Prendiamo atto, anzitutto, che Bruno Giangiacomo, raggiunto da una contestazione disciplinare a seguito delle dichiarazioni rese da un’imputata nel corso di un procedimento penale, ha ritenuto di rinunciare al ruolo di componente del Consiglio Superiore della Magistratura, cui avrebbe avuto diritto a seguito delle dimissioni di Paolo Criscuoli.
Bruno Giangiacomo ha in questo modo dimostrato una elevatissima sensibilità istituzionale: in un momento di grave difficoltà dell’organo rappresentativo di tutti i magistrati, ha compiuto una scelta non certo imposta dalla pendenza di un procedimento disciplinare, peraltro relativo a fatti assai lontani nel tempo, e dunque non riferibili in alcun modo all’attività del Consiglio.
Vi è poi, nella scelta di Bruno Giangiacomo e nelle motivazioni che l’hanno accompagnata, la limpida riaffermazione della difesa dell’autonomia e dell’indipendenza del Consiglio dal rischio che, in tempi straordinari, vengano affermate ‘regole’ destinate a imbrigliare l’Istituzione in tempi ordinari.
Occorre mantenere, infatti, una concreta ed effettiva separazione tra i fatti, pacificamente accertati o comunque ammessi dagli interessati, e gli addebiti disciplinari.
E il giudizio che come gruppo organizzato siamo chiamati, eventualmente, a dare, non può che riguardare i fatti, e non certo gli addebiti.
Comportarsi diversamente significherebbe attribuire ai titolari dell’azione disciplinare, siano la Procura Generale oppure il Ministro, la possibilità di condizionare le decisioni del consigliere, qualunque materia esse riguardino, comprese la partecipazione ai lavori e le dimissioni.
Nello stesso tempo dobbiamo rivendicare il diritto-dovere di valutare autonomamente i fatti contestati, e le ricadute che essi hanno sulla vita del gruppo, dell’Istituzione consiliare e della magistratura tutta.
E questa indipendenza di valutazione deve valere anche quando la condotta non sia oggetto di procedimento disciplinare.
Proprio per questo la decisione di Bruno Giangiacomo è ancor più da apprezzare: in presenza di ‘addebiti’ e non di ‘fatti’ accertati o evidenti, essa è espressione di grande senso di responsabilità e di piena consapevolezza del difficile momento che l’Istituzione attraversa, a causa di fatti e vicende ormai noti e gravi.