Un corpo separato di pubblici ministeri, addetto all’esercizio dell’azione penale e alla direzione della polizia giudiziaria, ma che non fa più parte della giurisdizione e risponde solo a se stesso, è destinato inevitabilmente a perdere la propria indipendenza dal potere esecutivo.
Una prospettiva evidente anche nella stessa proposta di riforma, che interviene infatti sull’obbligatorietà dell’azione penale, oggi prevista in Costituzione a garanzia dell’eguaglianza dei cittadini, subordinando l’intervento del pubblico ministero alle scelte delle maggioranze parlamentari del momento. La proposta indebolisce inoltre il CSM non solo con la creazione di organi separati ma, per il Consiglio Superiore dei pubblici ministeri come per quello dei giudici, riducendo le competenze e la presenza dei magistrati da due terzi alla metà.
Nonostante le finalità dichiarate, la riforma rimette in discussione il nostro modello di PM indipendente, proprio mentre i principi che si affermano in ambito europeo prevedono che dovrebbe essere incoraggiata in tutti i sistemi la tendenza generale a rafforzare l’indipendenza e l’effettiva autonomia del pubblico ministero, in quanto “corollario indispensabile” dell’indipendenza di tutto il potere giudiziario, nel presupposto che i pubblici ministeri contribuiscono ad assicurare che lo stato di diritto sia garantito e concorrono ad un’amministrazione della giustizia equa, imparziale ed efficiente (parere del Consiglio Consultivo dei Procuratori Europei n. 9 del 2014).
di Mariarosaria Guglielmi
Segretaria generale di Md