Conferenza di MEDEL: intervento di Elly Schlein
Europarlamentare gruppo Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici
Volevo ovviamente ringraziare Magistratura Democratica per questo gradito invito.
Cosa si può fare, cosa si deve fare ormai? Permettetemi di partire da una categoria non giuridica (anche se sono giurista anch’io): la categoria della ipocrisia. Perché è la prima parola che mi viene in mente a dovervi riassumere cosa ho visto in questi cinque anni di lavoro sui temi dell’immigrazione e dell’asilo a Bruxelles. Ipocrisia da tanti lati, ma forse quello più sconcertante riguarda proprio la riforma del Regolamento di Dublino.
Voi sapete che la riforma del Regolamento di Dublino è la chiave, il cuore del “Sistema Europeo Comune di Asilo” di cui si parla da 20 anni (il cosiddetto SECA). Anche se dobbiamo riconoscere che purtroppo negli ultimi vent’anni siamo stati in grado di mettere in comune molto poco o quasi nulla. Forse verrebbe da dire con una forte amarezza che siamo stati in grado di mettere in comune perlopiù un grande cimitero a cielo aperto, il Mare Mediterraneo dove a migliaia si contano i morti ogni anno. C’è qualcuno, come Del Grande, che ha provato anche a farlo. Per il resto, non c’è una vera e propria armonizzazione ancora nel Sistema d’Asilo Europeo. E lasciatemi ricordare quello che già prima ha segnalato correttamente Laura Boldrini cioè l’Unione Europea ha una competenza sul tema dell’asilo mentre molto più ristrette sono le sue competenze in tema migratorio generale. Cioè c’è anche da sottolineare che qui c’è una responsabilità chiara dell’Unione Europea, ma parte del problema è senz’altro che abbiamo delle leggi nazionali che con l’Unione e il suo meccanismo decisionale non c’entrano nulla e che sono apertamente criminogene.
Come lo è quella che abbiamo in Italia che porta due nomi che sono due garanzie (Bossi- Fini). E questo decreto sicurezza, se mi concedete di partire dal nazionale per arrivare all’europeo una volta, è una straordinaria eterogenesi dei fini che fa esattamente l’opposto di quanto si propone di fare. Ma soprattutto ci ricorda la ratio che stava già dietro i famosi pacchetti di sicurezza del 2008 di Maroni, con il bel risultato che hanno ottenuto in questi anni se siamo ancora qui a parlarne. Vi ricorderete che alcune di quelle misure di mera propaganda - penso all’inserimento dell’aggravante poi per fortuna, almeno su quella, c’è stata una declaratoria di incostituzionalità - ma penso anche al reato di clandestinità che aveva come unico scopo quello di evitare tatticamente il recepimento della direttiva europea sui rimpatri e che ha avuto l’effetto di ingolfare il nostro sistema di giustizia. In particolare, il giudice di pace era competente in quel caso e anche su questo ci sarebbe molto da dire dal punto di vista del rispetto dei principi costituzionali. Però perché partire dal decreto sicurezza? Perché in realtà, come vi dicevo, l’ipocrisia è la prima categoria che mi viene in mente perché la ratio di queste norme è sempre la stessa e ha ragione chi lo diceva prima che è quella di non governare questo fenomeno, di non avere in campo queste soluzioni europee che sono indispensabili per il governo di questo fenomeno.
Il Regolamento di Dublino è quello che stabilisce per ogni richiesta di asilo, presentata nell’Unione Europea e non solo - perché ci sono alcuni Stati non membri dell’Unione che fanno parte del sistema Dublino come, ad esempio, la Svizzera (che ne ha molto beneficiato) - qual è il solo Stato responsabile di esaminare quella richiesta. Questo regolamento si basa da vent’anni e passa su un criterio ipocrita che è quello del primo paese di accesso irregolare; che è già ipocrita parlare di accesso irregolare in totale mancanza di vie alternative legali e sicure per l’accesso all’Unione e a tutti i suoi Stati membri. Perché se non ci interessiamo di come le persone possono venire ad esercitare un loro legittimo diritto, garantito dal diritto internazionale e in particolare dalla Convenzione di Ginevra, ma anche dai trattati europei e dalla nostra costituzione e, sottolineo, in una formulazione particolarmente forte all’articolo 10, se ci disinteressiamo di come fanno a venire ad esercitarlo, dobbiamo arrivare all’amara conclusione che il diritto d’asilo in Europa in realtà sia inesigibile. Perché non ci sono altri modi. Io ho incontrato una ragazza di 15 anni che scappava da sola dalle bombe di Aleppo sull’isola di Lesbo in Grecia che era bloccata da 10 mesi in attesa di un ricongiungimento familiare. È chiaro che le normative attuali stanno facendo pagare a queste persone l’incapacità nostra di mettere in campo delle soluzioni normative più efficaci e lungimiranti a beneficio di tutti.
Come dicevo, Dublino ha anche altri criteri che sono stati adottati la cui applicazione si è rivelata del tutto marginale nella pratica. Il criterio ultimo, e quello più utilizzato, è il criterio del “primo Paese d’accesso”. Ma è ipocrita, anche perché chiaramente quando hanno scritto la prima versione del Regolamento di Dublino che, ricordiamolo, ancora prima era una Convenzione - la convenzione entrata in vigore nel ‘97 è diventata regolamento europeo nel 2003. E già, nel 2003 - fatemi pensare: chi c’era al governo? Ah, sì, c’era già la Lega! - non era difficile immaginare già allora che un siffatto criterio avrebbe lasciato le maggiori responsabilità sull’accoglienza ai Paesi che si trovano ai confini per così dire caldi dell’Unione Europea come il nostro o come la Grecia. E allora finalmente in questi anni qualcosa si è mosso in Europa anche se nella direzione più sbagliata.
Vi faccio un esempio. Ricorderete quando nel luglio-agosto-settembre del 2015 ci fu un flusso molto importante sulla cosiddetta rotta balcanica, una specie di fiume umano di speranza che attraversava a piedi, scalzo, verso nord i confini dell’Unione. Ci fu una presa di posizione forte della cancelleria tedesca che disse “Wir schaffen das!” (ce la possiamo fare). Pensava probabilmente che l’avrebbero seguita e invece così non è stato; anzi, lì forse si è creata e si è rafforzata la leadership dell’ungherese Orbàn in contrapposizione a quella presa di posizione. Vi racconto questo, perché lì c’è la dimostrazione che quello europeo non sia né un tema di quante persone arrivano né di quasi risorse servano, ma esclusivamente un tema di egoismi nazionali e di incapacità di visione comune e di mettere in campo soluzioni comuni. Perché in quell’anno, nel 2015, i governi europei si impegnarono a fare 160.000 ricollocamenti dall’Italia e dalla Grecia in due anni: vi ricordate quanti ne hanno fatti più o meno in questi due anni? Poco più di 30.000. È una vergogna. Ed è una vergogna ancora di più se immaginiamo che il Canada, da solo, ha in quattro mesi reinsediato direttamente sul suo territorio 40.000 siriani. È la dimostrazione plastica che se uno Stato da solo può fare, con un oceano in mezzo, di più di 28 partner europei, non si tratti né di un problema logistico né organizzativo né di risorse, ma esclusivamente di mancanza di quella volontà politica di fare uno sforzo condiviso.
Sforzo condiviso che peraltro ci chiedono i trattati. Perché se andiamo a consultare l’articolo 78 e 80, chiedono due principi fondamentali sulla materia dell’asilo: la solidarietà e la equa condivisione della responsabilità. Ora, se siamo in una Unione in cui negli ultimi anni 6 Stati membri su 28 hanno affrontato da soli oltre l’80% delle richieste d’asilo presentate in tutta l’Unione, è chiaro che noi stiamo violando i principi contenuti nei trattati. E sulla base di questa forte argomentazione giuridica abbiamo provato a scardinare e a ribaltare la logica ipocrita del Regolamento di Dublino. È arrivata una proposta dalla Commissione europea che non posso dimenticare perché era il giorno del mio compleanno ed è stato un pessimo regalo il 4 maggio del 2016. La proposta della Commissione era debole e insufficiente perché aveva un primo embrione di meccanismo di solidarietà obbligatorio, ma scattava soltanto a soglie altissime, quindi a una crisi già avviata.
Sulla base di questo impianto, la Commissione propone una soluzione insufficiente. Noi cosa abbiamo immaginato di fare? Abbiamo immaginato invece di ribaltare letteralmente quel regolamento. Io ho scritto, con l’aiuto di molte associazioni e di esperti di asilo, 145 emendamenti e mi prendevano anche in giro perché sono molti effettivamente. Ma nemmeno io mi ero resa conto che la logica punitiva degli Stati di confine e dei richiedenti asilo era talmente radicata nel testo di questo regolamento che andava sostanzialmente riscritto tutto, trovando un’altra norma di chiusura del sistema che non fosse il criterio del primo Paese. Questo abbiamo fatto, abbiamo lavorato per due anni di duro negoziato sul tema più divisivo in questo momento, come diceva bene Riccardo, in Europa e abbiamo ottenuto una maggioranza storica nel novembre del 2017 che chiede sostanzialmente la cancellazione del criterio del primo Paese d’accesso e la sua sostituzione con un meccanismo permanente e automatico di ricollocamento che valorizzi anzitutto i legami significativi dei richiedenti asilo (perché sono persone, non è che sono pacchi che possiamo lasciare dove più ci conviene); e perché gli attuali meccanismi sono talmente restrittivi che per un banale ricongiungimento familiare si rischia di aspettare fino a due anni. Quindi noi abbiamo creato delle procedure speciali accelerate di ricongiungimento familiare e anche su altri criteri di responsabilità con la ratio di voler rafforzare e facilitare l’inserimento sociale. Per cui abbiamo inserito anche delle norme per cui valgono i titoli di studio eventualmente fatti in passato in un paese membro. Ha senso immaginare che se oggi un giornalista scappi dalla Turchia di Erdogan per ragioni molto legittime e abbia fatto una laurea negli anni Ottanta a Berlino sia la Germania responsabile per l’esame della sua richiesta d’asilo, perché avrà già una rete, conoscerà già la lingua e sarà facilitato nell’inserimento. Per farvela breve, siamo riusciti ad avere una maggioranza molto ampia dei due terzi dalla sinistra ai verdi ai socialdemocratici ai liberali fino alla maggior parte dei popolari europei a favore di questa riforma. E credo che sia stato un segnale straordinario da parte del Parlamento che almeno una delle istituzioni europee sceglie di condividere le responsabilità nella consapevolezza che di fronte ad una sfida comune, europea e globale servano delle soluzioni condivise, europee e globali.
A fronte di questa forte presa di posizione, purtroppo, come diceva Riccardo, siamo bloccati. E non è che siamo bloccati per caso, siamo bloccati perché in quanto colegislatori purtroppo non decidiamo da soli altrimenti avremmo risolto molti dei nostri guai. Siamo bloccati perché il Consiglio, l’altro ramo del legislativo europeo, ancora non è riuscito ad ottenere un minimo di accordo sulla solidarietà interna. Non solo, ma chi blocca dentro al Consiglio, ed è per questo che parlavo di ipocrisia, questa fondamentale riforma per l’Italia sono proprio gli amici dell’attuale ministro dell’interno Salvini. E trovo incredibile che riesca a fare, come ricordava Riccardo, una conferenza stampa a Milano (noi eravamo in piazza a protestare) con l’ungherese Orbàn attaccando la Francia che sicuramente può e deve fare di più sui ricollocamenti, ma che quantomeno ne ha fatti più di 4.000, quando accanto ha la persona che di ricollocamenti ne ha fatti zero sui 1.294 in tutto che doveva fare l’Ungheria in due anni, un paese di 10 milioni di abitanti. Di cosa stiamo parlando? Ecco, questa è la grande ipocrisia di quella “internazionale dei sovranisti” che si muove in tanta parte d’Europa e del mondo: che quella retorica portata agli estremi li metterebbe gli uni contro gli altri, immediati nemici da parti opposte dei muri che sognano di costruire. Lì è chiaro che è il ministro Salvini che deve spiegare perché sacrifica l’interesse nazionale su questo importante tema sull’altare delle sue alleanze politiche con Orbàn e gli altri nazionalisti di estrema destra in tutta Europa.
Sulla base di questo lavoro, noi abbiamo deciso di consegnare al prossimo Parlamento questa importante riforma. Certo non vi nascondo che se cambieranno molto gli equilibri politici all’interno del Parlamento, è possibile che la difenderanno con minore vigore. Io mi auguro che invece questo non accada. La maggioranza era sufficientemente ampia perché si possa continuare in quella direzione non appena il Consiglio, che noi stiamo continuando a premere a farlo, adotti una sua posizione su questa riforma permettendoci di arrivare al negoziato. Noi non escludiamo nessuna ipotesi. Il Parlamento continua a spingere il Consiglio a fare il suo dovere perché il Parlamento ha fatto il suo. E vi vorrei ricordare anche che il Parlamento a dicembre ha votato una risoluzione che chiede una specie di proposta di visti umanitari europei che garantirebbero quel tipo di canale alternativo legale e sicuro per l’accesso a tutti i paesi europei. E nello stesso giorno in cui quel nostro ministro si stava facendo un selfie con chi arrivava a quei corridoi umanitari organizzati non dallo Stato, ma dalla comunità di Sant’Egidio, dalle chiese evangeliche e valdesi, il suo partito votava contro la proposta di visti umanitari europei nell’aula di Strasburgo, altra grande ipocrisia mi pare.
Vorrei concludere su questo: cosa può e deve fare l’Europa? Molto semplicemente, l’Unione Europea in questo momento ha una contraddizione di fondo. Il Parlamento europeo ha difeso i principi fondamentali di solidarietà e di equa condivisione delle responsabilità. Li ha difesi in molte occasioni in questa legislatura, eppure dall’altra parte i governi europei e la Commissione europea hanno orientato tutte le politiche europee a un solo fine, quello dell’esternalizzazione delle nostre frontiere e delle nostre responsabilità. L’abbiamo visto con il cinico accordo con la Turchia che, in questa sede fatemelo dire, anche questa è una violazione dell’articolo 218 perché come accordo internazionale andava portato sul tavolo del Parlamento europeo. E quando si sono resi conto di questo piccolo dettaglio, anziché portarcelo, hanno deciso di cambiarne il nome: l’hanno chiamato “Statement”, dichiarazione, poco più che un accordo un “Gentlemen’s Agreement”. Anche questo ve la dice lunga sul tentativo che marcia di pari passo di marginalizzare il ruolo del Parlamento europeo.
Lo stesso tipo di esternalizzazione l’abbiamo vista drammaticamente con le politiche con la Libia portate avanti anche dal governo precedente, politiche che tra l’altro sono finanziate da contribuenti europei con fondi che arrivano anche alla guardia costiera libica per la sua formazione: ricordiamo che la guardia costiera libica, a detta di molti esperti, nemmeno esiste. Un’altra grande contraddizione giuridica su cui vorrei condividere un ragionamento con voi è questa: si è dichiarata una Sar libica (senza che ce ne fossero i presupposti) molto ampia. E pensate che allo stesso momento le Nazioni Unite e la Commissione europea non riconoscono nella Libia un Paese terzo sicuro. E allora come si fa allo stesso tempo a dare la responsabilità al centro di coordinamento libico quando avviene un evento Sar in quella parte di Mediterraneo? C’è un’enorme contraddizione giuridica purtroppo difficilmente sormontabile perché, come sapete, dalla Convenzione SAR sono solo gli Stati membri che possono impugnarla per lamentare eventualmente la mancanza dei requisiti per avere una propria area SAR.
Quindi oggi l’Europa davanti a un fenomeno complesso deve mettere in campo soluzioni di breve, di medio e di lungo termine. Sul breve, serve quello che chiediamo da anni: una missione di ricerca e soccorso europea perché la guerra contro le organizzazioni non governative è davvero falsa oltre che inaccettabile perché serve semplicemente a buttare fumo negli occhi e a coprire la verità che loro stanno sopperendo alla mancanza grave di una risposta istituzionale che faccia quel lavoro nel Mediterraneo come missione umanitaria europea. Sul medio termine, ribaltare il paradigma ipocrita di Dublino, come abbiamo già indicato noi a grande maggioranza nel Parlamento europeo; ma anche aprire quelle vie legali e sicure per l’accesso senza le quali queste politiche di esternalizzazione non pensino di essere originali, perché sono anni che provano a far politiche di esternalizzazione con l’unico esito di aprire nuove rotte più pericolose, sempre verso l’Italia e verso la Grecia, che arricchiscono ancora di più i trafficanti di esseri umani.
E da ultimo, certo che io la sfida la raccolgo dell’“aiutiamoli a casa loro”, ma è molto ipocrita dirlo dimenticando che le ragioni da cui scappano sono molto più vicine a noi di quello che ci piace immaginare. Riguardano i nostri modelli di sviluppo e consumo; gli effetti dei cambiamenti climatici su tanta parte dei paesi africani (che contribuiamo noi maggiormente ovviamente a creare); dipendono anche dal tipo di politiche fiscali europee che hanno un impatto estremamente negativo sui paesi africani. Perché secondo un rapporto dell’Unione africana, si perdono fino a 1.000 miliardi di dollari negli ultimi cinquant’anni di evasione e di elusione fiscale di flussi finanziari illeciti in uscita dai paesi africani. Altro che aiutiamoli a casa loro, se noi non lavoriamo su politiche europee più coerenti della cooperazione estere e migratorie, ma anche commerciali e fiscali.
Ecco io credo che non dobbiamo mai dimenticare che l’Europa si salverà soltanto se rimetterà al centro quel principio di solidarietà su cui è fondata.