Intervento al Consiglio nazionale di Md
Tracciare una strada
Giudice presso il Tribunale di Milano - Componente dell’Esecutivo di Magistratura democratica
Relazione scritta dell’intervento tenuto da Fabrizio Filice al Consiglio nazionale di Md dell’11 dicembre 2021.
Care colleghe e cari colleghi,
sono davvero contento di condividere con Voi le impressioni di questi primi mesi di un'esperienza per me inedita ed entusiasmante, qual è quella dell'Esecutivo di Magistratura democratica.
La prima sensazione di cui voglio parlare è il senso di liberazione da una narrazione ingiusta che davvero non regge più: la narrazione per cui Magistratura democratica sarebbe una corrente “egoista”, che tende a chiedere ai magistrati molto e a restituire poco; che vuole onerarvi di uno sforzo ulteriore a quello lavorativo, in termini di analisi delle conseguenze sociali e umane dell'azione giudiziaria e anche di esposizione nei confronti della società civile; essendo però subito pronta a tirarsi indietro nel momento del bisogno.
Quanti colleghi abbiamo sentito dire: “Non sono quelli di Magistratura democratica che ti aiuteranno quando ti troverai nei guai”; già, nei guai: magari a causa dei tanto temuti ritardi, spesso conseguenza di carichi di lavoro obiettivamente insostenibili; o quando ti troverai a gestire casi delicati e sarai al centro di campagne di aggressione mediatica e politica; o se dovesse succederti di trovarti, pur avendo agito in totale buona fede, nelle maglie di un procedimento disciplinare a causa di un incidente di percorso.
Questa narrazione comune, e vecchia, è quella per cui Magistratura democratica è la corrente che sparisce in questi momenti di bisogno, mentre altre correnti, magari meno attente agli aspetti sociali e politici dell’azione giudiziaria, sono però presenti nei momenti di difficoltà; assicurano ai colleghi “difese a prescindere” e si preoccupano maggiormente del loro benessere lavorativo, portando avanti politiche più propriamente “sindacali” e ultimamente andando anche oltre quelle, ad esempio premurandosi di ottenere benefit aggiuntivi, come sconti convenzionati per viaggiare in business class o per acquistare auto di fascia alta.
Non è certo mia intenzione salire in cattedra e fare considerazioni ideologiche o moraleggianti, che non mi appartengono per natura, su questo diverso modo di intendere la politica associativa; quello che mi preme sottolineare è che ciò che Emmedì fa per noi - e lo sto vivendo personalmente in questi mesi - è molto di più; è la strenua, incessante difesa - con l’unica arma che ha, la sua voce - di quello che rappresenta il vero e profondo benessere lavorativo nella vita del magistrato: la sua indipendenza, intesa non in modo astratto, come valore sociale o politico, ma come il modo concreto, per ognuno di noi, di lavorare ogni giorno; quella sfera di intangibilità che protegge il momento in cui, in qualsiasi settore lavoriamo, decidiamo una controversia, confrontandoci solo ed esclusivamente con il ragionamento giuridico, con l'approfondimento delle questioni trattate e con la nostra coscienza.
L’imprescindibile salvaguardia di questo momento, senza se e senza ma, è l'unica cosa che può darci la tranquillità nella responsabilità, enorme, di cui ci facciamo carico; e quel senso di sollievo dalla fatica: poter chiudere il fascicolo, dopo ore di studio, sapendo di avere deciso impegnandoci al massimo nel ragionamento giuridico e interrogando onestamente il nostro Foro interiore; ed essere sereni, andare a casa tranquilli, sapendo che nulla di male potrà succederci perché abbiamo agito utilizzando al meglio la nostra indipendenza e la nostra buona fede, e non dobbiamo avere paura.
Questo è il bene che fa davvero la differenza nella nostra serenità lavorativa, un'attività tutta fondata sulla determinazione individuale; ed è anche il bene più difficile da proteggere dalle insidie di questo tempo, perché richiede una difesa insieme esterna e interna.
Dal punto di vista esterno Emmedì è parte di MEDEL, l'associazione di magistrati europei impegnata in un costante monitoraggio sovranazionale sullo stato della Rule of Law in Europa, e in particolare su quelle situazioni, a noi molto vicine (Turchia Ungheria Polonia), in cui sono in atto pericolosissimi processi di normalizzazione della magistratura e di neutralizzazione della sua indipendenza.
Un’analisi preziosa, che ci restituisce, dalla visione europea in senso allargato, il focus per cogliere, anche nel diverso contesto in cui (fortunatamente ancora) viviamo, quei segnali di allarme che devono tenerci desti e farci capire che anche dietro riforme legislative varate in contesto democratico possono nascondersi pericoli per la nostra indipendenza e il nostro status.
Da qui l’esigenza di attenzione - che mettiamo anzitutto in questo Consiglio nazionale - per i progetti circolanti in tema di riforma del sistema elettorale del CSM che, se confermati, potrebbero avere effetti distorti e consegnare le prossime Consiliature a un'influenza politica inedita; da qui anche l'attenzione sui referendum in materia di ordinamento giudiziario, in particolare sulla responsabilità civile dei magistrati e sul passaggio di funzioni da PM a Giudice che, quantomeno nell'ottica dei proponenti, vorrebbe anticipare una sostanziale separazione delle carriere: eventualità, questa, a fortissimo rischio di distogliere lo statuto del Pubblico ministero da quella stessa indipendenza che caratterizza e deve continuare a caratterizzare, nel nostro ordinamento, la magistratura tutta.
Il lavoro di Magistratura democratica, e di MEDEL, rappresenta un unicum nel panorama associativo per la proficuità del dialogo e del confronto con le magistrature degli altri Paesi europei e per la profondità dell'analisi sulle aggressioni alla Rule of Law; un lavoro che può darci gli strumenti per un’analisi “circolare” e orientarci, come compagine associativa, proprio di fronte a queste recenti, discutibili, iniziative della politica.
E una difesa interna, si diceva: un sostegno per aiutarci a esercitare davvero nel modo migliore la nostra indipendenza, sapendo conciliare una qualificata conoscenza normativa, dottrinale e giurisprudenziale, in continuo aggiornamento, con un approccio autenticamente europeo nel riconoscimento e nell’uso delle Fonti e dei vari sistemi che ne nascono: il sistema CEDU, il sistema dell’Unione e il loro intersecarsi: anche per riuscire a cogliere quelli spazi aperti e inattesi che si creano proprio dal reciproco “invadersi” dei sistemi giuridici europei e nazionali: “spazi rotti” che, se li si sa dominare, possono essere riempiti di diritti che si impongono extra-fonte, con la sola forza di una relazione che riempie uno spazio accidentalmente lasciato vuoto da una “recessione normativa”.
Questo è il mondo di Questione giustizia, la nostra rivista: un luminoso punto di riferimento non solo per iscritti o simpatizzanti ma per tutti i magistrati che si pongono in relazione con le persone e che vedono i problemi, le storture, a volte le supplenze a cui sono ingiustamente chiamati, e ciò nonostante non demordono e cercano soluzioni giuridiche adeguate, e innovative, per attuare un diritto che non si allontani troppo dalla giustizia, o quantomeno non se ne allontani così tanto da doversi scusare con il nostro popolo, di continuare a chiamarsi diritto.
Questo Consiglio nazionale, e l’ordine del giorno che lo ha anticipato, vogliono tracciare una strada.
Una strada che Emmedì, nella sua composizione più ampia e senza necessità di distinzioni interne, a livello nazionale come sui territori, forte di una ritrovata voglia di amicizia e di condivisione rispetto alla quale i mezzi e i ruoli sono secondari, vuole percorrere unita.
Una strada che ci porterà a confrontarci apertamente - insieme, se sarà possibile, agli altri gruppi associativi o in dialettica con loro quando sarà necessario - su punti fondamentali ai quali non possiamo rinunciare: in primis l'affermazione che la nuova legge elettorale dovrà garantire la pluralità delle diverse sensibilità in magistratura e non dovrà ricercare, ma anzi idealmente dovrebbe fuggire, l'idea di governabilità, a fronte di un mandato, quello consiliare, che non è di governance ma di rappresentanza.
Una strada che ci porterà, insieme a tutta la magistratura progressista, a riportare il focus sulla questione di genere in magistratura, ritenendo fortemente ingiusto che la rappresentanza di genere sia relegata, insieme agli effetti proporzionali, al momento “di recupero” di un sistema elettorale spiccatamente maggioritario e tendente alla polarizzazione secca delle nostre diversità e ricchezze culturali, così mettendo in concorrenza fra loro, a contendersi gli scarti, “rappresentanza di genere” e “rappresentanza culturale”, che invece dovrebbero essere i primi due obiettivi perseguiti .
Una strada che ci porterà a chiederci quale sia la maniera migliore per prendere parte al dibattito referendario, quantomeno in relazione ai quesiti ordinamentali, e per assicurare un'efficace campagna informativa che porti i cittadini a capire che difendiamo un bene, quello della nostra indipendenza, che è importante prima di tutto per loro; quello stesso bene che in fin dei conti ha permesso di portare alla luce proprio quegli scandali di cui oggi paghiamo il prezzo più alto, in termini di perduta credibilità e fiducia.
La narrazione mediatica ha ormai trasformato le note vicende che ci riguardano in una sorta di Watergate, dimenticando che è stata invece proprio la magistratura, dal suo interno, a trovare la forza e l'indipendenza per farle emergere e per portarle, nelle diverse sedi disciplinari e penali, sotto giusto processo.
Una strada cominciata, o meglio ricominciata, lo scorso luglio, per proseguire lontano.
Un grazie e un abbraccio a tutte e tutti.
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