Speciale XXI Congresso
L'intervento di Edmondo Bruti Liberati
XXI Congresso Nazionale Bologna 3-6 novembre 2016
Intervento di Edmondo Bruti Liberati, magistrato in pensione
Nei mesi scorsi, approfittando del notevole tempo libero nel riordinare il mio archivio ho riesaminato il trentennio dal 1964 al 1994. Alcuni spunti che ne ho tratto.
Ripercorrere la storia ormai cinquantenaria di MD ci indica un percorso tutt’altro che rettilineo, che si è caratterizzato proprio con la capacità di rinnovarsi profondamente, di volta in volta misurandosi con le mutate situazioni della magistratura e del paese.
La Mozione costitutiva di MD del 1964 indica due prospettive di azione.
1.“Instaurare la nuova tavola di valori scaturita dalla Resistenza e consacrata nella Costituzione”
2.Rottura della corporazione e apertura alla società. Con il linguaggio di allora: evitare impostazioni marcatamente corporative e sindacali; impedire “al magistrato di sentirsi avulso dal corpo sociale, chiuso nella torre eburnea di un esasperato tecnicismo, o peggio ancora, posto al di sopra del corpo sociale stesso, quale facente parte di una casta depositaria di un potere a sé stante”.
Il congresso Anm di Gardone del 1965 vide la neonata MD svolgere un ruolo centrale. Nel citare la svolta del 1969 si dimentica spesso un tema fondamentale: l’impegno per una rivista allora “Quale Giustizia”, cui seguirà nel 1982 “ Questione Giustizia”. “Questione giustizia”si propone già in copertina come rivista “promossa da Magistratura Democratica”, ma tale impostazione caratterizzava già in modo netto Quale Giustizia, differenziandola dalle altre pubblicazioni interne (Notiziario e Bollettino). La rivista del gruppo “più ideologizzato” della magistratura si pone sin dall’inizio in una prospettiva di apertura alla cultura giuridica e di rifiuto di una impostazione autoreferenziale. Per questo la Rivista, le riviste promosse da Md ormai da quasi mezzo secolo sono e devono rimanere un punto di riferimento per la cultura giuridica, con una posizione di preminenza in alcuni settori come quello della riflessione sull’ordinamento giudiziario.
MD oggi si trova, come già altre volte in passato di fronte ad una svolta. Il modello di organizzazione del gruppo era articolato su una struttura pesante (assemblee, Consiglio Nazionali, Comitato esecutivo; Congressi) che all’esito di un dibattito approfondito, non di rado con tributi a quelle che pudicamente si possono chiamare “elucubrazioni mentali”, produceva “sesquipedali documenti” che “dettavano la linea”. Questo modello organizzativo, oggi, piaccia o non piaccia, non ha più prospettiva.
Ma i due punti di riferimento delle origini: attuazione della tavola di valori della Costituzione e rottura della chiusura corporativa (con lo strumento di elaborazione politico- culturale della Rivista dapprima Quale Giustizia e poi Questione Giustizia) rimangono più che mai attuali, anche se la organizzazione di una aggregazione di magistrati deve oggi misurarsi con una situazione profondamente mutata.
Attuazione della tavola di valori della Costituzione ci fa porre oggi l’accento sulle “nuove diseguaglianze”. Rottura della corporazione e apertura alla società ci impone oggi di misurarci con una duplice difficolta. A fronte di una società civile disgregata e di una politica in crisi di credibilità, con la crescita di populismi variamente declinati, soffia di nuovo in magistratura un possente vento di chiusura corporativa, pericolosamente coniugato al populismo giudiziario.
La strada per la tutela dei diritti e la attuazione della tavola di valori della Costituzione impone di rapportarsi alla intera magistratura perché passi avanti si fanno solo se la intera magistratura fa dei passi avanti e una magistratura chiusa su sé stessa, corporativa ed autoreferenziale può fare solo passi indietro.
Si comprende la disaffezione e frustrazione di chi opera in condizioni che, nonostante ogni impegno personale, non consentono di assicurare un servizio giustizia efficiente e tempestivo. Ma la chiusura corporativa, il rivendicazionismo sgangherato, l’atteggiamento spocchioso del proporsi come unica istituzione sana devono essere contrastati senza esitazione perché sono inaccettabili da parte di chi non svolge un ruolo impiegatizio ma è uno dei poteri dello stato. Atteggiamenti inaccettabili e per di più controproducenti.
La Anm della scorsa tornata si è preso lo sgradevole “Brr che paura”, ma con un atteggiamento razionale e di confronto ha evitato la disastrosa riforma della responsabilità civile nella versione originaria. La attuale Anm che finalmente ha recuperato la unità associativa, peraltro offrendo in più occasioni una immagine di sé autoreferenziale e chiusa ha dimostrato semplicemente la sua irrilevanza di fronte al DL 168/2016.
Md, accanto alle iniziative nella società ( il cd impegno esterno) ha sempre dedicato un impegno straordinario nel luogo del confronto con la magistratura tutta, l’associazionismo giudiziario. Non è un caso se un gruppo come MD, pur sempre minoritario, ha assicurato un contribuito di primo piano per decenni alle strutture dirigenti dell’ANM.
Da diversi anni Md ha scelto di rapportarsi ai luoghi dell’associazionismo giudiziario e dell’autogoverno nell’ambito di Area, una aggregazione con caratteri diversi dalle correnti tradizionali.
Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà e i limiti: non credo di essere impietoso dicendo che la secca sconfitta (o se preferite, come avrebbe titolato “L’Unità” un tempo, “la sostanziale tenuta”) alla ultime elezioni Anm è stata ampiamente meritata.
Per la prima volta è stata presentata una lista di candidati ridotta; eppure una lista completa è il segno che vi sono magistrati che condividono la linea del gruppo che si presenta alle elezioni e generosamente si prestano alla sollecitazione del consenso su un programma anche se non hanno personalmente concrete prospettive di elezioni. Appunto un programma: i sesquipedali programmi di una volta forse oggi nessuno li leggerebbe più, ma quello presentato più che sintesi ha mostrato povertà di elaborazione. Ma proprio per le difficoltà e i limiti oggi la sfida è quella di impegnarsi in Area.
Il documento “Il senso di Md” si apre richiamando il modello di “una magistratura più trasparente, più attenta alle garanzie e alle richieste di tutela delle fasce deboli” e di una funzione giudiziaria come servizio. Appunto: la tutela dei diritti presuppone un servizio giustizia e non vi è bisogno di sottolineare che un servizio giustizia che non funziona e che funziona al minimo non garantisce diritti.
Propongo alcune linee di riflessione e proposta sul versante ordinamentale/organizzativo:
Ordinamento giudiziario.
Occorre fare il punto iniziando da una ricognizione di come abbiamo attuato il sistema di valutazione di professionalità. Come razionale alternativa al folle “concorsificio” della riforma Castelli abbiamo proposto (e faticosamente ottenuto) un sistema di valutazione periodica della professionalità.
Non è stato facile superare le resistenze corporative interne di chi temeva che si potesse “fare sul serio” e le resistenze esterne di chi voleva un sistema “meritocratico”.
Ebbene dobbiamo riconoscere che, scampato il pericolo, non abbiamo” fatto sul serio” ed è inutile gettare la responsabilità ad altri perché Area nei CG e in CSM non si è visibilmente smarcata dal lassismo corporativo per resistenze culturali e per il timore di perdere consensi, con il bel risultato che ad inseguire la corporazione ci si trova sempre indietro.
Non sono neppure necessarie approfondite analisi e rilevazioni: Area deve impegnarsi per un funzionamento “serio” di un sistema che a mio avviso rimane valido come struttura.
Naturalmente è esercizio inutile moltiplicare circolare ed indicatori quando si continuano a dare valutazioni positive sempre e comunque. Così si fa male al sistema giustizia e si fa male anche al singolo magistrato che perde ogni incentivo a correggere errori e a migliorarsi.
La proposta, minimale, della cd “valutazione incrociata” che ebbi ad avanzare nel rapporto su un sostituto redatto quale Procuratore della Repubblica, proprio con riferimento al parametro della “ tenuta dell’udienza” è stata bloccata, con il concorso di una parte di Area, nel Consiglio Giudiziario di Milano e poi affossata dal Csm.
A fronte di una attuazione poco seria delle valutazioni di professionalità vi è stato il contrappasso di una prassi insensata della gestione disciplinare. La tipizzazione rigida, come in pochissimi avevamo previsto e segnalato, lascia fuori comportamenti gravi, mentre si moltiplicano le iniziative disciplinari per fatti di poco o nessun rilievo.
Al “todos caballeros” nelle valutazioni di professionalità fa riscontro un sistema disciplinare tardo quando non disattento nel perseguire comportamento gravi , vessatorio su fatti minimi, incapace di valutare il comportamento del singolo ( sui ritardi) nel quadro della situazione organizzativa dell’ ufficio. I dati statistici del disciplinare sono del tutto anomali. Il confronto con i dati del CSM francese ci indica che i procedimenti che giungono al nostro CSM non sono il doppio o il quadruplo ma dieci volte tanto.
Cultura della organizzazione e della innovazione.
Denunciamo giustamente le carenze di magistrati e soprattutto di personale ammnistrativo, ma interroghiamoci anche su come usiamo le scarse risorse. Agli inizi degli anni ‘90 avevamo una magistratura a quasi pieno organico e un aumento clamoroso nel personale amministrativo. Con alcune eccezioni virtuose abbiamo sprecato quel “momento magico”?
Allora di cultura della organizzazione eravamo in pochi a parlare e, lo ricordo ai nostalgici, i capi degli uffici erano nominati con il criterio della “anzianità senza demerito”. Il “senza demerito” si raggiungeva solo che non si avesse una condanna disciplinare e grave; l’unica, non marginale, eccezione al criterio della anzianità era la “conventio ad excludendum” nei confronti degli aderenti a MD, ferrea fino agli inizi degli anni ’90. Quanto a fondamento razionale poi “anzianità senza demerito” vale quanto “gioventù senza demerito”
Daniela Piana nel suo recente libro “Uguale per tutti?. Giustizia e cittadini in Italia”[1] ha dimostrato come a parità di risorse la qualità del servizio giustizia è difforme. Uffici con grande scopertura di organico di magistrati e personale amministrativo funzionano meglio di uffici a organico pieno o quasi.
Sottolinea ancora Piana che la funzione del magistrato direttivo è un nodo centrale per le strategie di miglioramento[2] .La cultura organizzativa di Area con grandi analisi ma è intermittente nella attuazione pratica.
Nella mia esperienza quinquennale alla direzione di un grande ufficio di procura ho dovuto constatare che le iniziative di innovazione organizzativa hanno incontrato resistenze anche all’interno di Area.
In un articolo su Questione giustizia 1/2016 Edith van den Broek, già direttrice dell’Istituto di formazione giudiziaria del Belgio individua tre competenze chiave del magistrato dirigente:1) Competenza tecnico-giuridica; 2) Abilità amministrative ed organizzative;3) Competenze comunicative. E conclude: oggi al magistrato dirigente “non si richiede solo di essere un esperto di legge ma anche di essere un manager e ancor più di essere un leader”.[3]
Si può eludere il problema, riproponendo un modello “No Governance” che in pratica poi si traduce talora nella anarchia organizzativa e non di rado in una gestione paternalistica, “democratica” nelle apparenze, ma spesso autoritaria e arbitraria nella sostanza, mancando assunzione trasparente di responsabilità per scelte comunque necessitate.
Si può eludere la profonda differenza tra dirigenti giudici e dirigenti PM, ma ciò non giova affatto a difendere il nostro modello di carriera unica.
Il singolo PM, magistrato indipendente, lavora con una forte impronta personale, ma è inserito in una struttura organizzativa complessa, con un rete di strette interdipendenze. In una visione più moderna invece che di gerarchia si parla di leadership e di management. La questione è aperta e le soluzioni non sono semplici, ma non può essere elusa. Eppure le delibere del CSM mostrano non poche oscillazioni ed ipocrisie.
Un ufficio come la Procura non si regge senza il coinvolgimento e il confronto continuo con tutti i magistrati.
Ma senza una chiara governance e correlativa assunzione di responsabilità cui deve corrispondere trasparenza delle scelte (che è l’opposto della ipocrisia) e senza accountability (penso al Bilancio di Responsabilità Sociale), un Ufficio di Procura non affronta la innovazione, ma neppure assicura un accettabile servizio giustizia.
Guardiamo ai fatti. La vediamo la differenza tra la Procura della Repubblica di Roma senza governance del primo decennio degli anni duemila e quella con forte governance degli ultimi cinque anni?
E parlo di Roma per non dire di Milano. La Relazione Ispettiva sulla Procura di Milano per il quinquennio 2010/2015 per la prima volta non ha formulato rilievi ed ha valutato in modo positivo la organizzazione e i risultati raggiunti concludendo che “La governance dell’Ufficio, sia per la attività ammnistrativa e contabile, sia per la amministrazione della giurisdizione, è apparsa di livello particolarmente elevato” e ciò lo attribuisce ai provvedimenti che “hanno introdotto efficaci modifiche ai criteri organizzativi in delicati settori dell’Ufficio, determinando innovazioni e forte impulso alla attività della Procura della Repubblica di Milano”.
Il progetto di diffusione delle Best Pratices ha visto forti adesioni, non meno di incomprensibili rigetti. Lo stesso per il Bilancio di Responsabilità sociale.
Il BRS è importante come strumento di accountabilty, di “rendere conto”, di trasparenza su come ha funzionato l’ufficio e soprattutto su come il magistrato direttivo ha assunto o non assunto iniziative, si è preso o non si è preso la responsabilità appunto di “dirigere” e di innovare. Nella mia esperienza recente ho dovuto constatare che le iniziative di innovazione organizzativa hanno visto resistenze proprio in esponenti di Area.
Diciamo una cosa di sinistra: la macchina dei processi per direttissima, che riempiono le carceri funziona in automatico, ma non così le indagini sui reati dei colletti bianchi o comunque su fenomeni criminali complessi. Una opzione non corporativa quale ci si attente da Area imporrebbe di non eludere i problemi difficili. I nodi vengono comunque al pettine, ma su Venrdì di Repubblica di ieri 4 novembre la vignetta di Massimo Bucchi propone una soluzione “Da noi i pettini si alzano per far passare i nodi” con la immagine di un pettine che si alza a mo’ di sbarra di passaggio a livello.
Geografia giudiziaria.
Daniela Piana nel lavoro già citato ha smentito la idea che il numero dei magistrati e del personale amministrativo determini comunque la qualità del servizio, ma ciò non toglie che le sperequazioni nella distribuzione delle risorse umane sono inaccettabili.
Geografia giudiziaria: soppressioni e accorpamenti di Uffici della riforma Severino sono stati benvenuti ma del tutto insufficienti.
Come già prima in Francia e in Olanda, in Belgio nel 2014 il numero dei distretti giudiziari è stato più che dimezzato rispetto alla organizzazione di Napoleone basata sul fatto che il pubblico ministero in giornata potesse raggiungere in carrozza qualunque luogo del suo distretto.
Da noi abbiamo conservato, per fare un solo esempio e al Nord, Lodi, da cui, come insegna la canzone del Quartetto Cetra , si può ben raggiungere Milano anche a piedi, sia pure con la marsina color ciclamino, per vedere la “bella Gigogin”.[4]
Ancora un tema su cui Area deve avere il coraggio di rompere resistenze corporative.
Devono essere accorpati gli uffici mantenuti solo perché capoluoghi delle peraltro soppresse province, deve esser abbandonata la regola dei tre tribunali per distretto, deve essere stabilito il criterio di una sola Corte di Appello per ogni regione, con l’unica eccezione di due e non più di due Distretti per le due più grandi regioni italiane Lombardia e Sicilia.
Riorganizzazione della carriera.
La vicenda della riforma della età del pensionamento ha visto una corporazione chiusa su sé stessa, tra incertezze e balbettamenti che hanno segnato la posizione di Anm, e anche in parte di Area.
Non mette neppur conto di parlare, per rispetto della decenza, delle ricadute ad personam del DL 168/2016. Ma la magistratura aveva perso l’occasione già alla prima tornata. Si poteva criticare la mancanza di una gradualità che scaglionasse su più anni la riduzione a 70 anni, ma non nascondiamoci che ciò avrebbe comportato ad ogni scadenza pressioni per una proroga.
Vogliamo dire in modo chiaro che non si deve tornare indietro dal limite di 70 anni, che rimane comunque il limite più alto di tutta Europa ove i magistrati vanno in pensione di norma a 65 anni con un margine fino a 68?
Vogliamo dire che il limite dei 70 anni porterebbe anche ad un ringiovanimento della dirigenza con una ricaduta su una temporaneità ragionevole?
Vogliamo cogliere la occasione per chiedere una revisione dell’accesso che prenda atto delle grandi ricadute negative del concorso di secondo grado e correlativamente riorganizzare il tirocinio gestito dalla Scuola Superiore della Magistratura rafforzata?
Vogliamo dire basta al nonnismo giudiziario: non si possono punire due volte i magistrati di prima nomina prima con l’assegnazione d’ufficio a sedi disastrate e poi con un periodo minimo di permanenza allienato a chi la propria sede l’ha scelta.
Certo una seria riforma della geografia giudiziaria aprirebbe ad una soluzione.
Conclusione.
Rigore nella valutazioni di professionalità e nelle conferme quadriennali dei dirigenti.
Cambio di passo nella prassi disciplinare.
Promuovere una figura di dirigente centrata sulla cultura della organizzazione e della innovazione insieme al rendere conto con strumenti quali il Bilancio di Responsabilità sociale
Drastico intervento sulla geografia giudiziaria con soppressione di Tribunali e Corti di Appello inutili.
Pensione a 70 anni e accesso alla carriera subito dopo la laurea con rilancio del tirocinio e del ruolo della Scuola Superiore della magistratura.
VASTE PROGRAMME, avrebbe detto De Gaulle. Ma questa è la sfida per la magistratura oggi. Ma non basta. Ancora una cosa di sinistra.
Dicevo all’inizio: A fronte di una società civile disgregata e di una politica in crisi di credibilità, con la crescita di populismi variamente declinati, soffia di nuovo in magistratura un possente vento di chiusura corporativa, pericolosamente coniugato al populismo giudiziario.
E se il populismo della politica è male, il populismo giudiziario è pessimo.
La forte denuncia del populismo giudiziario che segnò l’intervento di Luigi Ferrajoli al Congresso di MD del 2013 è più che mai attuale: “L’esibizionismo, la supponenza e il settarismo di taluni magistrati, in particolare Pm e il “loro protagonismo nel dibattito pubblico diretto a procurare consenso alle loro inchieste e soprattutto alle loro persone”.
Non meno attuali le massime deontologiche che Ferrajoli proponeva: “il costume di sobrietà e riservatezza”; “la consapevolezza del carattere sempre relativo ed incerto della verità processuale”; “il costume del dubbio, la prudenza nel giudizio,la disponibilità all’ascolto di tutte le diverse e opposte ragioni”; “il rispetto dovuto a tutte le parti in causa, vittime e imputati, pur se mafiosi, terroristi o corrotti”.
E mi permetto di chiosare io: si è visto talora paradossalmente invocare come principio di eguaglianza applicare ai colletti bianchi la stessa caduta di garanzie, la stessa sciatteria e lo stesso atteggiamento forcaiolo riservato ai poveri cristi.
Il Presidente Mattarella ha sottolineato che “al penetrante potere deve accompagnarsi, a bilanciamento, la umiltà come costante attenzione alle conseguenze del proprio agire professionale con apertura al dubbio sui propri convincimenti, disponibilità a confrontarsi con le critiche legittime” ed ancora “il magistrato deve scegliere fra le varie opzioni consentite, nella corretta applicazione della norma con ragionevolezza, quella che comporta minori sacrifici per i valori, i diritti e gli interessi coinvolti” .[5]
Il Presidente si rivolgeva ai magistrati in tirocinio ma il monito deve essere raccolto da tutti e in particolare dalla magistratura progressista.
Questa è la sfida: contro il neocorporativismo e il populismo giudiziario. Qui si misura una aggregazione di magistrati che si ponga come obbiettivo, oggi come nel 1964, la tutela dei diritti, secondo la tavola di valori della Costituzione
Bologna 5 novembre 2016
[1] D. Piana, Uguale per tutti? Giustizia e cittadini in Italia, Bologna, Il Mulino, 2016 in particolare p 142 ss
[2] Ivi pp 153-154
[3] Edith Van den Broeck, La formazione giudiziaria in Belgio. I magistrati come managers, Questione giustizia, 1/2016, p. 107 ss. versione originale inglese e traduzione italiana www.questionegiustizia.it/rivista/2016/1
[4] Aveva un bavero di Festival di Sanremo 1954 (di Panzeri – Virgilio Ripa)
Vittoria Mongardi – Duo Fasano – Quartetto Cetra.
Aveva un bavero color zafferano
e la marsina color ciclamino
veniva a piedi da Lodi a Milano
per incontrare la bella Gigogin.
[5] Presidente Mattarella 9 marzo 2015 indirizzo ai Magistrati Ordinari in Tirocinio e 28 aprile 2015 alla Scuola superiore della Magistratura
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