MAGISTRATURA
DEMOCRATICA – XX CONGRESSO
Reggio Calabria, 27-29 Marzo 2015
Schema di intervento di Luigi
Marini
1. E’ mia impressione che il dibattito pubblico
sia oggi condotto intenzionalmente, anche nel settore che più ci riguarda,
verso un terreno di falsi conflitti che ci allontanano dai conflitti veri.
Con l’espressione “falsi conflitti” intendo riferirmi a contrasti che,
muovendo da questioni effettive, sono presentati e utilizzati in modo artificio
e ingannatorio perché pongono in radicale contrapposizione due termini che per
caratteristiche e relazioni si presterebbero a risposte e soluzioni diverse. A
titolo di esempio richiamo qui poche coppie di termini che possono far
comprendere la mia posizione:
– – Assenza della politica contro decisionismo
– – Immobilismo contro riforme
– – Spazi della politica contro spazi della
giurisdizione
– – Efficienza contro garanzie
– – Tutela giurisdizionale dei diritti contro
progresso economico-sociale
Il fatto che il dibattito politico ci porti sempre più all’interno di
queste artificiose contrapposizioni e ci faccia perdere di vista i loro esatti
contorni è elemento che concorre a far perdere di vista altri e più “veri”
conflitti, quali:
– – Poveri sempre più poveri contro ricchi sempre
più ricchi
– – Abuso dei diritti di posizione contro
compressione di molti diritti fondamentali e dei diritti sociali
– – Concentrazione dei poteri in poche mani contro democrazia
diffusa e partecipata.
Di fatto, la politica oggi vincente finisce per porre i diritti delle
persone più deboli e i diritti sociali in posizione antagonista rispetto
all’idea di sviluppo e di crescita. Non solo li presenta ai cittadini appiattendoli
in modo indiscriminato nella categoria dei privilegi, ma li pone espressamente
in competizione tra loro rispetto a chi intende assumerne le difese. In altri termini, frazionate e poste in
competizione talvolta feroce tra loro, le posizioni e le aspettative delle
persone si indeboliscono reciprocamente e i loro titolari si disperdono in
micro-conflitti “fratricidi”.
Si è in presenza di un atteggiamento della politica dominante che
potremmo definire insieme:
- Demolitorio dell’assetto istituzionale e delle
relazioni esistenti - Semplificatorio rispetto alla complessità delle
posizioni e alle loro relazioni che sono fatte di interconnessione e
interdipendenza - Ricattatorio, nel senso di porre sotto accusa e
di includere fra i “nemici” del progresso tutti quelli non accettano
l’impostazione data al dibattito e agli interventi messi in opera.
2. Da qui potremmo muovere per
leggere alcune vicende specifiche che riguardano da vicino la giurisdizione, la
sua azione complessiva e la sua stessa ragion d’essere.
Proseguendo lungo una strategia che data oramai da alcuni lustri, la
politica oggi vincente utilizza l’intervento divisivo anche nei confronti del
mondo della giustizia e in questo contesto è destinato a restare senza
soluzioni il conflitto fra domanda di giustizia, risorse disponibili e
possibilità per la giurisdizione di dare risposte in tempi ragionevoli.
Si tratta di una situazione che dura da troppo tempo e che ha generato
nei magistrati un senso permanente di frustrazione con una conseguente
reattività che assume spesso forme e contenuti non condivisibili. Né si può
tacere della progressiva involuzione culturale che accompagna comportamenti
individuali e collettivi dei magistrati sui quali non possiamo concordare. Non
ultima si manifesta una crescente richiesta di protezione che i magistrati
indirizzano sia nell’ambito dell’autogoverno sia in contesti esterni a cui
dovrebbero restare estranei.
3. Pur con tutte le differenze del caso, il sommarsi di alcuni dei
profili ora ricordati sembra riportare indietro le lancette dell’orologio e
mostrarci il rischio che con il tempo prenda vita una realtà del mondo della
giustizia, inteso in senso lato, non troppo lontana da quella che Ferrajoli,
Palombarini e molti altri dovettero affrontare allorché decisero di dare vita a
Magistratura democratica e di non adeguarsi alal cultura e alla realtà
esistenti.
4. Se dovessi fare un bilancio degli ultimi 15 anni muovendo da quanto
appena detto, finirei con il prendere atto del risultato cui è giunto il
generoso tentativo di una parte della magistratura di accettare la sfida
dell`efficienza. Di tale tentativo MD è stata uno dei protagonisti principali,
con un impegno che è cresciuto nel tempo da quando, siamo alla fine degli anni
`80 (convegno di Torino del 1986) il gruppo affronto` la natura “politica” del
dato organizzativo. Fu quello un passaggio importante, che modificava una
risalente posizione di Md e che prendeva atto del fatto che la risposta ai
bisogni delle persone e la difesa effettiva dei diritti individuali e sociali
richiedevano ormai (mutate le condizioni storiche, sociali e politiche) una
giustizia in grado di agire in modo efficiente ed efficace.
Si e` trattato da parte nostra di un gesto di onestà intellettuale,
dopo decenni di disinteresse dell`intera magistratura verso il funzionamento
degli uffici e i risultati della loro azione, e di un gesto di coerenza
rispetto all`idea che la difesa effettiva dei diritti vede nella giurisdizione
un riferimento e uno strumento essenziali.
Va oggi detto, in modo altrettanto onesto, che questo generoso
tentativo ci ha cacciati in un cul di sacco ed è causa di molte delle
difficoltà` in cui ci dibattiamo.
Continuo a definire ingiuste e sbagliate (spesso solo strumentali) le
accuse di deriva efficientista che vengono mosse a chi si è impegnato su questo
terreno: una volta evitati i rischi del “produttivismo senza qualitá”, si deve
prendere atto che la ricerca di efficienza ed efficacia richiede di mettere le
mani nel modo di funzionamento degli uffici, nelle soluzioni organizzative
individuali, nelle scelte interpretative delle leggi sostanziali e processuali.
Fare questo non significa affatto rincorrere logiche “efficientiste” ma solo
logiche di buona amministrazione.
E, tuttavia, va dato atto che non siamo stati in grado di coinvolgere
in questo disegno i diversi attori che con noi operano e senza i quali nessuna
modifica reale è possibile. Ci siamo trovati soli, come una pattuglia in
avanguardia che resta isolata. Non la politica né gli altri operatori hanno
condiviso davvero il percorso iniziato. Con il risultato che il mancato
raggiungimento degli obiettivi necessari e` diventato un fallimento che, come è
inevitabile, finisce per scaricarsi piú sui magistrati che sugli altri.
Certo, non mi nascondo che anche una parte significativa della
magistratura è rimasta estranea se non ostile al tentativo che abbiamo avviato.
Ma questo potevamo metterlo in conto e continuo a pensare che l`ostacolo
sarebbe stato superato se la politica avesse messo in campo gli strumenti
necessari e se la maggioranza degli avvocati e del personale amministrativo
avessero scommesso sul cambiamento proposto.
Trovo, dunque, paradossale che oggi le accuse di cattivo funzionamento
della giustizia vengano proprio da coloro che non hanno sostenuto come avrebbero
potuto lo sforzo che una parte dei magistrati ha operato. Ma di questo dobbiamo
prendere atto e credo che occorra dedicare a questa realtà una riflessione
specifica e approfondita.
5. E` giunto il momento di parlare di Md e del
suo ruolo all`interno della giurisdizione.
Cio` che sempre mi ha affascinato dell`agire di Md come gruppo è
rappresentato dal suo metodo, piú che dai singoli contenuti. L`agire di Md si
e` sempre basato sulla circolarità` di un percorso di riflessione che parte
dalla lettura critica della societá, della politica e del diritto e dalla
relazione con i soggetti esterni portatori di valori simili (il c.d.
“contesto”), passa attraverso il tentativo di “inverare” quella riflessione
nelle condotte individuali e nelle prassi del giudiziario (non solo nella
giurisprudenza, dunque) e giunge a una elaborazione critica piú avanzata perché
arricchita dall`esperienza e da nuove riflessioni. Tutto questo attraverso un
lavoro necessariamente COLLETTIVO, fatto di discussione e di condivisione, che
va oltre le posizioni e gli interessi del singolo.
E` questo che ha consentito per tantissimo tempo a Md di cogliere gli
aspetti della realtà che altri non vedevano
non volevano vedere e di anticipare riflessioni e soluzioni su aspetti
decisivi della giurisdizione, del suo ruolo, delle sue criticità, delle sue
potenzialità.
Per questo mi sento di affermare con nettezza che tutti coloro che
fanno mancare il loro apporto al Gruppo non impoveriscono solo sé stessi, ma
privano Md del contatto con le molteplici realtà e interrompono il circuito di
elaborazione che trova nel fare giurisdizione uno snodo essenziale di verifica
e di avanzamento. Chi fa mancare il proprio apporto, qualunque ne sia la
motivazione, compie un gesto di egoismo sul piano personale e un errore
politico: non si sta in Md e con Md solo quando il Gruppo è come vorremmo e
quanto accade ci piace, ci gratifica, ci è utile.
Fino a quando ha saputo mantenere vivo il metodo collegiale e lo
spirito di reciproco sostegno il Gruppo è stato capace di rispondere
all`affermazione di Ferrajoli, oggi da lui ricordata, secondo cui una
riflessione vera si concentra molto sulle domande che sa cogliere e generare
piú di quanto non faccia per ottenere e imporre risposte precise.
Con l`entrata in crisi di quel metodo, il Gruppo ha sofferto di
asfissia nell`elaborazione del pensiero critico, di afasia nel confronto con
gli altri, di una crescente conflittualità interna (inversamente proporzionale
al calo del senso di sé e dello slancio esterno).
6. Concludo con una osservazione personale. Se è vero che l`aumento
esponenziale dei carichi di lavoro ostacola le attivitá associative e le forme
di impegno, credo debba avere il sopravvento una diversa concezione del tempo
dedicato al Gruppo e all`associazionismo. Contrariamente a quanto sento dire
sempre piú spesso, il tempo dedicato alle riunioni, al confronto , alle
iniziative “politiche” è tempo guadagnato e non perso. Proprio perché il lavoro ci schiaccia sul
contingente e ci spinge a rinchiudere il nostro sguardo sulle necessità
immediate, i momenti di impegno collettivo costituiscono una boccata d`ossigeno
che restituisce energie al nostro cervello, ci apre verso nuovi approcci,
riporta umanitá al lavoro che facciamo, crea relazioni tra di noi e con gli
altri soggetti che non riusciamo a vedere e a considerare quando siamo sommersi
di carte.
Per me questi quattro faticosi anni dedicati a Md sono stati un
balsamo prezioso contro la solitudine e la sclerotizzazione potenziale che
derivano dal lavoro in Corte.
In un piccolo libretto di aforismi Fausto Melotti scrive: “Rispetto a ció che non è, qualunque cosa che
è, è un miracolo” (F.Melotti, Linee,
Adelphi, Milano 1981, pag.64).
Continuo a sperare che Md sia ancora a lungo questo miracolo.
(28 marzo 2015)