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Ultime nuove in materia penale, tra vuoti selettivi di tutela e misure dannose per i processi e per gli obiettivi del PNRR
Giunge ad un triste epilogo l’epopea, nel diritto penale italiano, del delitto di abuso d’ufficio.
L’articolo 323 del codice penale sin dal 1990 ha subito modifiche che, oltre a intervenire in maniera oscillante sul trattamento sanzionatorio, lo hanno ridefinito più volte nei suoi elementi essenziali. La norma di chiusura nella tutela penale del bene pubblico ha avuto vita non facile.
Limitare o allargare l’ambito applicativo di quella norma significava muovere di un passo avanti o indietro l’ultima frontiera di tutela in ambito penale del cittadino al cospetto dell’arbitrio del pubblico ufficiale, del suo comportamento interessato, deviante rispetto alla salvaguardia del bene comune.
Con l’abrogazione della norma il sistema viene troncato. Si rinuncia a quell’ultimo presidio, giustificando il tranciante intervento con un dato statistico, il numero modesto di condanne.
Non si considera, però, che i procedimenti per abuso d’ufficio si caratterizzano per la difficoltà probatoria e per l’alto tasso di tecnicismo, per istruttorie laboriose (spesso non proprio compatibili con la “tagliola” dei brevi termini di prescrizione e, oggi, di procedibilità), in cui si sviluppa un serrato contraddittorio tra le parti: fenomeni assolutamente fisiologici.
Peraltro, spesso l’abuso d’ufficio è solo il reato-spia, che emerge grazie alla denuncia di cittadini che non tollerano di assistere a indisturbate logiche clientelari. Un reato-spia in cui, però, l’indagine conduce al disvelamento di contesti di ben più grave e sistematico malaffare.
Siamo persuasi che il diritto penale non debba avere una funzione simbolica. Ma oggi è piuttosto la depenalizzazione che rischia di divenire infelice simbolo della cultura istituzionale che si vuole radicare nel nostro Paese, in controtendenza rispetto agli obblighi presi in sede europea.
Non ha più alcun rilievo penale, per i pubblici ufficiali, la mancata astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto. Ha invece rilievo penale la resistenza puramente passiva nelle carceri e nei CPR, da parte di chi vive anche in condizioni di negazione della dignità. Ha massimo rilievo penale la protesta contro la creazione di grandi opere infrastrutturali. La linea di politica criminale che emerge, già ben riconoscibile da tempo, in questi giorni sta marcando i propri contorni.
Quanto al processo penale, il legislatore mostra di voler riaffermare il proprio spasmodico interesse: alla riservatezza, quando è quella dei singoli, che conduce all’erosione graduale della disciplina delle intercettazioni; alla discovery anticipata, quando si tratta delle indagini, fino all’introduzione un contraddittorio preventivo nelle misure cautelari. Una doppia linea di tendenza che vuole, pericolosamente, ridefinire il baricentro del nostro sistema processuale.
L’introduzione del g.i.p. collegiale nei casi in cui vada “decisa l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere” è, infine, nell’ordine: fallace, contraddittoria, potenzialmente disastrosa.
Fallace, perché ampliare i casi della collegialità non equivale di per sé a un approfondimento delle garanzie. La collegialità “stimola meno i singoli”, laddove il giudice monocratico è “costretto al massimo impegno”, alla massima responsabilità “senza possibili alibi” : non siamo noi a dirlo, ma Franco Cordero nel suo Manuale.
Contraddittoria, perché sarà poi un giudice monocratico a decidere nell’udienza preliminare.
Potenzialmente disastrosa, per i tribunali. Sia quelli piccoli (che non di rado e per lunghi periodi dispongono di soli tre g.i.p.) che quelli distrettuali (oberati di richieste di misure cautelari e richieste di giudizio abbreviato per gravissimi delitti). Tutti dovranno riorganizzarsi faticosamente per evitare situazioni di incompatibilità, in un contesto di costante carenza che non può dirsi certo risolto con l’esiguo ampliamento delle piante organiche approvato, in un tempo come il nostro in cui il PNRR obbliga al raggiungimento degli obiettivi.
Ancora una volta, un guadagno esiguo e apparente per le garanzie determinerà un costo, reale e pesantissimo, per la tutela dei diritti di tutti.
L’Esecutivo di Magistratura democratica
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