Società liquide e nuove soggettività collettive
Un connotato molto comune del lavoro come oggi lo conosciamo, e ben prima del distanziamento sociale che il COVID ha imposto, è la solitudine.
Una solitudine talvolta molto affollata di presenze, con le quali sembra però non sia possibile condividere alcunché, e che è legata alla frammentazione delle forme contrattuali, alla smaterializzazione dei luoghi di lavoro, alla precarietà dei lavori. Tuttavia in questi stessi anni sono emersi, fino a trovare spazio anche nel discorso pubblico, nuovi soggetti collettivi (sindacati dei lavoratori e organizzazioni della società civile), che hanno dato vita a forme originali di tutela dei diritti.
Comprendere questi fenomeni non è facile, ma è indispensabile per chi per mestiere applica il diritto, perché il processo sia effettivamente, pur con tutti i suoi limiti, un luogo di concreta garanzia dei diritti.
Per questo Magistratura Democratica ha voluto organizzare l’incontro del 10 giugno scorso a Firenze. Che per quanto ci riguarda è stato essenzialmente di ascolto, di ascolto di quanto si muove nel mondo fuori delle nostre aule.
Abbiamo chiesto di raccontarcelo, di raccontare in specie la nascita e l’organizzazione di questi nuovi soggetti collettivi ai relatori e alle relatrici, che di quelle vicende sono stati tutti e tutte, dal loro punto di vista, protagonisti, ciascuno a suo modo.
Abbiamo parlato in primo luogo di sindacato, quindi di organizzazione rappresentative dei lavoratori, per noi lavoristi il soggetto collettivo per definizione, ma in questo caso si tratta di nuove forme di azione e di organizzazione sindacale, nate in contesti molto diversi tra loro, per far fronte a esigenze anche molto differenti, ma tutte costruite intorno a modi originali di tutele collettive. Abbiamo quindi ascoltato Dario Salvetti del collettivo GKN e Riccardo Mancuso, delegato Filt CGIL e membro dell’associazione Rider per i diritti, protagonisti, il collettivo GKN e le organizzazioni dei Riders, di alcune tra le più efficaci azioni sindacali degli ultimi anni, e Anna Rusconi del coordinamento del sindacato dei traduttori editoriali (Strade), che, anch’esso operando in una situazione estremamente complessa, ha realizzato un’originale forma di organizzazione mutualistica, nuova e che pure rimanda alle origini del movimento operaio.
Abbiamo parlato poi di altri soggetti collettivi, organizzazioni della società civile, tra loro anche molto diverse, ma nate comunque per la difesa dei diritti di alcuni gruppi di persone, portatrici di specifiche caratteristiche individuali che, nella concreta esperienza storica del nostro ordinamento e in genere di quelli Europei, le espongono a trattamenti differenziali e deteriori, cioè a discriminazioni. Sono i soggetti cui si deve, in larga parte, l’attuazione nel nostro ordinamento di quella forma, particolarmente efficace, ma anche complessa e delicata di tutela dei diritti che è il diritto antidiscriminatorio. Abbiamo ascoltato quindi Alberto Guariso, avvocato, responsabile del servizio antidiscriminazioni di ASGI (Associazioni Studi Giuridici sull’Immigrazione), ai quali, ad ASGI e ad Alberto in particolare, si deve l’affermazione in giudizio di alcuni principi non potrebbero dirsi altro che di giustizia, in materia di diritti delle persone migranti, e Francesco Rizzi, avvocato e attivista dell’associazione Rete Lenford, protagonista di alcuni dei più famosi casi giudiziari in materia di tutela delle persone LGBT.
Infine abbiamo chiesto di aiutarci a capire il rapporto tra questi nuovi soggetti e il diritto a due studiosi, da sempre molto attenti alle dinamiche della tutela collettiva dei diritti: Federico Martelloni, professore all’Università di Bologna e Venera Protopapa, professoressa all’Università di Verona.
Al termine di una giornata lunga, ma bella restano molte cose.
In primo luogo ci ha colpito (ed è stata sottolineata infatti da Martelloni e Protopapa) la capacità dei soggetti sindacali di cui abbiamo parlato di promuovere un consenso consapevole e una partecipazione diffusa, all’interno del gruppo i cui interessi essi intendono rappresentare, essenzialmente per mezzo di un’organizzazione non burocratica e insieme di un’opera di rovesciamento della narrazione relativa alle condizioni di vita e di lavoro sostenuta dalle controparti datoriali (la rappresentazione dei riders come imprenditori di se stessi, dei traduttori come neppure propriamente lavoratori). E ancora la loro capacità di utilizzare a vantaggio delle proprie rivendicazioni, l’organizzazione voluta dai datori di lavoro (così l’uso nell’azione di mobilitazione, da parte dei collettivi dei riders, delle chat e degli altri strumenti di collegamento digitale tra le persone impiegati dalle piattaforme per organizzare il lavoro dei ciclofattorini, così la capillare organizzazione dei delegati di fabbrica di GKN, che replica la struttura dei teams, con i loro leaders, prescelta dalla società come modello organizzativo della fabbrica).
Resta certo, e anche i racconti dei relatori e delle relatrici ce lo hanno rappresentato, la complessità del rapporto con il sindacato tradizionale, cui si imputa la burocratizzazione della struttura e insieme la difficoltà a comprendere i reali bisogni di tutela di lavori nuovi, ma anche di lavori vecchi costretti in modalità organizzative nuove, e con cui tuttavia almeno alcuni di questi soggetti hanno cercato e trovato una relazione, pur nell’autonomia delle rispettive forme organizzative.
Quanto alle esperienze delle organizzazioni della società civile come ASGI e Rete Lenford, dal racconto dei nostri relatori è apparso chiaro come per esse sia sempre stata centrale l’azione in giudizio, che è stata strumento di attuazione dei diritti, come nel caso dei migranti, ma anche di riconoscimento, così per i diritti delle persone LGBT. E tuttavia sia Guariso che Rizzi hanno sottolineato anche l’importanza della mobilitazione sociale a fianco e a sostegno delle rivendicazioni agite davanti alle Corti.
E più generalmente a questo proposito ci ha colpito il fatto che praticamente tutti questi soggetti, ciascuno a suo modo, abbiano cercato e praticato la relazione con i giuristi del lavoro, nell’intento di incidere sulla stessa produzione normativa, talvolta con risultati significativi (come nel caso dei riders).
In conclusione ci sembra che il valore, la peculiare efficacia delle esperienze che abbiamo ascoltato sia rappresentato dal loro tentativo di realizzare quella che Venera Protopapa ha chiamato nel suo intervento “sperimentazione democratica”, la ricerca cioè di strumenti di partecipazione effettiva della base e insieme di relazioni tra dirigenti, attivisti e semplici iscritti, tra soggetti collettivi tradizionali e sindacalismo informale, tra soggetti collettivi e giuristi, accademici e pratici.
All’incrocio di questo sistema di relazioni sta il processo, con le sue regole, che non devono tuttavia tradire la loro funzione di strumento, non di ostacolo per l’attuazione dei diritti. E a quell’incrocio stiamo anche noi giudici del lavoro, cui non spetta certo di riparare il legno storto della storia, ma che dobbiamo alle nostre parti lo sforzo di capire e accertare i fatti (che è di per sé un atto di giustizia) e il dovere dell’imparzialità, non dell’indifferenza.
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