzismo. Non a caso il razzismo è un fenomeno moderno, sviluppatosi dopo la conquista del “nuovo” mondo, allorquando i rapporti con gli “altri” furono instaurati come rapporti di dominio e occorreva perciò giustificarli disumanizzando le vittime perché diverse e inferiori. Che è lo stesso riflesso circolare che in passato ha generato l’immagine sessista della donna e quella classista del proletario come inferiori, perché solo così se ne poteva giustificare l’oppressione, lo sfruttamento e la mancanza di diritti. Ricchezza, dominio e privilegio non si accontentano di prevaricare. Pretendono anche una qualche legittimazione sostanziale.
1.4. C’è poi una quarta differenza rispetto al passato e un altro effetto, non meno grave, di queste politiche anti-immigrati. Consiste nel mutamento da esse prodotto delle soggettività politiche e sociali: non più le vecchie soggettività di classe, basate sull’uguaglianza e su lotte comuni per comuni diritti che negli anni settanta avevano prodotto la sola stagione del riformismo italiano – dallo Statuto dei diritti dei lavoratori al nuovo diritto di famiglia, dal divorzio alla legalizzazione dell’aborto e alla riforma sanitaria –, bensì soggettività politiche di tipo identitario – italiani contro migranti, prima gli italiani, noi contro gli stranieri – basate sull’identificazione delle identità diverse come nemiche e sul capovolgimento delle lotte sociali: non più di chi sta in basso contro chi sta in alto, ma di chi sta in basso contro chi sta ancora più in basso, dei poveri contro i poverissimi e soprattutto dei cittadini contro i migranti, trasformati in nemici contro cui scaricare la rabbia e la disperazione generate dalla crescita delle disuguaglianze e della povertà.
Le politiche contro i migranti si coniugano così con le politiche antisociali che in questi anni hanno accresciuto la disoccupazione e il precariato nei rapporti di lavoro, provocando la disgregazione delle vecchie forme di soggettività politica collettiva basate sull’uguaglianza nei diritti e sulla solidarietà tra uguali. Espressioni come “movimento operaio” e “classe operaia”, “coscienza di classe” e “solidarietà di classe”, che per oltre un secolo sono state centrali nel lessico della sinistra, suppongono infatti l’uguaglianza dei lavoratori nelle condizioni di vita e nella titolarità dei diritti e la stabilità dei rapporti di lavoro e delle relazioni tra lavoratori. Oggi, a causa dei rapporti precari e mutevoli, perfino nelle grandi fabbriche i lavoratori neppure si conoscono tra loro. Quelle espressioni sono quindi andate fuori uso essendo venuta meno, con la precarietà e la moltiplicazione dei tipi di rapporto di lavoro, l’uguaglianza nei diritti, sicché i lavoratori, anziché solidarizzare in lotte comuni, sono costretti a entrare in competizione tra loro.
Questo mutamento di struttura della società, prodottosi in questi anni in Italia come in gran parte delle democrazie occidentali, è stato provocato da molti fattori. Ma io credo che il principale fattore sia rappresentato dalle politiche contro il lavoro: la precarizzazione dei rapporti di lavoro, la loro arbitraria differenziazione in decine di rapporti atipici, la distruzione dell’uguaglianza nei diritti e con essa della solidarietà di classe su cui si basavano la soggettività politica dei lavoratori e la forza delle lotte sociali. Politiche liberiste contro il lavoro da un lato e politiche populiste contro i migranti dall’altro hanno così dato vita a due processi, l’uno di scomposizione e l’altro di ricomposizione sociale: la disgregazione delle tradizionali soggettività di classe basate sull’uguaglianza e la solidarietà, e la riaggregazione in chiave reazionaria di nuove soggettività identitarie basate sull’intolleranza per i differenti, primi tra tutti quei differenti per antonomasia che sono i migranti.
Si è trattato di due azioni congiunte e complementari messe in atto dalle due destre – le destre razziste e le destre liberiste, di fatto alleate – che hanno prodotto un ribaltamento della direzione della vecchia lotta di classe: non più gli operai contro i padroni e i poveri contro i ricchi in nome dell’uguaglianza e contro le disuguaglianze, ma i soggetti deboli contro i debolissimi e soprattutto i cittadini contro i migranti. Si è così rivelato il nesso tra la crisi delle garanzie del lavoro e la perdita del radicamento sociale della sinistra, tra il crollo dell’uguaglianza tra i lavoratori e il declino della loro rappresentanza politica, tra il mutamento della struttura dei soggetti collettivi, la crisi delle basi sociali del pluralismo politico e la svolta reazionaria prodottasi, non solo in Italia, in quest’ultimo trentennio. Del resto l’alleanza perversa tra sovranismi razzisti e liberismo si manifesta anche sotto un altro aspetto: i sovranisti, con la loro rivendicazione di un’illusoria sovranità nazionale, sono oggi i maggiori avversari che si oppongono alla costruzione di una sfera pubblica europea, e in prospettiva globale, in grado di imporre limiti e regole ai poteri selvaggi dei mercati.
2. Tre anticorpi culturali all’attuale deriva della democrazia
Domandiamoci a questo punto: cosa è possibile fare contro una simile deriva? Cosa possiamo fare noi – giuristi, magistrati – contro questa mutazione della società e del nostro sistema politico? Io penso che quanto meno possiamo, e perciò dobbiamo, introdurre, nel dibattito pubblico, taluni efficaci antidoti o anti-corpi democratici.
2.1. Il primo antidoto contro la corruzione del senso comune e del senso morale prodotta dall’ostentazione dell’immoralità e della disumanità delle politiche anti-migranti consiste nel chiamare queste politiche con il loro nome: si tratta di violazioni massicce dei diritti umani stabiliti costituzionalmente e, in molti casi, di veri e propri reati. È questa l’importanza civile, prima che giuridica, delle denunce e delle iniziative giudiziarie contro queste politiche al di là dei loro esiti processuali: la creazione della percezione sociale della loro illegalità, oltre che della loro immoralità, in grado di arginarne l’accettazione acritica o peggio l’aperto sostegno.
E qui vorrei sottolineare e sollecitare la percezione pubblica dell’estrema gravità della negazione parlamentare dell’autorizzazione a procedere contro Salvini. Si è trattato di un voto parlamentare non già comparabile, come ha detto Massimo Giannini, al famoso voto del Parlamento che anni fa avallò la tesi di Berlusconi sulla minorenne Ruby quale nipote di Mubarak, ma di una decisione assai più grave. Con quel voto su Ruby nipote di Mubarak, come in tutti i casi in cui è stata supposta l’esistenza di un qualche fumus persecutionis, fu infatti negata l’esistenza dei reati contestati: il vizio, in questo modo, ha reso omaggio alla virtù. In questo caso, al contrario, il reato è stato apertamente rivendicato non soltanto da Salvini, che quando ricevette la sua contestazione dichiarò che l’avrebbe incorniciata e appesa al muro come una medaglia, ma dall’intero Governo che l’ha difeso in nome di un preminente interesse pubblico. Con quel voto a favore del ministro Salvini questa maggioranza ha così deliberato che è nel «preminente interesse pubblico» la violazione dei diritti umani e dei doveri di solidarietà stabiliti dalla nostra Costituzione. Ha affermato, in breve, l’insindacabilità della politica, così negando la sostanza del costituzionalismo e dello Stato costituzionale di diritto e archiviando il sistema dei limiti e dei vincoli imposti dalla Costituzione al potere politico. E a questo proposito dobbiamo riconoscere che l’articolo 9 della legge costituzionale del 16.1.1989 – che ha previsto una simile negazione dell’autorizzazione a procedere sulla base della «valutazione insindacabile» della maggioranza, del cui sostegno i ministri godono per definizione, «che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico» – equivale a una mina collocata sotto l’assetto costituzionale della nostra democrazia: una mina esplosa con quel voto del 19 febbraio scorso.
2.2. Il secondo anticorpo contro la deriva in atto è la vergogna, della quale ci ha parlato stamattina Gianrico Carofiglio e che dobbiamo provocare con un appello alla coscienza civile di tutti. Di quanto sta accadendo dovranno, un giorno, vergognarsi non soltanto gli attuali governanti, ma anche quanti li hanno votati e li sostengono con il loro consenso. Costoro non potranno dire: non sapevamo. Nell’età dell’informazione sappiamo tutto. Siamo a conoscenza delle migliaia di morti provocati dalle nostre politiche. Sappiamo perfettamente che in Libia i migranti vengono torturati, stuprati, schiavizzati, uccisi. Conosciamo esattamente le forme di sfruttamento fino alla riduzione in schiavitù cui sono sottoposti, in Italia, molti migranti. Per questo difendere i diritti dei migranti significa anzitutto difendere noi stessi. Per questo affermare la dignità dei migranti come persone equivale ad affermare e a difendere la nostra dignità. Per questo rifiutare la parola d’ordine «prima gli italiani» equivale a rifiutare il razzismo che ad essa sta dietro e difendere, contro il razzismo, l’identità democratica del nostro paese.
È questa vergogna, io credo, che deve portarci ad auspicare che i terribili effetti della chiusura delle frontiere dei Paesi ricchi – le penose odissee di quanti fuggono dalla miseria, dalle guerre o dalle persecuzioni, le migliaia di persone che muoiono ogni anno nel tentativo di raggiungere le nostre coste, le decine migliaia di disperati che si affollano ai nostri confini contro barriere e fili spinati – saranno un giorno condannati come gli orrori dei nostri tempi che imporranno al costituzionalismo del futuro un nuovo mai più: l’affermazione e la garanzia della libertà di circolazione sul pianeta di tutti gli esseri umani, lo ius migrandi appunto come autentico diritto ad avere diritti, condizione elementare dell’indivisibilità e dell’effettività di tutti gli altri diritti della persona oggi sanciti nelle tante carte dei diritti facenti parte del nostro diritto internazionale ma sistematicamente violate. Si stabilirebbe così il presupposto elementare di un costituzionalismo globale. Si chiuderebbe il mezzo millennio del falso universalismo dei diritti umani inaugurato con la proclamazione del diritto di emigrare ad uso esclusivo delle politiche di conquista dell’Occidente. Si rifonderebbe la dignità di tutti gli esseri umani – dei migranti, ma anche di noi stessi – in quanto ugualmente persone e si avrebbe un aumento della qualità della vita di tutti.
2.3. È precisamente questo il terzo e forse il più importante anticorpo. Esso consiste nella cattiva coscienza che dobbiamo creare intorno all’enorme contraddizione tra le attuali politiche contro l’immigrazione e tutti i valori costituzionali. Consiste perciò nella scelta che la questione dei migranti impone alla coscienza civile di tutti: se i diritti umani e la dignità delle persone vadano presi sul serio o se si ridurranno, a causa delle loro massicce violazioni, in una vuota e insopportabile retorica. Dei diritti umani, infatti, fa parte anche il diritto di emigrare. Questo diritto è stabilito dalla nostra Costituzione, che lo enuncia nell’articolo 35, 2° comma, e nel diritto internazionale, che lo afferma negli articoli 13, 2° comma, e 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani e nell’articolo 12, 2° comma, del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966. Non solo. Esso è il più antico dei diritti fondamentali, essendo stato formulato fin dal secolo XVI da Francisco De Vitoria a sostegno della conquista del “nuovo mondo”, quando erano gli europei a emigrare per colonizzare e depredare il resto del pianeta, e poi da John Locke, che lo pose alla base del diritto alla sopravvivenza: il quale, egli scrisse, diversamente dal diritto alla vita contro la violenza omicida non richiede garanzie, essendo assicurato dal lavoro, sempre accessibile a tutti purché lo si voglia quanto meno emigrando nelle «terre incolte» dell’America dove c’è «terra sufficiente a bastare al doppio dei suoi abitanti».
Ebbene, prendere sul serio i diritti umani stabiliti in tutte queste carte vuol dire, di nuovo, chiamare con il suo nome – diritto fondamentale – anche questo diritto, e quindi assicurare la libertà di circolazione delle persone al pari della libertà di circolazione delle merci. Vuol dire abbattere le frontiere. Non è un’ipotesi utopistica o estremistica, ma al contrario un imperativo realistico di ragione. I flussi migratori sono fenomeni strutturali e irreversibili, frutto della globalizzazione selvaggia promossa dall’attuale capitalismo, che né le leggi, né i muri, né le polizie di frontiera saranno mai in grado di fermare ma solo di drammatizzare e clandestinizzare. Inoltre, come ha mostrato Thomas Pogge in un libro di dieci anni fa su La povertà e i diritti umani, «la povertà nel mondo è molto più grande, ma anche molto più piccola di quanto pensiamo… La sua eliminazione richiederebbe poco più dell’1% del prodotto globale»: precisamente l’1,13% del Pil mondiale, circa 500 miliardi di dollari l’anno, meno del bilancio annuale della difesa dei soli Stati Uniti. È certo, d’altro canto, che l’Occidente non affronterà mai seriamente i problemi che sono all’origine delle migrazioni di massa – la miseria, la fame, le devastazioni ambientali – se non li sentirà come propri, e non li sentirà mai come propri se la pressione degli esclusi alle sue frontiere non diventerà irresistibile.
Naturalmente so bene che nessun uomo politico potrebbe oggi sostenere una simile tesi. Non potrebbe farlo a causa di due aporie, l’una relativa allo spazio e l’altra al tempo, che vincolano la politica e la democrazia: gli spazi angusti dei territori rappresentati e i tempi brevi delle scadenze elettorali e dei sondaggi ai quali sono ancorati il consenso e la rappresentanza politica. Ma questo non è una ragione sufficiente – ed è anzi una ragione di più – perché la cultura giuridica dica le cose che la politica non riesce a dire. Sostenere e mostrare che il diritto di emigrare è un diritto vigente, che in quanto tale richiede di essere garantito significa nient’altro che prendere il diritto positivo sul serio, rilevarne la normatività e criticare come un’indebita lacuna la mancata produzione delle sue garanzie e delle connesse funzioni e istituzioni di garanzia. Se la politica non è capace di dire tutto questo, se non ha il coraggio, perché vittima della demagogia, di riconoscere che il diritto di emigrare è stato sempre ed è tuttora un diritto di tutti, allora è la cultura giuridica e politica che deve dirlo, sul piano scientifico ancor prima che su quello politico. È questo ruolo critico e progettuale che il costituzionalismo rigido, disegnando con i diritti e gli altri principi costituzionali il “dover essere giuridico” del diritto positivo, ha imposto alla scienza del diritto e ovviamente alla politica: un dover essere – i principi costituzionali presi sul serio – dalla cui attuazione peraltro, come continuano ad ammonirci realisticamente i preamboli alla Carta dell’Onu e alla Dichiarazione universale dei diritti umani, dipende il futuro della convivenza pacifica e, dobbiamo oggi aggiungere, dell’abitabilità del pianeta.
Una politica realista, oltre che informata all’uguaglianza e alla garanzia della dignità e dei diritti fondamentali di tutti, dovrebbe insomma avere il coraggio di assumere il fenomeno migratorio come l’autentico fatto costituente di un futuro ordinamento internazionale basato sull’effettiva uguaglianza di tutti gli esseri umani, il diritto di emigrare come il potere costituente di questo nuovo ordine globale e il popolo meticcio ed oppresso dei migranti, con le sue infinite differenze culturali, religiose e linguistiche, come il popolo costituente dell’umanità futura quale unico popolo globale, anch’esso meticcio perché formato dall’incontro e dalla contaminazione di più nazionalità e di più culture, senza più differenze privilegiate né differenze discriminate, senza più cittadini né stranieri perché tutti accomunati dalla condivisione, finalmente, di un unico status, quello di persona umana, e dal pacifico riconoscimento dell’uguale dignità di tutte le differenze. L’alternativa, dobbiamo saperlo, è un futuro di regressione globale, segnato dall’esplosione delle disuguaglianze, dei razzismi e delle paure e, insieme, delle guerre, dei terrorismi e della generale fragilità e insicurezza.