Ordinamento
Standard e relazione di minoranza
ROMA - Una delle critiche che assieme a molti altri soggetti come magistratura muoviamo da anni alla politica, e soprattutto alla politica di questa maggioranza, è la spregiudicatezza con cui mezze verità o vere e proprie mistificazioni vengono sistematicamente / ossessivamente esposte e amplificate con l’obiettivo (che purtroppo è stato in molti casi raggiunto) di fare diventare “verità” pubblica ciò che non lo è affatto.
Sono molto preoccupato che qualcosa di simile possa avvenire anche al nostro interno attraverso la costante e programmata ripetizione di “verità” parziali o inesattezze che trovano facile presa su pregiudizi “anti politici” e “anti Csm” ormai diffusi assai tra i magistrati.
Per questo devo ancora una volta intervenire sul tema degli standard di laboriosità e sul sistema di valutazione che il Csm ha approvato nei giorni scorsi.
Schematicamente:
al di là delle dichiarazioni di facciata, M.I. si è mossa fin dall’inizio nella direzione di svuotare il sistema di valutazione e di renderlo ‘inoffensivo’ per tutti;
muovendo dalla premessa che i magistrati lavorano tutti troppo – cosa non vera – ha costruito una piattaforma che non si fonda su un’analisi del lavoro realmente svolto e ha spostato abilmente il tiro sui “carichi esigibili” quale strumento di tutela dei magistrati da contrapporre agli standard che sono presentati come strumento pericoloso e ingiusto;
in questo contesto e con questi obiettivi M.I. ha operato dentro e attorno al Gruppo di lavoro del Csm prospettando critiche all’impostazione e proponendo soluzioni che mandano ai magistrati un messaggio semplice e semplificatorio: il Csm vuole farvi lavorare al buio, e dunque senza garanzie; il Csm fissa standard che imporranno un aumento di quantità di lavoro che innalzerà a sua volta lo standard; il Csm si concentra sulla quantità, tralascia la qualità e metterà tutti in condizioni di difendersi da una aspettativa di maggior lavoro.
Come spesso accade, la posizione (stavo per dire la propaganda) di M.I. rispecchia una certa idea di magistrato, recepisce timori diffusi e non è basata sul nulla, ché costruire un sistema di standard equilibrato si scontra con criticità evidenti, tali da rendere il risultato assolutamente perfettibile, che provo a sintetizzare:
a) l’assenza di conoscenze e di esperienze pregresse, che fino ad oggi la produzione dei magistrati nei fatti non contava nulla in sede di valutazione (e per questo la legge del 2006 è intervenuta) e non era stata oggetto di riflessione;
b) le carenze dei registri generali e dei sistemi statistici, che obbligano ad adottare soluzioni non ideali e indeboliscono il sistema;
c) le obiettive difficoltà a introdurre indicatori di qualità nelle analisi statistiche;
d) la impossibilità al momento di adottare parametri ponderali (e questo spiega perché un tentativo in questo senso sia stato possibile farlo nel settore della sorveglianza, dove la standardizzazione di procedimenti e provvedimenti ha consentito un lavoro di graduazione di complessità).
Fatte queste premesse, in risposta alla relazione di minoranza presentata da M.I., osservo (per ragioni di spazio senza motivare):
le relazioni di maggioranza e minoranza oggetto della delibera consiliare non possono essere apprezzate senza avere letto le relazioni che il Gruppo di lavoro ha depositato e formano oggetto della delibera stessa (sono tutte reperibili sul sito Csm come delibere provenienti dalla IV Commissione);
NON E’ VERO che il sistema adottato induce al produttivismo e risponde a logiche fordiste: tutto il lavoro svolto combatte questa impostazione e ha cercato un punto di equilibrio fra quantità (i “numeri”) e indicatori di qualità esistenti e utilizzabili;
NON E’ VERO che la divisione in cluster / raggruppamenti costituisce una violazione dell’art.3 Cost. perché penalizza coloro che hanno carichi maggiori: il metodo adottato dal Csm (a differenza dell’art.37 del d.l. di luglio) non chiede un aumento di lavoro e non fissa obiettivi di produzione, ma si limita a fotografare l’esistente e a calcolare lo standard del lavoro svolto negli anni passati. La divisione in cluster si limita, cioè, a razionalizzare l’esistente, suddividendo i magistrati per tipologie di lavoro e uffici simili; costituisce uno strumento di difesa per coloro che hanno carichi di lavoro più bassi, che altrimenti risulterebbero sempre in deficit;
NON E’ VERO che il sistema spinge la produzione verso l’alto: a) mentre può spingere verso l’alto coloro che sono sotto la media (mediana), potrebbe al contrario giustificare una minore produzione di coloro che sono sopra la stessa (e, dunque, proprio coloro che nella prospettiva di M.I. potrebbero essere le vittime di un carico “insostenibile”); b) il fatto che chi è sotto i livelli medi aumenti la quantità di definizioni può non incidere affatto sul valore dello standard in quanto l’utilizzazione della mediana (e non della media aritmetica) rende il valore mediano insensibile alle quantità di definizioni di coloro che stanno sotto e sopra l’intervallo statistico considerato “normale”. In ogni caso, anche qualora ogni anno qualche magistrato aumentasse la produzione fino ad alzare di poche unità il limite inferiore dello standard, ciò avverrebbe in misura minima (posto che lo standard è calcolato su base quadriennale e i valori di un solo anno incidono limitatamente sullo standard stesso);
NON E’ VERO che si è scelto di non basare la fissazione dello standard sulle tipologie di processi: nel civile, nel lavoro e nella sorveglianza sono proprio le tipologie di processi o procedimenti a costituire la base del lavoro; nel penale ciò E’ IMPOSSIBILE perché le basi dati (soprattutto in procura) non possono essere interrogate né per titolo di reato né per “materia”, e ciò ha imposto di concentrare l’attenzione su altri elementi qualificanti: le modalità di definizione; il numero di imputati; il numero di imputazioni, il numero di richieste cautelari, e così via, indicatori che hanno corrispondenza sia alla complessità dei casi sia, in qualche misura, anche alla tipologia di procedimenti / processi trattati;
NON E’ VERO che l’aggiornamento annuale dello standard penalizza i magistrati e che una cadenza quadriennale sarebbe più favorevole. E’ così se si vuole mantenere lo status quo, ma quattro anni sono un periodo troppo lungo rispetto alle modifiche legislative e alle modifiche di organizzazione degli uffici che normalmente avvengono, così che si rischierebbe di perdere le variazioni avvenute e di continuare per anni ancora a valutare i magistrati rispetto a standard “vecchi”, che non tengono conto del mutare delle condizioni di lavoro (e non è detto che ciò “convenga” ai magistrati stessi – si pensi a interventi che spostano competenze o eliminano fattispecie di reato o altre situazioni che abbattono le sopravvenienze e, di conseguenza, la quantità di procedimenti esauriti). Niente vieta di ragionare se un aggiornamento biennale possa essere una soluzione accettabile; parliamone e proviamo.
In conclusione, il sistema adottato dal Csm può e dovrà essere migliorato, ma è inaccettabile che si proponga il lavoro del Csm come un pericolo per i magistrati e che si continui ancora oggi a parlare di sistema incostituzionale, di sistema che aggrava le condizioni di lavoro, di sistema che “inverte l’onere valutativo” e mette sotto accusa i magistrati che fanno il loro dovere.
Luigi Marini (presidente di Magistratura Democratica)
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