Ordinamento
Standard e carichi esigibili
1. Il Lavoro sugli STANDARD
Ieri, 19 luglio, il Csm ha presentato le relazioni finali sugli standard con un incontro pubblico cui hanno partecipato il Primo Presidente e rappresentanti del Consiglio direttivo della Cassazione, rappresentanti delle Corti di appello/Consigli giudiziari, rappresentanti del Ministero giustizia.
Dopo l’introduzione del Vice presidente Vietti e della Presidente della IV Commissione, De Rosa, e dopo la presentazione dei 4 settori di lavoro del Gruppo tecnico sono intervenuti numerosi componenti del Csm e colleghi rappresentanti dei distretti.
L’apprezzamento per il lavoro è stato unanime, con una lettura politica dei risultati davvero incoraggiante contenuta nelle parole del Vice presidente e del cons.Calvi. Tutti gli interventi hanno sottolineato la necessità che quanto si è fatto venga sviluppato nelle parti mancanti del primo grado ed esteso ai gradi successivi, così da permettere l’avvio a regime della procedura di valutazione proposta.
In questa prospettiva il Gruppo di lavoro ha presentato nelle relazioni finali i passi concreti che il Csm dovrebbe intraprendere per dare gambe e corpo al lavoro svolto.
Anche il Cons.Pepe ha espresso apprezzamento per la qualità del lavoro, proponendo poi dei correttivi alle scelte tecniche che il Csm dovrebbe adottare nel dare attuazione al progetto.
Sono sicuro che quanto è stato detto ieri sarà seguito da passi coerenti del Csm (istituzione della struttura tecnica; completamento della raccolta dei dati; estensione ai settori non esaminati, e così via) e che il sistema potrà essere migliorato nel tempo.
In questo senso devono essere apprezzati i rilievi critici che ancora ieri alcuni colleghi hanno espresso per la carenza di dati ritenuti importanti o per la assenza di un chiaro bilanciamento dei parametri per i magistrati che negli uffici piccoli e medio-piccoli trattano materie diverse o, addirittura, operano a cavallo fra civile e penale.
Ciò
che comunque possiamo dire è che il Csm sta approvando
definitivamente la metodologia che vede lo standard nazionale
rappresentato da un intervallo statistico che si colloca attorno alla
mediana della quantità di produzione rilevata nel quadriennio per
gruppi omogenei di magistrati (cluster).
2. I CARICHI ESIGIBILI
Questa formula tecnicamente infelice è ora legge. Ho già scritto del modo maldestro con cui questo parametro è stato utilizzato in passato e ora introdotto nell’art.37 della manovra economica. Ho già scritto di come sia, purtroppo, significativo che i carichi esigibili siano presenti nello stesso articolo che prevede incentivi per l’abbattimento dell’arretrato. Claudio, che è intervenuto su questi temi più volte, para ora di “fordismo”. Io vorrei evidenziare:
- per il civile e il penale (gestiti da numeri alti di magistrati gravati da affari disomogenei per oggetto, numero di parti, etc. che non sono standardizzabili) non è di fatto possibile allo stato individuare il punto di “breack even”, inteso come il punto oltre il quale l’aumento della domanda e del carico comportano per il magistrato una situazione di sovraccarico e una riduzione della stessa capacità di smaltimento;
- i dati statistici esaminati ai fini degli standard evidenziano situazioni organizzative e carichi di lavoro molto diversi, elemento che assieme ad altre considerazioni ha reso necessario non adottare come standard nazionale il semplice dato mediano, ma un intervallo statistico più ampio; analoga soluzione non credo potrebbe essere adottata a livello di ufficio, così che, se colleghiamo il carico esigibile al progetto di smaltimento dell’arretrato, ci potremmo trovare a dover definire il rapporto carico-smaltimento ufficio per ufficio, con una babele di ragionamenti e di soluzioni che confliggono irrimediabilmente con il tentativo di razionalizzare il sistema su scala nazionale;
- l’applicazione del rapporto carico esigibile-progetto di smaltimento alla situazione attuale comporterà privilegi per gli uffici meno organizzati e con performances peggiori, in possesso di margini di quei miglioramento che non hanno più gli uffici e i singoli magistrati che già hanno fatto uno sforzo massiccio.
3. Sulla base di quanto detto, poche considerazioni:
a) in assenza della identificabilità scientifica del punto di breack even, la magistratura rischia di finire impiccata ad un “numeretto”, proprio ciò che tutto il lavoro sugli standard ha saluto evitare. Posto che un ufficio o un magistrato che ricevono 500 producono (ammettiamo) 450, che quelli che ricevono 800 producono (ammettiamo) 600 e quelli che ricevono 1.000 salgono (ammettiamo) a 750, chi potrà negare che 700 non sia un valore “esigibile” ragionevole ? e che lo sarà anche per chi riceve 500, che si troverebbe così costretto ad esaurire tutto visto che altri producono molto di più ? E chi ci dice che dopo lo sforzo per produrre un 5% o un 10% in più per qualche anno (dietro compensi incentivanti), una parte di quel 10% in più diventi parte della quota esigibile in futuro ? in altre parole: fissato il numeretto magico (che l’art.37 esclude che possa essere più basso di quanto avviene oggi) , chi esclude futuri giochi al rialzo e rincorse emulative ?
Chi di numeretto ferisce di numeretto può perire. Spero di sbagliarmi.
b) Ho sostenuto ieri una cosa semplicissima che le obiezioni al lavoro sugli standard mi hanno reso evidente: la paura delle valutazioni diffusa tra i magistrati genera reazioni neutralizzanti. La provocazione del cons.Pepe (portare l’intervallo statistico a 20-80) si muove in questa direzione: aumentare l’intervallo per includere nello standard quanti più colleghi è possibile. Ora, premesso che un valore medio che include tutti da 20 a 80 è una finzione di media che ci verrebbe rinfacciata da chiunque guardi il nostro lavoro con senso critico, questo appiattimento, che riconduce allo standard, e quindi alla normalità, chi a parità di condizioni di lavoro produce (i numeri sono a mero titolo di esempio) 80 e chi produce 150, renderebbe nei fatti simili per effetti di fronte al valutatore due valori che sono oggettivamente tra loro incommensurabili e avrebbe una prima conseguenza: giustificare le patologie. Da un lato, spingerebbe alcuni a distinguersi dal gregge grazie al superamento del valore più alto pari all’ottantesimo percentile (e dunque muovendosi in modo non facilmente censurabile sulla scia della norma sugli incentivi), con meccanismi che mettono in crisi ciò che si sostiene, e cioè troppa produzione è un male ed equivale al crollo della qualità. Dall’altro, consentirebbe a chi si colloca sul 21° o 22° percentile di posizionarsi nell’area di tranquillità e non sindacabilità, sol che abbia l’accortezza di garantire buona qualità delle singole decisioni (risultato certo più facile quando si produce la metà dei colleghi di ufficio o di cluster);
c) Se la soglia di smaltimento accettata si colloca già al 20° percentile (il che significa che 80 colleghi simili su 100 producono di più, e spesso molto di più) si perpetua un meccanismo che già oggi ha effetti devastanti: la disparità di trattamento all’interno degli uffici. Perché non vi è dubbio che di fronte all’esigenza di produrre di più per avere gli incentivi, i capi ufficio finiranno per spremere di più coloro che già oggi danno di più. Mentre sarebbe fisiologico il contrario: premiare chi lavora bene ANCHE mediante la capacità di riequilibrare carichi e risultati ottenendo di più da coloro che oggi danno meno. Ma se si abbassa tanto la soglia dello standard, chi produce meno ha dalla sua un dato “normativo” che lo definisce nella media e, dunque, non censurabile sul piano valutativo;
d)
Ribadisco che non posso condividere la posizione di chi considera il
sistema di valutazione come un processo da cui difendersi. Chi si
colloca sotto il dato mediano potrà trovarsi in difficoltà nel
corso della procedura solo se anche il suo rendimento dentro
l’ufficio presenta dati anomali e se l’autorelazione e il
rapporto non rendono conto della qualità complessiva del lavoro.
Parallelamente, chi sta sopra la media potrà manifestare scarsa
qualità dei singoli affari e non corrispondenza alle esigenza di
qualità complessiva del lavoro. Autorelazione e rapporto sono
le due facce di una procedura trasparente e partecipata che
garantisce il magistrato e l’intero sistema da errori di
prospettiva e di valutazione derivanti dall’eccesso di significato
attribuito al solo dato numerico, rilevanza che l’intera procedura
ha superato attraverso i correttivi messi in campo.
Mi rendo conto che il discorso è complesso e che a quanto dico si possono fare obiezioni, tecniche e politiche. Ma ciò che oggi mi preme evidenziare sono due pensieri di fondo:
- i carichi esigibili sono diventati un boomerang che ai magistrati causerà molti problemi;
- è ora di porre a fine alle politiche di tolleranza corporativa di quelle situazioni di scarso smaltimento (che per fortuna mi paiono sempre minori in percentuale) che in modo ingiustificato gettano discredito sugli uffici e che dentro gli uffici provocano malumori e senso di ingiustizia e, a causa di questo, difficoltà nella gestione collegiale e nella buona amministrazione dei carichi e delle risorse.
4. Gestire bene il lavoro sugli standard e verificare se da esso possano trarsi informazioni statistiche utili anche per definire, come da legge, i carichi esigibili è un compito difficile che il Csm deve saper affrontare per dare coerenza al sistema, per garantire ai magistrati dei riferimenti equilibrati, per dare risposta ai bisogni della collettività.
Pur nella profonda differenza fra la filosofia degli standard (per la valutazione) e dei carichi di lavoro (per la gestione), un lavoro intelligente può essere fatto da un autogoverno consapevole e capace di porre rimedio anche a certi disastri. In questo, un coordinamento fra il lavoro della STO sui flussi degli uffici e quello della IV Commissione sugli standard mi pare una via obbligata che già ieri ho sostenuto con forza.
Luigi Marini (presidente di Magistratura Democratica)
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