Speciale XXI Congresso
L'intervento di Marco Dall'Olio
Di strada, come tutti sappiamo, Magistratura Democratica ne ha fatta parecchia.
Era il 4 luglio 1964 quando, poco lontano da qui, in via Zamboni, nell’Aula magna del Collegio Irnerio dell’Università, per mano di un manipolo di persone, nasceva quello che poi qualcuno avrebbe definito “un animale complesso .. una organizzazione impegnata in una battaglia di trasformazione politica e sociale, e contemporaneamente nella costruzione di una specifica cultura giuridica”.
Da allora mille stagioni (il 68; il 77 – proprio qui particolarmente significativo; le stragi di Stato – anche per esse Bologna ha molto sofferto; il terrorismo; tangentopoli; la P2; il berlusconismo) molte delle quali da me non vissute da magistrato, ma lette, negli scritti - importanti - di Palombarini, Viglietta, Borrè, Ramat, Pepino, Bruti Liberati, Ippolito e tanti altri.
Un filo conduttore di tutte queste stagioni di Magistratura Democratica è - nell’ordine - l’indignazione, l’impegno, il tentativo di cambiamento. Il tutto coniugato con la capacità di essere controcorrente, minoranza propositiva, intelligenza critica.
Non vi preoccupate, ho già finito con l’album dei ricordi, perché lo scopo del mio intervento non è quello di far versare una lacrimuccia per i bei tempi andati, tutto il contrario.
Quello che intendo dire è che l’elemento caratterizzante di Magistratura Democratica è l’essere, e direi, soprattutto l’essere stata, “opposizione”, cioè l’unica associazione di magistrati in grado di contrastare atteggiamenti dominanti e conformisti, il “pensiero comune”; di avere in altre parole immaginato che fosse possibile una società “diversa” e “migliore”.
Se è questo il senso del nostro passato allora possiamo sgombrare il campo dall’idea, che fa ancora proseliti (anche qui dentro) che di Magistratura democratica non ci sia più bisogno. Ovvero che la crisi dei partiti tradizionali sia la crisi di MD, e che la perdita dei punti di riferimento ci condanni, non trasformandoci in qualcosa d’altro, all’irrilevanza, così come ormai sono irrilevanti i partiti della sinistra (beh, della sinistra vera) in Italia e in Europa.
Al contrario - a mio parere - è sempre più urgente che la parte progressista della società, e conseguentemente una parte della magistratura, si attrezzi a comprendere, o tentare di comprendere, nuovamente il significato delle trasformazioni del mondo, anche “urlando” (sempre in modo democratico) la propria contrarietà a certi cambiamenti.
Se non abbiamo voglia almeno di provarci ad elaborare un pensiero ”differente” rispetto a quello che ci accade intorno: al dominio della grande finanza, allo svilimento totale del mondo del lavoro, alla politica dei migranti ed alla notte della ragione in Europa, alla fine dei diritti di libertà in Turchia e in tanti altri luoghi a noi vicinissimi, alle nuove ed alle vecchie povertà, allora – mi chiedo – che cosa siamo venuti a fare qua?
“Possiamo ancora cambiare le cose – ha detto Ken Loach – che mi sarebbe piaciuto molto avere qui, oggi – in una recente intervista rilasciata per la presentazione del suo nuovo film - ma per farlo occorre creare un legame tra i movimenti di sinistra in tutta Europa. Lo scopo deve essere restituire la dignità agli individui”.
Credo sia arrivato il momento che sul punto anche la magistratura ricominci a fare la sua parte.
Orbene, per elaborare bisogna discutere. E per discutere bisogna confrontarsi, uscendo da quella iattura mediatica che si sono ormai dimostrate le nostre mailing list, strumenti di denigrazione reciproca, se non addirittura di vera e propria “deiezione verbale”, utili al ribollire delle pance dei magistrati e perciò funzionali al solo populismo.
Bisogna invece guardarsi negli occhi, ritrovare i luoghi di confronto e di incontro “veri”, organizzare convegni, seminari, dibattiti. Anche se all’inizio sarà faticoso occorre avviare il “contagio”, rendere piacevole confrontarsi e scontrarsi, senza avere paura di dire ciò che si pensa.
Ed ecco allora la seconda questione da affrontare. Se Magistratura Democratica vuole continuare ad esistere, e mi pare di poter dire che voglia continuare ad esistere, occorre che gli sia dato pieno diritto di parola. Occorre cioè che venga sradicata nei fatti, e nella testa di alcuni di noi, l’idea che non possiamo dire la nostra su tutto. Che su alcune cose debbano parlare altri, o che noi possiamo parlare solo per il tramite di nostri rappresentanti in altri luoghi. E’ davvero paradossale che si creda che passi avanti nell’associazionismo progressista si possano realizzare attraverso contrazioni così severe dei nostri “diritti”.
E se vi è una disposizione che ce lo “impedisce” (impedisce, capite!!!) che si abbia il coraggio, per il bene di tutti, di toglierla di mezzo.
Con gli “artifizi” (absit iniuria verbis) non otterremo mai nulla di buono, neppure sotto il profilo di una sana e leale collaborazione con chi può e “deve” essere nostro compagno di viaggio.
No quindi ai limiti al diritto di parola per MD su tutti gli argomenti e no ad altrettanto improvvidi trasferimenti automatici dei nostri versamenti economici, a mio avviso irrispettosi degli iscritti ove non addirittura impraticabili tecnicamente.
Se Magistratura Democratica deve poter parlare di tutto, allora deve poter parlare anche del Consiglio Superiore della Magistratura. In altra sede ho già avuto modo di dire che MD non può e non deve continuare a vivere solo come rivista o associazione culturale, sia pure aperta fin che si vuole a nuovi soggetti della società. Se Magistratura Democratica non sta nell’autogoverno e non sta negli uffici giudiziari ad occuparsi delle condizioni dei magistrati e ad occuparsi del buon andamento della giurisdizione, tutelando con le sentenze i diritti dei soggetti deboli ed operando per l’evoluzione del diritto, è più o meno come se non esistesse.
Ed ecco allora il terzo argomento che vorrei trattare.
Anche su questo punto, come detto, si deve tornare a parlare liberamente. Ed allora, per essere del tutto sinceri, va detto che occorre operare una vera e propria rifondazione delle nostre coscienze.
Occorrono cioè comportamenti coerenti e trasparenti, che in questo momento non sempre risultano sussistenti. Alla prova dei fatti, anche noi di Magistratura Democratica scontiamo un grave malessere.
Ci occupiamo (non tutti ovviamente, ma troppi) di poltrone dirigenziali da occupare, di altri posti importanti da coprire, di vicinanza con il potere (sì proprio di vicinanza con il potere, quel potere che diciamo che non ci fa più da sponda politica, ma che ultimamente ci piace tanto sentire “vicino” quando ci serve qualcosa), di meri interessi personali.
In altre parole passiamo il tempo a predicare bene e a razzolare male.
Ci ammantiamo di sacri principi, diciamo che dobbiamo fare qualcosa per migliorare le condizioni dei magistrati e più in generale quelle della giustizia, ma, come nei periodi di maggior crisi della morale, espressione del peggiore egoismo, ci occupiamo di trovare una sistemazione migliore per noi stessi, per i nostri familiari, per la cerchia dei nostri amici.
E lo facciamo, capita per davvero, quello stesso pomeriggio in cui, poche ore prima, nel corso della mattinata, abbiamo scritto una @mail contro la lottizzazione e la spartizione del CSM.
E’ questo il contributo che MD vuole dare per le progressive sorti di Area e più in generale della magistratura? Se è così una parte di noi ci sta riuscendo benissimo.
Vi chiedo solo, in questo momento, di riflettere, senza infingimenti, e di chiedervi se quello che dico non è, per davvero, una verità ormai un po’ troppo ingombrante.
Recenti avvenimenti concernenti l’autogoverno, che sono sotto gli occhi di tutti, hanno dato l’idea di un distorto utilizzo, a fini di lotta associativa, di alcune pratiche di Prima commissione.
Occorre evitare a tutti costi che ciò accada nuovamente. Ma per fare ciò occorre che noi non siamo coinvolti nei comportamenti che appena sopra ho ricordato.
Occorre innanzitutto che gli organi statutari di Magistratura Democratica ricomincino a far sentire il loro appoggio ai consiglieri, troppo spesso lasciati soli, anche orientandoli nelle, per carità sempre libere, loro scelte.
Occorre poi che smettiamo di pensare di essere sempre i migliori magistrati e, di conseguenza, i migliori dirigenti possibili.
Alcuni di noi, divenuti presidenti di Tribunale o di Corte di Appello, hanno dato cattive prove da dirigenti, e ciò si è tradotto in una perdita di consensi, oltre che – cosa ancora più grave - in una cattiva amministrazione della giustizia.
Pertanto, nella fisiologica conclusione di accordi in V commissione, necessari per il naturale svolgimento di un organo plurale come il Consiglio Superiore della Magistratura, occorre da un lato porre alta, anzi altissima, l’asticella delle competenze e delle qualità etiche. E pretendere per sé stessi e per gli altri che non accada mai più che concorrenti impresentabili possano essere nominati solo per consentire che qualcuno di un’altra corrente possa prevalere da qualche altra parte.
Ed occorre pretendere, sempre di più, che anche candidati che non facciano parte di nessuna corrente possano aspirare ad ottenere incarichi direttivi o semidirettivi.
Mi permetto in altre parole di dire che non dobbiamo più agire con tatticismi o basse strategie, ma operare con una legge morale ed un codice etico stampato non solo sulla carta ma soprattutto scolpito nei nostri comportamenti.
Io sono molto legato, credo si sia capito, a questo nostro “strano animale” e alla sua denominazione. Ciò che non posso però tollerare è di restare nel medesimo gruppo con chi non ha quel minimo comun denominatore, etico e politico, che una volta era nel DNA di Magistratura Democratica.
Come diceva Jean Jacques Rousseau “è difficile ridurre all’obbedienza chi non ama comandare”. Ecco, per tornare ad essere liberi pensatori, e quindi spiriti critici, forse occorrerebbe iniziare a comandare un po’ meno.
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