Riforme? “in forma chiara e precisa”

L’intervista di Stefano Musolino al Foglio del 23 marzo scorso è titolata, inequivocamente, “Md vs. Nordio”.
E in effetti le argomentate critiche alle prese di posizione del ministro della Giustizia esordiscono con un’affermazione, condivisibile, che ne è la cornice: “sembra che il ministro Nordio continui a parlare per slogan e che non abbia una visione organica di quella che secondo lui dovrebbe essere un’adeguata riforma del sistema giudiziario e del processo penale”.

A monte ci si potrebbe anche chiedere se siano sopportabili da un sistema penale sostanziale e processuale già “sbocconcellato” da continui interventi, ulteriori “disegni riformatori”.
Ma tant’è: come si dice in Calabria ognuno vuol far sentire ‘u strusciu ‘i scupa nova, il rumore della sua personale sopravvenuta presenza.
Anche su un punto che il Segretario di Md fa oggetto di una possibile apertura, quello della collegialità dei provvedimenti in materia cautelare personale, la chiave è subito chiarita: “esiste un problema di risorse”.
Questo è il passaggio decisivo, che potrebbe essere riprodotto per ogni “disegno riformatore”.
Mi è accaduto di collaborare efficacemente con il Servizio di controllo parlamentare della Camera alla valutazione di impatto organizzativo di una legge; sappiamo il Ministero della Giustizia dispone di risorse tecniche di elevata qualificazione per valutazioni di questo tipo; il Consiglio superiore della Magistratura è in grado di fornire una visione al tempo stesso estesa e approfondita della realtà giudiziaria.
Non sembra dunque improprio immaginare (chiedere?) che il titolare dell’indirizzo politico in materia di giustizia anziché parlare per slogan segua un percorso in cui enuncia un obiettivo, ne sottopone le possibili modalità attuative alle competenze valutative del Ministero, del Parlamento, del CSM, lo corregge per quanto necessario e infine lo propone “in forma chiara e precisa” (429 c.p.p. docet).
Magari potremmo scoprire che la collegialità ha un costo organizzativo pesante, che la devoluzione distrettuale spesso allontana dalla conoscenza delle esigenze e delle realtà a cui il sistema penale deve rispondere, che l’equilibrio tra concentrazione e prossimità dell’amministrazione della giustizia non si può ottenere per slogan e che non solo al di sotto ma anche al di sopra di certe dimensioni le sedi giudiziarie vanno in crisi.
Oppure si potrebbero scoprire, studiandole, realtà e soluzioni impreviste: ma comunque lontane dalla politica del mobile surfing o della battuta a (presunto) effetto.