Speciale XXI Congresso

L’intervento di Emilio Sirianni

di Esecutivo di Magistratura Democratica

Il
bilancio del progetto di Area che oggi siamo chiamati a tracciare, in qualche
modo ha, in filigrana, quello sulla storia recente di MD, lasciando persino
brevemente intravvedere una prospettiva di consuntivo finale[1].

A
rileggere i circa 15 anni del percorso di Area sono individuabili tre forze
trainanti che hanno concorso a condurci sin qui:

– La naturale
convergenza della magistratura progressista in un fronte comune nel corso del
ventennio berlusconiano, connotato da un assalto feroce sia a diritti e libertà
individuali, che agli assetti costituzionali ed, in specie, all’autonomia ed
indipendenza del potere giudiziario;

– l’emergere, in alcune
importanti realtà locali, di aggregazioni stabili fra i due gruppi fondatori che
ne hanno determinato un’azione comune in ambito associativo e candidature
unitarie nelle elezioni locali;

– infine,
palesatasi cronologicamente in un secondo momento, ma, credo, determinante,
l’esigenza di arrestare l’erosione dei consensi, una sorta di “vertigine da
dissoluzione” per assenza di ricambio generazionale.

Del
primo vettore non v’è molto da dire. Il contesto imponeva di stringersi a
difesa degli assetti costituzionali e dei diritti e lo si è fatto in modo
determinato ed autorevole, tanto da far divenire MD il gruppo trainante
dell’associazionismo in una fase storica in cui esso ha probabilmente raggiunto
il massimo del suo prestigio e portarci a conseguire i nostri migliori
risultati elettorali di sempre[2].

Più
interessante è soffermarsi sulle due altre forze propulsive.

Le
aggregazioni più o meno stabili in sede locale a cui mi riferivo sono quelle
determinatesi in Puglia, Veneto e nel distretto di Milano, poi replicate in
altri distretti anche se spesso circoscritte a specifiche tornate elettorali.
In seguito, muovendo dall’affermata “sintonia”
che si sarebbe creata intorno ad un nucleo di valori comuni, si è
prospettato un percorso che avrebbe dovuto “avvicinare
una platea più ampia della semplice sommatoria degli aderenti ai due gruppi”

anche attraverso un programma comune per l’autogoverno [3].
In questo percorso si è pervenuti alla scelta delle primarie, quale metodo di
selezione dei candidati nelle elezioni nazionali, sebbene, ciò sia
singolarmente avvenuto sulla base di una mera suggestione filtrata dalla Giunta
dell’ANM [4],
anziché a seguito di un reale confronto[5].
Il percorso si è rafforzato con moto inerziale, ma senza analisi o riflessioni
che andassero oltre l’affermazione, da un lato, del carattere anacronistico e
contraddittorio del militante-tipo di MD, borioso, autoreferenziale e dedito a
prassi antitetiche ai principi affermati[6]
e, dall’altro, del carattere invece 
positivo di talune esperienze comuni, delle quali era citato il solo
convegno di Lampedusa, rimasto in realtà un unicum, nell’immaginata progressiva
contaminazione di orizzonti culturali[7].
Fino alle indicazioni del congresso di Reggio Calabria nelle quali, sempre a prescindere da ogni analisi
sull’esito effettivo, elettorale, politico e culturale, dell’alleanza
, si
chiede un’ulteriore accelerazione: una maggiore “legittimazione democratica”
per Area ed i suoi organi; una qualche autonoma finanziaria e la delega ad essa
della “ ..discussione e ..manifestazione esterna della linea politica sui temi
dell’associazionismo e dell’autogoverno”
[8].

Ma vi
è stata davvero quella feconda contaminazione fra noi e gli altri aderenti ad
Area? Il corredo culturale che costituisce il patrimonio genetico di MD è
riuscito, per così dire, ad “infiltrare la magistratura”, grazie a questo
percorso? Esso ha, quanto meno, arrestato il declino di consensi e la
conseguente “vertigine da dissoluzione”?

Esaminando
il dato elettorale, il solo dato
oggettivo disponibile
, l’esito dell’analisi è impietoso[9].
Questi i dati[10]
dal 1999 al 2016[11]:
1999 (anm): 2673 voti; 2002 (csm): 3238 (+565); 2003 (anm): 3403 (+165); 2006
(csm): 2688 (-715); 2007 (anm): 2585 (-103); 2010 (csm): 2424 (-161); 2012
(anm): 2271 (-153); 2014 (csm): 2240 (-31); 2016 (anm): 1836 (-404).
Confrontando, il dato elettorale del 2016 con quello da cui si è partiti
(1999), con quello di massimo consenso raggiunto (il 2003) e con quello in cui
si ha debuttato la sigla di Area (2010): meno 837 voti rispetto al 1999 ovvero
-31%;  meno 1567  voti rispetto al 2003 ovvero -46%; meno 588
voti rispetto al 2010 ovvero -24%. Dunque il progetto, sotto il profilo della
ricerca di maggior consenso, è fallito.

Il
dato non pare bilanciato da nuove leve di magistrati progressisti che
s’affacciano all’impegno associativo. Perché si tratta di presenza alquanto
contenuta e di cui non può dirsi, se non in base a personali percezioni, che
segnali un inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti. Né ci si
dovrebbero bastare più o meno sentite professioni di fede nell’ineluttabilità
del percorso.

Occorrerebbe,
quantomeno, una verifica sulla reale tenuta dei principi, sulla coerenza tra
principi e prassi. Non le prassi individuali, che riguardano l’etica, ma
l’agire politico, indicativo della che coerenza dei gruppi associati di
individui rispetto ai principi che dovrebbero cementarne l’unione. La coerenza
di MD, in quanto tale ed in quanto parte di Area. Verifica che valga quanto
meno a rassicurare, visto l’esito infelice, sotto il profilo elettorale, di
questa nostra ricerca del consenso, sul fatto che essa non sia finita per
divenire quell’identica “zavorra” che è per i partiti politici, come ricordava
Saviano in un bell’articolo sull’insabbiamento parlamentare della proposta di
legge sulla liberalizzazione delle droghe leggere[12],
un sintomo, pur meno degradante, di quella malattia degenerativa delle
correnti, efficacemente descritta in un recente intervento di Giuseppe Cascini[13].  

Molti
esempi si potrebbero fare[14],
ma quanto meno tre vicende o questioni, che interpellavano nel profondo
magistratura democratica e il senso politico della sua presenza, possono
estrarsi dal quindicennio appena trascorso, rispetto alle quali le risposte
date non sono state quelle che era lecito attendersi.

A
lungo siamo stati l’intellettuale collettivo che non aveva remore a far sentire
la propria voce ogni qual volta gli assetti costituzionali fossero posti in
pericolo, anche quando i pericoli provenivano da comportamenti delle massime
cariche dello Stato. Certo, passato il ventennio di Berlusconi, le occasioni di
tensione istituzionale si sono molto diradate, ma non sono del tutto evaporate.
In un momento di grande tensione attorno a telefonate casualmente intercettate
dell’allora Presidente della Repubblica, questi sollevò un conflitto di
attribuzione nei confronti degli uffici giudiziari procedenti, che ha portato
un grave vulnus agli equilibri fra poteri ed alla stessa eguaglianza delle
parti nel processo penale. Nostri autorevoli ed antichi compagni di strada,
come Franco Cordero e Gustavo Zagreblesky hanno rimarcato come con quel
conflitto, che non poteva che concludersi a favore dell’istante, si
manifestassero pretese di inviolabilità da ancien régime e si imponesse, di
fatto, alla Corte Costituzionale, per scongiurare un contrasto che avrebbe
avuto effetti ancor più deflagranti, di recedere dal proprio ruolo di sommo garante
degli equilibri fra i poteri e dell’eguaglianza fra i cittadini[15],
determinando conseguenze sulle istituzioni che dovranno essere ancora indagate
negli anni a venire. Sulla questione un tempo avremmo unito la nostra voce alle
molte che si sono udite, invece abbiamo taciuto. 

C’è
poi una vicenda che appartiene oramai al rimosso di MD, quella relativa
all’esercizio dell’azione penale e della giurisdizione rispetto al movimento di
opposizione all’alta velocità in Val di Susa (c.d. “No Tav”). Parlo
meditatamente di “rimozione”, perché è da anni oramai che osserviamo lì si
dispiega quel “diritto penale del nemico” al quale dedichiamo convegni postumi,
ma che siamo incapaci di scorgere al momento del suo materializzarsi. Citerò,
al riguardo, più volte Livio Pepino, nella convinzione che, più che le ferite
politiche di un recente passato, contino i fatti, pubblicamente e ripetutamente
affermati, agevolmente riscontrabili
e, a quanto mi risulta, mai smentiti.

1.500 indagati negli ultimi sei anni e mezzo (con una punta di 327 nel 2011
e di 183 dal luglio 2015 al giugno 2016: più di un indagato ogni due giorni),
un centinaio di misure cautelari, una gamma di reati che vanno dalle violazioni
della zona rossa a fantasiosi attentati con finalità di terrorismo”
[16]. Le tipiche torsioni del diritto penale del nemico: dall’uso della
custodia cautelare in carcere come “presidio minimo” in luogo di “extrema
ratio” ad una dilatazione del concetto di concorso morale estensibile pressoché
a chiunque abbia partecipato a manifestazioni di protesta contro la linea ad
alta velocità senza essersene immediatamente allontanato al manifestarsi di
atti di violenza; dall’uso quasi sistematico dello strumento penale nei
confronti di chiunque manifesti opinioni critiche o attivi strumenti leciti di
interferenza alla materializzazione dei “fantasmi del terrorismo”[17]. Molti gli episodi,
in tale contesto, che avrebbero giustificato un intervento di MD: una
professoressa di liceo ultrasettantenne in pensione, indagata per avere passato
una fune poi utilizzata per abbattere una griglia che impediva l’accesso ad un
cantiere (l’accesso ai cantieri è uno degli obiettivi politici pubblicamente
dichiarati dal movimento) e sottoposta ad obbligo di firma, poi trasformato in
obbligo di dimora e destinato a divenire custodia cautelare, per avere
l’interessata pubblicamente dichiarato che non accetterà di chiedere scusa ogni
giorno ai carabinieri né di far diventare la propria casa una prigione; una
sentenza di condanna di una studentessa per invasione di terreni e violenza
privata in concorso, nella quale, elemento determinante ai fini
dell’affermazione di colpevolezza è stata la sua tesi di laurea sul movimento
No Tav, redatta dopo avere vissuto nella valle e condiviso i momenti di
protesta e con l’uso del “noi” narrativo, anziché della terza persona plurale[18]; il rinvio a giudizio
di uno dei più noti scrittori italiani per istigazione a delinquere con
riferimento alle frasi pubblicamente pronunciate a favore del “sabotaggio”
della linea ad alta velocità, vicenda che ci ha fatti piombare indietro negli
anni ’50 e fortunatamente conclusa con una pronuncia di assoluzione che ha
ristabilito <<il punto di confine
tra la libertà di manifestazione di pensiero e l’esigenza di tutela dell’ordine
pubblico>>[19].
Infine, l’intervento della Cassazione, che ha ricordato
i caratteri distintivi fra reati di danneggiamento, se pur tali da arrecare
pericolo all’incolumità delle persone e la “finalità di terrorismo” contestata
ai partecipanti ad un assalto a un cantiere, condotto anche con lancio di
molotov e conclusosi con l’incendio di un compressore[20].

Infine, la riforma della Costituzione targata
Boschi-Renzi, approvata da un parlamento eletto in base ad una legge
incostituzionale, imposta dal Governo con inaccettabili forzature procedurali,
scritta finanche in modo tecnicamente più che approssimativo, finalizzata ad un
grave indebolimento dell’organo del potere legislativo  e, per di più, accoppiata ad una legge
elettorale che consegna ad una futura minoranza il dominio assoluto sulle
istituzioni. In questo caso Magistratura Democratica ha svolto il ruolo che la
sua storia le imponeva[21],
ma quella parte della magistratura che, con l’esperienza di Area, ci si
proponeva di avvicinare ai nostri valori ed al nostro punto di vista sulla
giurisdizione è rimasta del tutto estranea, non solo all’impegno di contrasto
alla riforma, ma persino alla discussione intorno ad essa. Molte, anzi, sulle
m.l., le affermazioni di condivisione del testo sostenute con i tipici
argomenti della propaganda governativa di preteso rinnovamento ed
“efficientamento” delle istituzioni o addirittura di contenimento dei costi[22].
Gli stessi rappresentanti di Movimento per la Giustizia/art.3, quando non si
sono schierati a favore della riforma, si sono, nella gran parte, sottratti ad
un impegno analogo a quello del 2006[23].
Del tutto deludente la posizione assunta da Area. Molte  assemblee distrettuali si sono pronunciate
contro un impegno diretto di Area ed il coordinamento nazionale non è andato
oltre la formulazione di tiepidi rilievi critici sul contenuto della riforma e
l’auspicio di una partecipazione dei singoli magistrati al dibattito per meri
fini di approfondimento tecnico, concludendo per la non adesione ai comitati
referendari, motivata con un incomprensibile riferimento statutario al
carattere “plurale” dell’associazione[24]
ed all’identità e autonomia dei propri aderenti[25].

Delle tre macro vicende che ho ricordato, solo
nell’ultima si è manifestata una presenza di MD, se pur speculare all’assenza
di Area. A provare che non solo i nostri valori non hanno innervato la nuova
realtà associativa, ma anche che, al contrario, ad essa abbia corrisposto un
contestuale, progressivo smarrimento di quei valori anche al nostro interno[26]

A tutto ciò si aggiunge lo stato di confusione ed
ambiguità organizzativa e gestionale che ha connotato questo anomalo soggetto a
tre gambe. Personalmente condivido buona parte del documento “Una svolta per
Area”, presentato sulle mm.ll. l’1 giugno del 2016, segnatamente quella parte
poi meglio esplicitata da Nello Rossi in una successiva mail in cui parlava
d’una “crisi …della introvabile
responsabilità politica”
. Non ne condivido, naturalmente, il dispositivo.
Pur consapevole che il progetto di Area si è troppo spinto in avanti per
immaginarne un brusco abbandono, credo, invece, che non sia più rinviabile una
sua profonda ed onesta revisione critica.

Quanto ad MD, opteremo per qualche forma di riparto di
competenze del tipo “ad Area la magistratura ed a noi la società” o per il
progressivo ritiro nella ridotta indiana di Questione Giustizia, con una MD non
più associazione di magistrati, ma di giuristi, “aperta ad avvocati,
professori, operatori”[27],
ma è ormai questione di poco rilievo, alla luce dello Statuto di Area,
approvato il 21 luglio del 2016, la cui norma transitoria dell’art.24 proroga
la presenza dei segretari dei gruppi fondatori nel coordinamento ed il diritto
di voto nell’assemblea anche per gli iscritti ad essi solo fino alla fine
dell’anno in corso. Dopo di che solo i “soci” di ciascuna delle due
associazioni concorreranno, secondo i rispettivi statuti a deciderne azione
politica e sorti. I fatti, insomma, sopravanzeranno le decisioni di oggi.

Non
essendo, al
riguardo, neppure immaginabile che le future scelte di ciascuno siano coartate
con il meccanismo della proposta Arata-Vignale, sulla cui conformità a Statuto
è lecito nutrire seri dubbi[28] 

Personalmente
rimarrò in questa associazione, spenderò in essa le mie residue energie e la
passione politica che ancora mi porto dentro. Mi impegnerò in Area, pur
auspicando quella revisione critica di cui sopra, ne criticherò le scelte che
mi capiterà di non condividere, ma non lo farò da iscritto, continuando ad apparirmi
surreale e troppo rischiosa per la mia latente schizofrenia l’idea d’esser
parte di due diverse associazioni impegnate nel medesimo agone politico.

Concludo
con l’incipit che non ho avuto il coraggio di adottare e che uso adesso, perché
difficilmente mi capiterà un’altra occasione per farlo: “care compagne e cari
compagni”, spenderò le energie e la passione politica di cui sono ancora capace
rispettando, come sempre, le decisioni che saranno prese, ma continuerò a farlo
da qui, da questo luogo ideale che ancora, nonostante tutto, non vedo ragione
di abbandonare.

Emilio
Sirianni

 

 

[1]
In un documento firmato da 32 due aderenti ai due gruppi fondatori e denominato
“Una svolta per Area”, si sono formulate pressanti richieste di svolta politica
alla stessa Area, da un lato ed ai gruppi fondatori, dall’altro. Le reali
esigenze determinate dall’impasse organizzativo in cui la nuova realtà
associativa è sprofondata, sono culminate in un’espressa richiesta: Chiediamo, quindi, ai gruppi fondatori di rispettare
la volontà, espressa nella terza assemblea, di fare degli organismi di Area gli
unici rappresentanti nei confronti delle istituzioni dell’autogoverno e della
magistratura associata e gli unici soggetti legittimati ad individuare a
attuare la politica di Area, astenendosi dall’agire in modo parallelo o
antagonista”
.  Tale richiesta è
stata legittimamente interpretata da molti, sia all’interno che all’esterno
della magistratura, come una prospettiva di prossima “liquidazione” di tali
gruppi. Il che ha dato luogo all’intenso dibattito in MD che ha fatto da
prologo a questo congresso e ad interpretazioni giornalistiche, poi espressamente
smentite da taluni dei firmatari (v. l’articolo di Liana Milella del 9102016
su Repubblica intitolato “Magistratura democratica addio, la corrente di
sinistra va verso lo scioglimento” e le successive smentite di due dei
firmatari, Eugenio Albamonte e Giuseppe Cascini, oltre che dello stesso
Presidente di MD Carlo De Chiara).

[2]
Alle elezioni del CSM del 2002, i rappresentanti dei due gruppi insieme presero
3238 voti a quelle dell’ANM dell’anno successivo presero, complessivamente,
addirittura 3403 voti. Quanto ad MD, un ruolo trainante verso questi risultati
lo ebbero le presidenze dell’ANM Elena Paciotti (1996) ed Edmondo Bruti
Liberati (2002) che ne resero fortemente visibile il ruolo assunto a difesa
degli assetti costituzionali.

[3]
La mozione finale del XVII congresso di Modena (29 marzo 2009: in epoca di
imperante berlusconismo) non si occupa della questione dell’alleanza, pur
consolidata, con art.3-Movimenti, concentrandosi sui rischi per gli assetti
costituzionali, determinati dall’attacco ai diritti fondamentali (dal diritto
alla salute all’intrusione del pubblico nello “spazio privatissimo del corpo
umano”), traccia un orizzonte di azione politica che abbraccia tematiche
attinenti alla difesa dei diritti negli ambiti di maggiore tensione, dal
carcere ai migranti, dal processo penale alla tutela del lavoro e dei
lavoratori. Già l’1172009, però, il tema è affrontato dal CN, che, dopo un
incontro con l’altro gruppo, parla della “costruzione
di un percorso più ambizioso rispetto la mera costruzione di un’alleanza
elettorale”
, in funzione di un progetto comune per l’autogoverno,
spinto proprio dalla constatazione dell’esistenza di realtà territoriali in cui
si era pervenuti a forme di aggregazione stabile. Il ruolo determinante di tali
esperienze è consacrato nella mozione finale del XVIII congresso di Napoli
(1112010), che recepisce, facendovi rinvio, quella presentata dalle sezioni
del Veneto, della Puglia e di Milano, che, in poche righe, chiedeva la
creazione di “forme stabili di
collegamento dei magistrati dell’Area”
in tutti i distretti, sulla scorta
di quanto ivi avvenuto e di “favorire la
presentazione di liste di Area in tutte le competizioni elettorali
dell’autogoverno e dell’associazionismo, con la scelta ove possibile di
candidati comuni attraverso meccanismi aperti a tutti i magistrati anche non
iscritti ma che si riconoscono in tale quadro, a cominciare dalle prossime
elezioni del C.D.C. dell’ANM”
. Affermazioni e concetti ribaditi nel
documento “Costruire Area”, presentato al XIX congresso da Donatella Donati con
la collaborazione di Lorenzo Miazzi e Teresa Iodice, ma già rinvenibili anche
in un intervento del 19102010, inviato da Claudio Castelli sulla m.l. nel
corso della discussione preparatoria al XVIII congresso (v. par.8, doc. cit.).

[4]
V. incipit del punto 2 del citato documento “Costruire Area” .

[5]
Piuttosto singolare è stata l’assenza di qualsiasi reale ripensamento sul
metodo di selezione adottato, nonostante il clamoroso dato, al suo debutto, di
un numero di votanti alle primarie di molto superiore a quello delle successive
elezioni per il CSM. In quel 2010, infatti, i voti complessivi presi alle
elezioni vere furono, rispetto alle primarie (escludendo schede bianche e
nulle): 236 in meno per la categoria cassazione; 499 in meno per i PM; 396 in
meno per i giudici di merito. Nessuna riflessione critica è emersa rispetto ad
un sistema di selezione dei dirigenti, che, non solo alla fatica dell’azione
politica quotidiana, sostituisce il modello, tipico della c.d. “democrazia
d’investitura”, del popolo chiamato a pronunciarsi ogni quattro anni ed a
tacere negli intervalli, ma anche definitivamente legittimato quei “potentati
locali”  il cui peso è ormai
determinante.

[6]
Recitazione meccanica del “rosario d’emmedì” (evocazione di passate “eresie”,
“punti di vista esterni”, “interferenze”…), da un lato; sciattezza e
neghittosità nel lavoro, preoccupazione ossessiva per la carriera e scarsa
propensione ad assunzioni di responsabilità, dall’altro. Denuncia che coglie
dolorosamente nel segno, ma che non vale a sostituire la carente analisi
politica.

[7]
V.  documento proposto dalle Sezioni di
Bari, Lecce, Venezia e Milano ed approvato nel congresso di Napoli, documento
del Consiglio Nazionale del giugno 2012 e documento finale del XIX congresso
che recepiva quasi integralmente i contenuti del già citato documento
“Costruire Area”.

[8]
V. mozione finale congresso Reggio Calabria.

[9]
Il riferimento è alle sole elezioni nazionali, data la complessità di
un’analisi estesa agli esisti delle molte elezioni locali succedutesi nel
quindicennio.

[10]
Relativi alla somma dei voti ai due gruppi fino al 2009 ed a quelli di Area dal
2010 e tratti: per l’anm e per l’elezione csm 2014 dal sito della stessa anm;
per le altre del csm, dai verbali di scrutinio.

[11]
i numeri fra parentesi indicano i voti in più o in meno rispetto all’elezione
immediatamente precedente

[12]
“Legalizzazione cannabis, così si può indebolire mafie e terrorismo”, La
Repubblica, 2572016.

[13]
Giuseppe Cascini su “Il dubbio” del 2482016: “..le correnti hanno perso molto della loro capacità di aggregare sui
valori, idee e progetti rischiando di trasformarsi in centri di aggregazione di
potere, finalizzati esclusivamente alla raccolta del consenso..”
.

[14]
Basterebbe pensare ad una vicenda dello scorso settembre: tre sindacalisti
della FSC, da tempo relegati nel reparto confino di Nola e licenziati per avere
messo in scena, dopo tre suicidi di loro compagni, il suicidio dell’AD
Marchionne. Episodio ritenuto dai giudici di primo grado una gravissima
violazione del dovere di diligenza, con conseguente rigetto dei loro ricorso
(rigetto fortunatamente riformato in secondo grado). O all’operaio egiziano Abd
Elsalam Ahmed Eldanf, ucciso a Piacenza, nello stesso periodo ed in circostanze
ancora poco chiare, da un tir che intendeva forzare il picchetto dei manifestanti
del comparto logistica che protestavano contro le condizioni di sfruttamento
estremo cui sono sottoposti.

[15]
Gustavo Zagreblesky, “Napolitano, la Consulta e quel silenzio sulla
Costituzione”, La Repubblica, 1782012; Franco Cordero, “Le indagini e i
limiti delle intercettazioni”, La Repubblica 282012.

[16]
Livio Pepino, “La legge della Valsusa”, il Manifesto, 2682016.

[17]
V., per una rassegna dettagliata ed un’approfondita analisi critica, Livio
Pepino e Marco Revelli, “Non solo un treno…La democrazia alla prova della Val
Susa, Gruppo Abele Edizioni, 2012; “Come si reprime un movimento: il caso Tav –
analisi e materiali giudiziari”, a cura di Livio Pepino, Intra Moenia edizioni,
2014.

[18]
Sentenza che ha determinato forti prese di posizione da parte di molti
intellettuali, che hanno stigmatizzato il fatto che è la prima volta, dai tempi
del fascismo, che una tesi di laurea è utilizzata come elemento d’accusa in un
processo penale: v. documento del giugno 2016 con le firme, tra gli altri, di
Silvia Albertazzi, Maria Luisa Boccia, Erri De Luca, Ida Dominijanni, Lea Melandri.

[19]
Per questa vicenda il nostro paese ha dovuto persino patire l’umiliazione di
sentirsi ricordare elementari principi di libertà dal presidente francese
Francois Hollande, che, nel marzo del 2015, ha testualmente dichiarato: “Non voglio intervenire in vicende
giudiziarie, ma ciò che posso fare, a nome della Francia, è sostenere sempre la
libertà d’espressione e di creazione, e questo vale anche per gli autori, siano
essi francesi, italiani o di ogni altra nazionalità, che non vanno perseguiti
per i loro testi”
.

[20]
E’ la sentenza 28009 del 1552014, con la quale, annullando l’ordinanza del
Tribunale del riesame di Torino che aveva confermato la custodia cautelare in
carcere per i delitti di cui agli artt.280 e 280 bis c.p., si ribadisce come “l’equiparazione tra
condotta illecita politicamente motivata e terrorismo è improponibile
”,
come “il
finalismo terroristico non sia un
fenomeno esclusivamente psicologico, ma si debba materializzare in
un’azione seriamente capace di realizzare i fini tipici descritti nella norma

e come, trattandosi di reato di pericolo, il pericolo di  arrecare “grave danno ad un paese o ad
un’organizzazione internazionale” debba essere “concreto”. Essendo centrale per
la distinzione fra reati commessi in un contesto di protesta politica (e,
pertanto, anche motivati politicamente) e reati commessi con finalità di
terrorismo, chiarire in che cosa debba consistere, nell’una e nell’altra
ipotesi, l’analogo scopo di costringere i pubblici poteri a fare o non fare
qualcosa. Rileva la Cassazione come «l’essenza
della politica, e della stessa forma democratica dello Stato (artt. 1, comma 2
e 49 Cost.), consista nel dispiegamento di forze individuali e sociali al fine
di orientare e, in certo senso, di imporre, le scelte rimesse gli organi del
potere pubblico
» e, pertanto, come il mero fine di
condizionamento politico, in sé considerato, sia
del tutto inidoneo a selezionare le condotte con finalità
terroristiche
, che,
invece, si distinguono per la
scala della decisione potenzialmente imposta al
potere pubblico
”, dovendosi trattare di un affare particolarmente
rilevante, capace di influenzare le condizioni della vita associata, per il suo
oggetto o per l’implicazione che ne deriva in punto di ‘tenuta’ delle attribuzioni
costituzionali”
, una costrizione, insomma che sia “evento paragonabile al dissesto delle istituzioni
od alla intimidazione della popolazione nel suo insieme”
.   

[21]
Sebbene con prese di distanza da parte di taluni di noi ed addirittura di
intere sezioni (v. documento sezione Catania-Caltanisetta) sorprendenti.
Perché, fermo il rispetto per tutte le opinioni, rimangono posizioni in
antitesi con l’intera storia di MD, gruppo che ha fatto, da sempre, della Costituzione
la propria bandiera e, soprattutto, perché in alcun modo argomentate.

[22]
Che, di tutti, è l’argomento più demagogico, trattandosi dei “costi della
democrazia” come molte autorevoli voci hanno segnalato.

[23]
Si segnala la diversa posizione assunta da Armando Spataro, uno dei fondatori
di quel gruppo, che, coerentemente con l’analogo impegno in occasione del
referendum del 2006, si è speso con generosità e passione impagabili in
iniziative che lo hanno visto percorrere l’intera penisola.

[24]
Definizione che permane oscura, ma che oggi si
scopre celare una sorta di incompatibilità con il basilare principio
democratico del decidere a maggioranza.

[25]
Indicativi i seguenti passaggi : “..riteniamo
legittima, ed anzi opportuna, la partecipazione attiva dei magistrati che si
riconoscono in Area ad iniziative volte ad approfondire tecnicamente il


contenuto della riforma… tuttavia, tale  partecipazione attiva può
realizzarsi efficacemente anche al di fuori dei comitati referendari, cui riteniamo
di non aderire nel rispetto delle diverse posizioni e sensibilità esistenti in
Area, che, per previsione espressa della sua carta fondativa, è una
<<*associazione plurale che comprende persone e gruppi con la loro
identità ed autonomia>> *(art. 2 della Carta dei Valori)”
.

[26] In
un comunicato della Sezione piemontese di MD si può leggere quanto segue, in
relazione alle critiche verso l’azione giudiziaria di contrasto penale al
movimento No Tav: «l’andamento delle
indagini, l’ordinanza cautelare del gip
e le decisioni del tribunale del riesame dimostrano che non sono fondate le
critiche secondo cui la magistratura torinese avrebbe avviato una “operazione”
che intende contrastare il movimento No Tav e
si sarebbe mossa con sudditanza ad esigenze di ordine pubblico, mentre
consentono di affermare che essa ha operato in modo trasparente all’interno di
una realtà difficilissima al fine di accertare responsabilità individuali per
fatti di reato specifici, così
adempiendo al mandato che la Costituzione affida alla giurisdizione
»
.

[27]
E’ la MD 2.0 descritta Claudio Castelli in vista del CN del 10 luglio. Al
riguardo è pienamente condivisibile quanto osservato da Nello Rossi in altra
mail inviata in quegli stessi giorni laddove osservava come la rilevanza
dell’associazionismo giudiziario nella società italiana sia dovuta a due
fattori: “l’essere associazioni di “giuristi
dotati di potere”
ed il “concorrere
attraverso elezioni alla formazione dei moteplici organismi di autogoverno
della magistratura”
. Perdere i quali ci ridurrebbe ad una delle tante
irrilevanti associazioni di tecnici del diritto.

[28]
V. art.2, 1° e 2° co. ed art.3° Statuto ANM, per come richiamato dall’art.13

11/11/2016

Articoli Correlati

Comunicati

L’elezione del Presidente e della Giunta esecutiva centrale dell’Associazione nazionale magistrati

Dopo quasi dieci ore di lavoro, il Comitato direttivo centrale dell’Associazione nazionale magistrati ha eletto l’8 febbraio scorso il nuovo Presidente e la Giunta esecutiva dell’ANM, con indicazione largamente condivisa.

Comunicati

Un morto al giorno

Ieri si è verificato un decesso nel carcere di Prato 
Oggi si è verificato un decesso nel carcere di Firenze Sollicciano 

Comunicati

Md aderisce al Comitato per la difesa della Corte penale internazionale e dell’Onu

È evidente a tutti che è in corso un grave attacco politico al diritto e alla giustizia internazionale, e agli organismi internazionali ai quali è stato affidato, dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale, il compito di difenderli e di attuarli. 

Video

Marco Patarnello ospite di Piazza Pulita, La7

Marco Patarnello ospite di Piazza Pulita , La 7 (6 febbraio 2025)

Comunicati

The statements made by the Minister of Justice in Parliament today on the case Almasri are a serious wound to the rule of law

Instead of giving reasons for failure to transmit case records to the Attorney General of Rome’s office, for the imposition of precautionary detention to the Libyan citizen
Almasri and his surrender to the ICC, in execution of the arrest warrant issued by the Court, the Minister railed against the International Criminal Court. Not only by criticizing on the merits of the arrest warrant, but even naming it a “void act” and “completely messed-up”.