Civile

Registrazione e resoconto sesto seminario - La riforma della giustizia civile


Il 13 aprile 2023, dalle 15:30, si è svolto il sesto dei Seminari promossi da Magistratura Democratica sulla riforma del processo civile, con la partecipazione di oltre 140 persone collegate da remoto e dei presenti nella saletta della ANM, al sesto piano del Palazzaccio.


Nel corso del seminario, la cui registrazione è accessibile al link https://www.youtube.com/watch?v=dE8bnS7qNBw, sono state esaminate diverse questioni che si pongono nella nuova disciplina del processo esecutivo.

1. Gli interventi sul processo esecutivo.
La “legge delega” 26 novembre 2021, n. 206 ed il successivo decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 149, hanno introdotto una serie di novità nella disciplina delle procedure esecutive.
I commi 29 e 32 dell’art. 1 della legge n. 206/2021 avevano apportato modifiche, entrate in vigore già dal 22 giugno 2022, all’art. 26-bis, comma 1, c.p.c. relativo alla competenza per le espropriazioni forzate di crediti quando debitore è una pubblica amministrazione, e all’articolo 543, comma 4 c.p.c. relativamente alla fase iniziale del pignoramento presso terzi prevedendo la notifica da parte del creditore al debitore e al terzo dell’avviso dell’avvenuta iscrizione a ruolo con indicazione del numero di ruolo della procedura ed il deposito dell’avviso notificato nel fascicolo dell’esecuzione.
Una ulteriore modifica in tema di espropriazione presso terzi è stata introdotta dall’art. 2-bis della l. 21 settembre 2022, n. 142, che ha convertito con modificazioni il d.l. 9 agosto 2022, n. 115, ed ha modificato il 7° comma dell’art. 545 c.p.c. prevedendo nuovi limiti di impignorabilità delle somme dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza. La modifica è entrata in vigore il 22 settembre 2022.
L’art. 1, comma 12, l. 26 novembre 2021, n. 206 aveva attribuito al legislatore delegato il compito:
 di abolire la formula esecutiva
 di modificare la disciplina della ricerca telematica dei beni da pignorare, con particolare riferimento alla sospensione dei termini di efficacia del precetto;
 di ridurre i termini per il deposito della documentazione ipocatastale;
 di regolare i compiti del custode, dell’esperto e del professionista delegato adeguando la normativa alle prassi diffuse in molti uffici giudiziari e formalizzate nelle Linee guida del Csm approvate nel 2017 e modificate nel 2021;
 di risolvere i problemi relativi ai reclami nei confronti dell’attività del professionista delegato;
 di regolare la custodia e la liberazione dell’immobile pignorato;
 di definire il contenuto delle relazioni di stima e dei provvedimenti del giudice dell’esecuzione;
 di prevedere e regolare il potere del debitore di vendere l’immobile;
 di imporre agli aggiudicatari l’osservanza della normativa sull’antiriciclaggio di cui al d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231.
In adempimento di questi principi e criteri direttivi, l’art. 3, commi da 34 a 44, d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, ha novellato gli artt. 474, 475, 476, 478, 479, 488, 492, 492-bis, 534-ter, 559, 560, 567, 568-bis, 569-bis, 570, 585, 586, 591-bis e 591-ter c.p.c.
Altre modifiche, aggiunte ed abrogazioni delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile sono previste dall’art. 4, commi da 9 a 12, d. lgs. n. 149/2022.


2. La disciplina transitoria.
Le modifiche normative riguardanti i pignoramenti presso terzi sono entrate in vigore il 22 giugno 2022 e non hanno posto particolari problemi di disciplina transitoria poiché le nuove disposizioni si applicano alle procedure introdotte a partire da tale data.
L’entrata in vigore delle modifiche introdotte con il decreto legislativo n. 149/2022 in un primo momento era fissata per il 30 giugno 2023, ma con l’art. 35, 1° co. d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall’art. 1, comma 380, l. n. 197/2022, è stata successivamente anticipata al 28 febbraio 2023 e si applica ai procedimenti instaurati successivamente a tale data e quindi introdotti a partire dal 1° marzo 2023.
Riguardo ai processi esecutivi per espropriazione la “instaurazione” si ha con la notifica del pignoramento ai sensi dell'articolo 491 c.p.c. Per quanto riguarda l'esecuzione degli obblighi di fare o non fare la pendenza si ha, secondo l’orientamento prevalente in dottrina e in giurisprudenza, con il deposito del ricorso ex art. 612 c.p.c. L'esecuzione per rilascio ha inizio, secondo l’espressa previsione dell’art. 608 c.p.c., con la notificazione del preavviso di rilascio; l’esecuzione per consegna ha inizio nel momento in cui l’ufficiale giudiziario, ottemperando alla richiesta della parte creditrice, si reca sul luogo in cui si trovano le cose mobili, le ricerca e le consegna alla parte istante.
Nella applicazione della disciplina transitoria sono sorti problemi in relazione alla necessità di apporre la formula esecutiva sui titoli formati prima del 28 febbraio 2023, alla disciplina applicabile alla fase di merito delle “divisioni endoesecutive”, alla disciplina applicabile alla fase di merito delle opposizioni esecutive proposte in corso di esecuzione.
Si è affermato in tutti gli interventi che riguardo alle opposizioni esecutive c.d. “successive” deve applicarsi la disciplina vigente al momento della introduzione della opposizione cioè al momento del deposito del ricorso che introduce la fase della opposizione dinanzi al g.e. (in considerazione della natura bifasica del giudizio, affermata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione a partire dalla sentenza Cass. sez. III civ., 11/10/2018 n. 25170).
Più controversa l’individuazione dell’atto introduttivo della divisione endoesecutiva poiché in dottrina si è sostenuto che il giudizio di divisione endoesecutivo trae origine dalla notifica del pignoramento. Nel corso del seminario gli intervenuti hanno, però, affermato che il giudizio divisorio mantiene la sua autonomia ed è retto dall’ordinanza ex articolo 181 disp. att. c.p.c. che deve considerarsi come atto introduttivo. Questo orientamento si riporta alla giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass. 20 agosto 2018 n. 20817) secondo la quale
“il giudizio di divisione endoesecutivo è ritualmente introdotto con la pronuncia (o la notifica) dell'ordinanza del giudice dell'esecuzione che la dispone”.
In generale si è osservato che la scelta di non definire una specifica disciplina transitoria, come si era fatto in passato per altre riforme, porterà sia per le procedure esecutive, che per i giudizi di cognizione “endoesecutivi” ad una lunga fase di “doppio binario” tra vecchio e nuovo regime.


3. Le modifiche in materia di espropriazioni presso terzi.

3.1. La nuova disciplina della competenza per territorio.
La nuova formulazione dell’art. 26 – bis, comma 1 c.p.c., in deroga al principio generale sulla competenza indicato dall’art. 26 - bis comma 2 c.p.c. (“l'espropriazione forzata di crediti è competente il giudice del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede”), prevede che: “Quando il debitore è una delle pubbliche amministrazioni indicate dall'articolo 413, quinto comma, per l'espropriazione forzata di crediti è competente, salvo quanto disposto dalle leggi speciali, il giudice del luogo dove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto il creditore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede”.
Si è osservato nelle prime interpretazioni che:
- l’applicazione del foro del creditore preclude il concorso dei creditori nei casi in cui siano pendenti più processi esecutivi nei confronti dello stesso debitore e dello stesso terzo davanti a tribunali diversi, perché diverso è il luogo del creditore: nel processo esecutivo non operano infatti le deroghe alla competenza per territorio proprie del processo di cognizione (litispendenza, continenza);
- si pone il problema della applicazione dell’art. 26-bis, comma 1 c.p.c. nell’ipotesi delle pubbliche amministrazioni che non si avvalgano del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato (vale a dire, le amministrazioni e gli enti debitori non “centrali”, che presentano un legame con un limitato ambito territoriale) con la conseguenza che, se si applicasse la regola generale di cui all’art. 26-bis, comma 2 c.p.c. le stesse subirebbero l’esecuzione a macchia di leopardo sull’intero territorio nazionale, in contrasto con il criterio della prossimità del luogo del processo di esecuzione al luogo del debitore o al luogo in cui si trova il bene espropriato;
- l’eccezione di cui all’art. 26-bis, comma 1 c.p.c. contempla a sua volta un’ulteriore eccezione, laddove continua ad esser fatto salvo quanto disposto dalle leggi speciali, sicché occorre individuare la portata di tale disposizione alla luce della novellata regola sulla competenza.
Un’interpretazione della norma sulla competenza ancorata esclusivamente al dato letterale, potrebbe tradursi in una ingiustificata limitazione del perseguimento della finalità del processo esecutivo.
La concentrazione dei processi esecutivi presso i soli tribunali dei luoghi in cui si trovano le sedi territoriali dell’Avvocatura distrettuale collide con l’intento per cui pochi anni prima era stato mantenuto il foro del terzo per le pubbliche amministrazioni, vale a dire evitare la concentrazione dei procedimenti in pochi uffici giudiziari.
Il nuovo criterio del foro della sede dell’Avvocatura dello Stato nel cui ambito territoriale si trova il creditore, è stato prescelto – come esposto nella relazione illustrativa alla legge di riforma – per evitare che le esecuzioni forzate nei confronti delle P.A. che si avvalgano della tesoreria dello Stato debbano svolgersi tutte presso il Tribunale di Roma quando sarà attuato l’accentramento delle funzioni di tesoreria statale.
Da ciò può desumersi che il nuovo criterio è stato ritagliato sulle Amministrazioni centrali dello Stato, le sole che si avvalgono – nel contempo – della tesoreria dello Stato e del patrocinio necessario dell’Avvocatura dello Stato, mentre quel criterio risulta invece del
tutto estraneo e non ragionevolmente correlabile alla maggior parte delle amministrazioni ed enti pubblici che non si avvalgono del patrocinio erariale, ma di strutture prossime al “luogo del debitore”, e il cui servizio di tesoreria non sia affidato alla tesoreria dello Stato o rispetto alle quali sia vietato promuovere le esecuzioni forzate presso detta tesoreria e debba invece procedersi nei confronti del soggetto che svolge in concreto tale funzione (il cassiere o tesoriere delle ASL o degli enti locali, per fornire un esempio riferibile ad un elevato numero di debitori pubblici sparsi sul territorio): situazioni in cui la struttura di tesoreria è prossima al “luogo del debitore”.
Costituiscono senz’altro una deroga alla regola del foro del creditore tutte le situazioni in cui sia individuato uno specifico diverso criterio di ripartizione della competenza per territorio: è il caso della speciale ipotesi prevista per l’Inps e altri enti esercenti forme di previdenza e assistenza obbligatoria dall’art. 14, comma 1-bis, primo periodo, del d.l. n. 669/1996, conv. dalla legge n. 30/1997.
Devono essere ricondotte alla deroga anche le fattispecie previste da norme speciali che – pur non contemplando una disciplina espressa della competenza nel processo di esecuzione – contengano delle previsioni, relative al rapporto tra l’amministrazione o ente e la sua tesoreria e relative alle modalità di procedere all’espropriazione forzata, tali da connotarle della specialità rispetto al criterio del foro del creditore, in quanto idonee a realizzare il duplice fine perseguito dal legislatore applicando il criterio generale per l’espropriazione presso terzi (il foro del debitore, previsto al secondo comma dell’art. 26-bis c.p.c.).
In sede di prima interpretazione alcuni uffici giudiziari, come la sezione esecuzioni mobiliari del Tribunale di Roma, richiamando i primi commenti sul punto (che hanno segnalato come dopo il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 19 agosto 2021 che prevede l’accentramento delle attività operative del servizio di tesoreria statale svolte da Banca d’Italia presso il Servizio Tesoreria dello Stato, si poteva riproporre il problema del sovraccarico del tribunale di Roma), si è ritenuto:
- che la regola del foro del creditore/Avvocatura distrettuale dello Stato debba essere applicata quando l’esecutato sia un’Amministrazione dello Stato o altro ente, che abbia come tesoriere il tesoriere dello Stato e che debba necessariamente avvalersi del patrocinio erariale ovvero quando il pignoramento (legittimamente o no) non sia eseguito presso il soggetto che svolge servizio di tesoreria;
- deve essere applicata la regola generale del foro del debitore quando siano esecutati enti assoggettati al sistema di tesoreria unica (quali le ASL e i Comuni) e il pignoramento sia eseguito presso la struttura che svolge il servizio di tesoriere e cassiere;
- qualora l’esecuzione nei confronti di una pubblica amministrazione o ente pubblico non sia riconducibile alle suddette due ipotesi, occorrerà verificare caso per caso se sussista una particolare disciplina del rapporto tra l’amministrazione o ente esecutato e la sua tesoreria e delle modalità di procedere all’espropriazione forzata, tali da connotarle della specialità rispetto al criterio del foro del creditore (in particolare: sia esecutata una ASL e il terzo pignorato non sia il tesoriere o cassiere).
La competenza prevista dal comma 1° dell’art. 26-bis c.p.c. dovrebbe riguardare solo l’iniziativa del procedente e non la possibilità di intervenire nella procedura esecutiva.
Si deve inoltre segnalare che non è stata modificata dalla riforma l’art. 678 c.p.c. per il sequestro di crediti - e ciò ha già determinato lo sviluppo di un contenzioso sul tema - e che, come rilevato in dottrina, resta immutato il tema della giurisdizione esecutiva, laddove il creditore (nel caso del comma 1° dell’art. 26-bis c.p.c.) o il debitore (in quello del comma 2° dello stesso articolo) non abbiano residenza, domicilio o dimora nel territorio nazionale.

3.2. L’avviso di avvenuta iscrizione a ruolo della procedura.
L’art. 543, comma 5 c.p.c. prevede che: “Il creditore, entro la data dell’udienza di comparizione indicata nell’atto di pignoramento, notifica al debitore e al terzo l’avviso di
avvenuta iscrizione a ruolo con indicazione del numero di ruolo della procedura e deposita l’avviso notificato nel fascicolo dell’esecuzione. La mancata notifica dell’avviso o il suo mancato deposito nel fascicolo dell’esecuzione determina l’inefficacia del pignoramento” il comma 6 prevede che: “Qualora il pignoramento sia eseguito nei confronti di più terzi, l’inefficacia si produce solo nei confronti dei terzi rispetto ai quali non è notificato o depositato l’avviso. In ogni caso, ove la notifica dell’avviso di cui al presente comma non sia effettuata, gli obblighi del debitore e del terzo cessano alla data dell’udienza indicata nell’atto di pignoramento”.
L’obbligo di avviso ex art. 543, commi 5 e 6, c.p.c. è stato introdotto (nelle sole espropriazioni presso terzi) a causa del diffuso inadempimento dell’obbligo di dare comunicazione “al debitore e all’eventuale terzo” della mancata iscrizione a ruolo, posto a carico dei creditori (anche nelle espropriazioni mobiliari e immobiliari) dall’art. 164-ter, disp. att., c.p.c.
L’obbligo di notifica dell’avviso ex art. 543 c.p.c. e le conseguenti inefficacia del pignoramento e cessazione degli obblighi conseguenti, sono preordinati ad impedire che il vincolo di destinazione impresso dal pignoramento presso terzi permanga di fatto anche se il creditore non abbia dato ulteriore impulso all’esecuzione.
La norma, laddove ha stabilito l’obbligo, ha previsto una congiunzione e non una disgiunzione: ciò significa che entrambe le attività previste dalla norma (ossia tanto la notifica quanto il deposito della notifica nel fascicolo dell’esecuzione) sono prescritte come obbligatorie.
La notifica può avvenire in tutte le forme previste dalla legge.
La precisazione si impone alla luce dell’iniziale dubbio creatosi in merito alla necessaria notifica esclusivamente attraverso l’UNEP. In realtà la legge nulla dice in tal senso, pertanto è ammessa qualsiasi forma. Peraltro alla luce della riforma, la modalità di notifica privilegiata è quella a mezzo pec, ovviamente ove il destinatario ne sia munito.
In dottrina si è ritenuto che la notifica possa avvenire nella cancelleria del tribunale competente per l’espropriazione come previsto dall’art. 492, comma 2, c.p.c., quando questi non abbia provveduto ad effettuare l’elezione di domicilio
La notifica dell’avviso è necessaria anche nell’ipotesi di cui all’art. 159 - ter disp. att. c.p.c., ossia quanto il pignoramento viene iscritto dal debitore e in generale da persona diversa dal creditore.
Si è posto il problema di stabilire come interpretare il termine perentorio per la notifica dell’avviso, previsto dal comma 5 (“entro la data dell’udienza di comparizione indicata nell’atto di pignoramento”).
Sembra si debba applicare la scissione temporale del compimento delle attività riservate al notificante e quelle del perfezionamento della notifica: il termine perentorio stabilito dal 5° co. (ossia la data indicata dal creditore nell’atto di pignoramento) si intende rispettato, qualora sia compiuta l’attività notificatoria entro la data dell’udienza di comparizione indicata nell’atto di pignoramento.
Tuttavia il novellato art. 543 c.p.c. prevede il secondo incombente del deposito entro la medesima data: di conseguenza se il notificante vuole essere certo di depositare tempestivamente la prova della notifica nel fascicolo telematico, deve indicare quale data d’udienza una data sufficientemente lontana che gli consenta di procedere alle attività notificatorie.
Se l’avviso ex art. 543 c.p.c. non viene notificato a tutti i terzi, il pignoramento perde efficacia nei confronti dei soggetti che non hanno ricevuto la notifica; sembra opportuno che il giudice, effettuate le verifiche preliminari, ne dia atto a verbale in udienza e lo dichiari.
In caso di mancata notifica dell’avviso al debitore o al terzo il giudice, entro la prima udienza o la prima udienza utile (come nel caso in cui non vi sia evidenza del perfezionamento della notifica per mancato recapito della cartolina A/R), dichiara l’inefficacia del pignoramento.
Si è ritenuto di ricondurre tale fattispecie a quella dell’estinzione del processo per inattività delle parti, analogamente alle ipotesi dell’inefficacia per intempestiva iscrizione a ruolo o
per intempestiva proposizione dell’istanza di vendita o di assegnazione (sul punto Cass. n. 19283/2014).
Tale inquadramento comporta che il provvedimento del giudice debba essere impugnato con il reclamo ex art. 630 c.p.c.
Si è concordato che l’inefficacia possa essere rilevata anche d’ufficio dal giudice.
Si sono invece confrontate opinioni diverse in merito alla necessità che il rilievo, officioso o di parte, sia svolto entro la prima udienza effettiva di comparizione delle parti, come previsto dall’art. 630 c.p.c., o possa essere svolto anche successivamente, atteso che, in caso di omessa tempestiva notifica dell’avviso, l’obbligo di custodia gravante sul terzo cessa di diritto dal giorno successivo alla prima udienza.
È stata al riguardo prospettata la soluzione secondo la quale il rilievo deve intervenire entro la prima udienza effettiva; ma è da ritenersi giustificata – nel caso di mancato rilievo e della conseguente estinzione – la condotta del terzo che, non avendo ricevuto tempestivamente l’avviso, abbia posto le somme nella disponibilità del debitore. In tale ipotesi, l’eventuale assegnazione è improduttiva di effetti nei confronti del terzo.

3.3. I nuovi limiti di pignorabilità delle somme dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza.
L’art. 2-bis della l. 21 settembre 2022, n. 142, che ha convertito con modificazioni il d.l. 9 agosto 2022, n. 115, ha modificato il 7° comma dell’art. 545 c.p.c. prevedendo che le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, «non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro» fermo restando che la parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal 3°, 4° e 5° comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge.
Si è stabilito, quindi, un limite di impignorabilità fisso delle pensioni.
La giurisprudenza di merito che ha affrontato il tema (al momento è nota solo la pronuncia del Tribunale di Catania: cfr. Trib. Catania 26 settembre 2022 in www.ilcaso.it) ne ha affermato l’immediata applicabilità anche alle procedure già in corso, in linea con quando stabilito dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 12 del 2019.
La disposizione dovrebbe incidere anche sulla previsione del comma 8° dell’art. 545 c.p.c. che prevede: “Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge”.
Il richiamo al comma 7 modificato lascia intendere che per gli accrediti effettuati alla data del pignoramento o successivamente si applica il nuovo limite di impignorabilità.

4. L’abrogazione della formula esecutiva.
La modifica degli artt. 474 ss. c.p.c. e l'abrogazione dell'articolo 476 c.p.c. hanno comportato l’eliminazione della formula esecutiva. Si tratta di una modifica legata alla progressiva digitalizzazione del processo civile ed alla generalizzata applicazione del processo civile telematico, e volta ad eliminare quello che, nel corso del seminario, è stato definito “relitto storico” o anzi “fossile vivente”.
Una incidenza limitata della apposizione della formula esecutiva era stata affermata dalla stessa giurisprudenza di legittimità tanto che la stessa relazione governativa al maxiemendamento che ha dato origine poi alla legge delega richiamava la pronuncia della Corte di cassazione n. 3967 del 2019 in tema di sanatoria ex art. 156 c.p.c. dell'omessa spedizione in forma esecutiva della copia del titolo esecutivo rilasciata al creditore; la giurisprudenza di legittimità, in base ai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e dell'interesse ad agire, aveva affermato, in questa pronuncia, che il debitore opponente non può limitarsi, a pena di inammissibilità dell'opposizione, a dedurre l'irregolarità formale in sé considerata, senza indicare quale concreto pregiudizio ai diritti tutelati dal regolare svolgimento del processo esecutivo essa abbia cagionato.
Successivamente la giurisprudenza della Corte di cassazione, con la sentenza n. 14275 del 2022, ha anche affermato che la carenza della formula esecutiva fatta valere con opposizione agli atti esecutivi proposta dal debitore congiuntamente alla opposizione all’esecuzione, resta sanata poiché la contestazione dell'esistenza del diritto di agire esecutivamente rivela che il debitore ha ben individuato il soggetto creditore e per quale debito si procede "in executivis" e, pertanto, la notifica del precetto ha raggiunto il suo scopo.
La abrogazione è stata salutata con favore ed ora si consente all'avvocato di estrarre dal fascicolo telematico del processo civile la copia del provvedimento giurisdizionale da azionare esecutivamente provvedendo ad attestare la conformità dell’atto prodotto con il titolo originario.
Di conseguenza è stato eliminato l'articolo 476 c.p.c. che prevedeva la necessità di rivolgersi al presidente del tribunale per ottenere la seconda copia in forma esecutiva.
Rispetto agli atti pubblici, sarà necessario continuare a rivolgersi al pubblico ufficiale affinché questo rilasci la copia autentica dell'originale.
Riguardo alla disciplina applicabile ai titoli esecutivi giudiziari già emessi al momento della entrata in vigore della riforma, la tesi sostenuta in tutti gli interventi è quella secondo cui si applica la disciplina vigente al momento della richiesta di apposizione della formula cosicché a partire dal 1° marzo 2023 non si appone più la formula esecutiva né si rilasciano ulteriori copie in forma esecutiva.
Sembra andare in questo senso la discutibile formulazione adottata dal legislatore che con l’art. 1, comma 380, della legge di bilancio 29 dicembre 2022, n. 197 ha riscritto il comma 8 dell’art. 35 del decreto legislativo n. 149/2022 prevedendo che “Le disposizioni di cui all’articolo 3, comma 34, lettere b), c), d) ed e), si applicano agli atti di precetto notificati successivamente al 28 febbraio 2023” anche se non pare corretto ancorare all’atto di precetto l’abrogazione della formula esecutiva.
Questa interpretazione trova conforto anche nell’altra scelta del legislatore di prorogare la disciplina del rilascio della formula esecutiva telematica solo fino al 28 febbraio 2023. Sarebbe infatti incongruo prevedere che vi fosse ancora la necessità di apporre la formula esecutiva e di doverlo fare con una modalità ormai superata da anni.
Può invece essere richiesto, per i titoli giudiziali formati con modalità non digitale, il rilascio da parte del cancelliere di copia autentica del titolo rispetto alla quale l’avvocato può poi attestare la conformità di copie ulteriori.
Il legislatore è intervenuto sull’articolo 488 c.p.c. prevedendo al comma 2 che il creditore è obbligato a presentare l'originale del titolo esecutivo nella sua disponibilità o la copia autenticata dal cancelliere o dal notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a ogni richiesta del giudice.
La richiesta di deposito dell’originale o della copia autentica non ha lo scopo di verificare se il titolo esecutivo sia uno solo e quindi di verificare che il soggetto che agisce sia in possesso dell'unico originale, ma piuttosto di poter controllare che l'attestazione di conformità all'originale alla copia sia corretta.
Si affida quindi all'auto-responsabilità del creditore l’esercizio dell’azione esecutiva sulla base di un titolo esecutivo valido ed efficace, e le future contestazioni non riguarderanno tanto la ritualità formale del titolo, ma la sostanziale carenza del titolo esecutivo.
Peraltro anche in passato la previsione della apposizione della formula esecutiva non impediva il frazionamento del credito poiché nella pratica si utilizzava un escamotage molto semplice: si depositava prima l'originale, poi ci chiedeva l'autorizzazione di sostituire l’originale del titolo in forma esecutiva con una copia e si utilizzava l’originale per iniziare un’altra azione esecutiva.

5. La ricerca telematica dei beni (art. 492 - bis c.p.c. e art. 155 - quinquies disp. att. c.p.c.).
La disciplina è stata radicalmente modificata diversificando l’ipotesi in cui l’istanza per ricerche telematiche sia proposta dopo la notificazione del precetto e dopo il decorso del termine previsto dall’art. 482 c.p.c. oppure prima. Dopo la riforma l’autorizzazione del presidente del tribunale è necessaria solo in questo caso; negli altri casi il compito di effettuare le ricerche è direttamente dell’Ufficiale giudiziario, senza alcuna autorizzazione in quanto i controlli effettuati dall’ufficiale giudiziario non si differenziano da quelli che lo stesso organo già compie quando provvede al pignoramento con modalità ordinarie.
La seconda novità introdotta dalla riforma riguarda la sospensione del termine di validità del precetto ex art. 481 c.p.c., come richiesto dall’art. 1, comma 12°, lettera b) della l. n.206/2021; si tratta di una soluzione finalizzata ad evitare il rischio di perenzione del precetto già notificato nel tempo occorrente per chiedere ed ottenere l’autorizzazione del presidente del tribunale e per le conseguenti ricerche.
L’intervento del legislatore delegato è stato per vero duplice: ha infatti interessato sia la disciplina dell’art. 492-bis c.p.c. sia quella dell’art. 155-quinquies disp. att. c.p.c.
Inoltre si è modificato l’art. 492 c.p.c. prevedendo, al comma 8, che nell'ipotesi di sospensione ai sensi dell'articolo 492-bis, terzo comma, il pignoramento deve contenere l'indicazione della data di deposito dell'istanza di ricerca telematica dei beni, l'autorizzazione del presidente del tribunale quando è prevista, l'indicazione della data di comunicazione del processo verbale di cui al quarto comma dell'articolo 492-bis c.p.c. ovvero della data di comunicazione dell'ufficiale giudiziario di cui al terzo comma dello stesso articolo, o del provvedimento del presidente del tribunale di rigetto dell'istanza.
Ci si è chiesti se questa previsione introduce una forma di inefficacia rilevabile d’ufficio e se questa circostanza comporta che debbano effettuarsi d’ufficio tutti i controlli sul contenuto del pignoramento e, in primo luogo, sulla efficacia del precetto al momento del pignoramento che, finora, nella interpretazione tradizionale potevano essere fatti valere solo con opposizione agli atti esecutivi.
La ratio della previsione è quella di introdurre nel contenuto del pignoramento un ulteriore elemento di carattere formale finalizzato a consentire al debitore, (che non può, altrimenti, essere a conoscenza della effettuazione della ricerca dei beni e della conseguente sospensione del termine di efficacia del precetto) di valutare la tempestività del pignoramento rispetto al termine di efficacia del precetto previsto dall’art. 481 c.p.c.
Non sembra che questa modifica, che introduce un elemento di carattere formale, incida sugli orientamenti che si sono andati formando in materia di inefficacia del pignoramento ed estinzione della procedura esecutiva, anche perché si tratta di una previsione alla quale non è collegata la sanzione dell’inefficacia.
La mancata indicazione degli elementi attinenti alla effettuazione della ricerca telematica dei beni può rilevare solo nell’eventuale infondata opposizione agli atti esecutivi proposta dal debitore a causa di tale carenza dell’atto di pignoramento.

6. I termini della fase della liquidazione nella procedura esecutiva immobiliare.
Sono stati ridotti i termini dell’art. 567 c.p.c., prevedendo che il creditore procedente o intervenuto debba depositare la documentazione ipocatastale nel medesimo termine concesso dall’art. 497 c.p.c. per il deposito dell’istanza di vendita, vale a dire 45 giorni dal compimento del pignoramento.
L’istanza di vendita, al momento della sua presentazione, non deve però essere corredata necessariamente da tale documentazione.
Analogamente sono stati ridotti i termini previsti sia per la proroga di tale termine che il creditore può chiedere «per giusti motivi» sia quelli che il giudice può concedere al fine di completare il deposito.

7. La vendita diretta.
La novità di maggior rilievo in materia di espropriazioni immobiliari è la vendita diretta dell’immobile.
Si tratta di un modello di vendita ispirato, molto alla lontana, all’istituto francese della c.d. vente privée, che sicuramente ha ispirato il delegante e si differenzia anche dal modello di vendita privata già presente da molti anni nella disciplina dell’esecuzione tributaria (art. 52, comma 2°-bis, ter e quater d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602).
La delega, pur essendo molto dettagliata, poneva dubbi interpretativi e criticità.
La disciplina ha previsto che l’udienza nella quale viene disposta la vendita è momento imprescindibile per il seguito della procedura, il prezzo base di vendita è fissato dal giudice sulla base della stima e delle osservazioni dei creditori, la liberazione dell’immobile ha disciplina differente secondo che si tratti o non si tratti dell’abitazione del debitore.
Sono introdotti il modello di vendita diretta e di vendita competitiva su offerta già presentata.
L’art. 568-bis prevede che il debitore, con istanza depositata non oltre dieci giorni prima della udienza prevista dall'art. 569, comma 1°, chieda al giudice dell'esecuzione di disporre la vendita diretta dell'immobile pignorato o di uno degli immobili pignorati per un prezzo non inferiore al valore indicato nella relazione di stima (di cui all'art. 173-bis, comma 3°, disp. att. c.p.c.). A pena di inammissibilità, unitamente all'istanza di cui al primo comma deve essere depositata in cancelleria l'offerta di acquisto da parte di un terzo, nonché una cauzione non inferiore al decimo del prezzo offerto.
L'istanza e l'offerta sono notificate a cura dell'offerente o del debitore almeno cinque giorni prima dell'udienza ex art. 569 c.p.c. al creditore procedente, ai creditori di cui all'art. 498 c.p.c. e a quelli intervenuti prima del deposito dell'offerta medesima.
Poiché nel momento dell’offerta, il prezzo di vendita ancora non è stato determinato, dato che il giudice dell’esecuzione non ha avuto modo di valutare le eventuali osservazioni dei creditori sulla stima ex art. 173-bis, comma 4°, disp. att. c.p.c., né pronunciarsi sul punto, è possibile che tale offerta pur essendo adeguata alla stima, debba essere integrata per raggiungere il prezzo base.
In tal caso è previsto un termine di dieci giorni per integrare l’offerta e la cauzione. Se ciò non avviene, il giudice dell'esecuzione, entro cinque giorni, dichiara inammissibile l'offerta e dispone la vendita nei modi e nei termini di cui al terzo comma dell'art. 569 c.p.c., vale a dire nelle consuete modalità; e nello stesso modo dispone nei casi in cui dichiara con decreto inammissibile l'istanza presentata.
Nel caso di assenso esplicito o di silenzio/assenso dei creditori titolati e iscritti (ex art. 498 c.p.c.), il giudice «aggiudica l'immobile all'offerente», senza che si preveda una fase di competizione tra gli eventuali offerenti (art. 569 -bis, comma 4°).
Invece, nel caso in cui sull’offerta proposta si manifesta l’opposizione dei creditori, si passa ad una vendita competitiva. Il giudice fissa un termine non superiore a quarantacinque
giorni per l'effettuazione della pubblicità, ai sensi dell'articolo 490 c.p.c., dell'offerta pervenuta e della vendita e il termine di novanta giorni per la formulazione di ulteriori offerte di acquisto; nonché un successivo termine di quindici giorni per la fissazione di un’udienza – convocando a parteciparvi il debitore, i comproprietari, il creditore procedente, i creditori intervenuti, i creditori iscritti e gli offerenti - «per la deliberazione sull'offerta e, in caso di pluralità di offerte, per la gara tra gli offerenti» (art. 569 -bis, comma 5°, n. 3). In tal caso, peraltro, il prezzo base della gara non potrà, ovviamente, essere inferiore a quello dell'offerta già presentata, il quale a sua volta sarà – come si è detto - pari o superiore al valore di stima (art. 569-bis, comma 5°, n. 2).
Per tutte queste ipotesi si prevede la possibilità di delega delle operazioni di vendita (art. 591-bis c.p.c., comma 12 e 13).
Anche la vendita competitiva deve essere effettuata con modalità telematiche.
Il legislatore delegato ha poi previsto la possibilità che, su istanza dell'aggiudicatario, il giudice autorizzi “il trasferimento dell'immobile mediante atto negoziale” e che ordini, “contestualmente alla trascrizione di quest'ultimo, la cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie ai sensi dell'articolo 586”. In tal caso è onere del notaio stipulante trasmettere copia dell'atto al cancelliere o al professionista delegato, che provvedono al deposito nel fascicolo della procedura.
La liberazione dell’immobile è regolata anche per le ipotesi ora in esame dalla norma generale in materia, vale a dire dall’art. 560 c.p.c. (modificato anch’esso, come si è detto supra).
Si è rilevato come il legislatore del decreto delegato ha cercato di sfruttare il corridoio strettissimo che era lasciato dal legislatore delegante ed in qualche misura c’è stato un allontanamento dalla delega, ma uno degli obiettivi è stato quello di mantenere il ruolo e la funzione centrali dell’udienza ex art. 569 c.p.c.
Si è inoltre evitata la previsione “suicida” della necessaria liberazione dell’immobile da parte del debitore, che rendeva del tutto sconveniente per lo stesso debitore la presentazione dell’offerta di acquisto.
La formulazione finale dell’istituto richiama in qualche modo la vendita competitiva prevista in materia concorsuale ma con notevoli differenze.
Solo tra qualche tempo si potrà valutare se l’immediata aggiudicazione, la sottrazione dell’immobile dal procedimento di vendita, i tempi ristretti di definizione della procedura, la formalizzazione della accettazione dei creditori (che, nella pratica, spesso non sono agevolmente raggiungibili a seguito di cessioni a catena dei crediti) saranno elementi sufficienti a definire un procedimento utilizzato nella pratica.

8. Gli elenchi dei professionisti delegati (art. 179 - ter e 179 - quater disp. att. c.p.c.).
L’art. 179-ter disp. att. c.p.c. ha previsto l’istituzione presso ogni tribunale dell'elenco dei professionisti che provvedono alle operazioni di vendita ai sensi degli articoli 534-bis e 591-bis del codice; l'elenco è tenuto dal presidente del tribunale ed è formato da un comitato presieduto da questi o da un suo delegato e composto da un giudice addetto alle esecuzioni immobiliari e da un professionista iscritto nell'albo professionale, designato dal consiglio dell'ordine, a cui appartiene il richiedente l'iscrizione nell'elenco.
L’art. 179-ter indica i requisiti di iscrizione in sede di prima formazione dell’elenco e poi di “popolamento” successivo.
La previsione è stata accolta con favore in alcuni interventi poiché introduce una selezione dei professionisti che sono ausiliari del giudice, selezione fondata sulle positive esperienze precedenti o su un percorso di formazione che si svolge attraverso corsi organizzati dagli Organismi professionali nazionali o dalle Università, sulla base delle linee guida indicate dalla Scuola della Magistratura.
In questo modo si è superata la fase precedente che non prevedeva alcun criterio selettivo e si è abrogata la precedente formulazione dell’art. 179-ter disp. att. c.p.c. alla quale non si era mai data attuazione.
La necessità della formazione è ancor maggiore nel momento in cui con la riforma si arricchiscono i compiti del professionista delegato, chiamato a svolgere anche funzioni di custode.
Inoltre l’art. 179-ter disp. att. c.p.c. regolamenta i criteri per la revisione dell'elenco al fine di eliminare i professionisti per i quali è venuto meno o non è stato dimostrato uno dei requisiti previsti per il mantenimento dell'iscrizione o è sorto un impedimento a esercitare l'ufficio; prevede quelli per la sospensione e per la cancellazione dall’elenco; stabilisce che nessuno può essere iscritto in più di un elenco e che il giudice dell'esecuzione che conferisce la delega delle operazioni di vendita ad un professionista iscritto nell'elenco di un altro circondario deve indicare analiticamente nel provvedimento i motivi della scelta.
L’art. 179-quater disp. att. c.p.c. prevede un obbligo di vigilanza da parte del presidente del tribunale sulla rotazione “ponderata” degli incarichi “in modo tale che a nessuno dei professionisti iscritti possano essere conferiti incarichi in misura superiore al 10 per cento di quelli affidati dall'ufficio e dal singolo giudice” e un obbligo di assicurare, sempre da parte del presidente del tribunale, l'adeguata trasparenza del conferimento degli incarichi anche a mezzo di strumenti informatici.
Le prime indicazioni degli uffici non sono omogenee.
Si è prospettata l’opportunità di far adottare collegialmente tutte le decisioni in ordine al funzionamento della commissione prevista dall’art. 179-ter c.p.c. e di prevedere o prorogare il termine per le iscrizioni al fine di consentire l’iscrizione anche dei professionisti che acquisiscono il titolo per la iscrizione frequentando i corsi di formazione.
Vi sono poi diversi problemi interpretativi nella individuazione del presupposto del conferimento delle deleghe nell’ultimo quinquennio, poiché si pone il problema se basta il conferimento oppure deve esservi l’espletamento di una attività e di quale attività; se nel quinquennio deve esservi stato il conferimento della delega ovvero il completamento di attività delegate in precedenza; se può tenersi conto di incarichi analoghi, quali quelli di curatore fallimentare o delegato alla vendita in sede fallimentare, negli uffici nei quali si è fatto ricorso a questa figura. Quanto alle revoche si è segnalata l’opportunità di considerare unicamente le revoche disposte a seguito di un corretto procedimento formale. Si è inoltre segnalato che occorre effettuare accertamenti sulla “condotta morale specchiata”.
Su alcuni di questi punti vi è già stata una prima richiesta di modifica della disposizione da parte del Consiglio Nazionale Forense.
Resta controverso il tema della individuazione dell’albo al quale si ci può iscrivere tenendo conto che può esservi una differenza tra la residenza ed il domicilio professionale; la formulazione della norma lascerebbe intendere che il riferimento è all’ambito territoriale dell’albo di iscrizione.
È stato sollevato il tema di eventuali profili di incostituzionalità del comma 11 che ha introdotto tale limitazione territoriale. Inoltre l’iscrizione all’albo di un unico tribunale sarebbe in contrasto con le esigenze di specializzazione evidenziate e di circolazione delle esperienze.
Si è segnalato che, esaminando le linee guida della Scuola della Magistratura, che consente l’espletamento di corsi anche solo di 20 ore, è emersa una oggettiva sperequazione tra i requisiti poiché la frequentazione di tali corsi non può essere messa sullo stesso piano dell’espletamento di dieci incarichi in cinque anni.
È emerso in tutti gli interventi che la nuova figura di professionista delegato è quella di un professionista che svolge funzioni equiparabili a quelle giurisdizionali e deve essere, quindi, un professionista altamente qualificato.

9. La modifica delle norme sulla custodia.
Il legislatore è intervenuto sulla disciplina della custodia anzitutto anticipando il momento della nomina del custode giudiziario al momento della nomina dell’esperto stimatore formalizzando una prassi che era già diffusa da anni in molti tribunali e che era indicata anche nelle “Linee guida del CSM”. La previsione dell’art. 559, comma 2, c.p.c. nella nuova formulazione “normativizza” questa prassi e la rende obbligatoria per tutti gli uffici. Analogamente, al comma 3 dello stesso articolo, viene previsto espressamente che il custode, con l’ausilio dell’esperto stimatore, provveda al controllo sulla completezza del fascicolo dell'esecuzione e della documentazione ex art. 567 c.p.c. e rediga una relazione informativa sulla sussistenza delle condizioni formali per la prosecuzione dell’azione esecutiva. In questo modo viene formalizzato il compito del custode di ausilio del giudice dell’esecuzione nella effettuazione di tali controlli.
Anche per questo motivo si è scelto di prevedere che la funzione di custodia nelle procedure esecutive venga affidata solo all'istituto vendite giudiziarie ovvero a un professionista iscritto nell'elenco di cui all’art. 179- ter c.p.c.
La regola generale è quella della nomina contestuale, ma è fatta salva la possibilità per il giudice di non nominare il custode al momento della nomina dello stimatore quando la nomina del custode non risponda ad alcuna utilità ai fini della conservazione del bene o della vendita. Si dovrebbe trattare, tuttavia, di ipotesi del tutto residuali.
In ogni caso la nomina del custode è indispensabile al momento della emissione dell’ordinanza di vendita poiché le operazioni di vendita richiedono il necessario espletamento di attività connesse alla custodia del bene.

10. L’ordine di liberazione.
La riforma ha operato l’ennesima modifica della disciplina dell’ordine di liberazione con la finalità di perseguire un ragionevole bilanciamento tra gli interessi privatistici che devono essere realizzati attraverso le procedure esecutive immobiliari e la tutela del diritto fondamentale all’abitazione, così come delineato dalla sentenza n. 128/2021 della Corte costituzionale.
Viene confermata la natura della natura giuridica dell’ordine di liberazione come atto autoritativo ed endoesecutivo e se ne evidenzia la differenza e l’autonomia concettuale rispetto al decreto di trasferimento.
È importante aver ribadito che l’attuazione del provvedimento si svolge in “ambiente” esecutivo e non è rimesso all’Ufficiale giudiziario con le forme dell’esecuzione per rilascio.
L’articolo 560 c.p.c. riafferma l’ottica del “doppio binario” confermando lo statuto di protezione del debitore nel caso in cui il bene pignorato sia la casa familiare ed il debitore mantiene un comportamento corretto nel corso della procedura, prevedendo in tal caso che il debitore e i familiari che con lui convivono non perdono il possesso dell'immobile e delle sue pertinenze sino alla pronuncia del decreto di trasferimento (art. 560 comma 2 c.p.c.), ma affermando anche che nell’ipotesi in cui l’immobile non sia abitato dall'esecutato e dal suo nucleo familiare oppure sia occupato da un soggetto privo di titolo opponibile alla procedura il giudice dell'esecuzione, con provvedimento opponibile ai sensi dell'articolo 617 c.p.c., ordina la liberazione dell'immobile non oltre la pronuncia dell'ordinanza con cui è autorizzata la vendita o sono delegate le relative operazioni.
Il giudice dell'esecuzione ordina poi la liberazione “sentite le parti ed il custode”, ordina la liberazione dell'immobile pignorato quando è ostacolato il diritto di visita di potenziali acquirenti o comunque impedito lo svolgimento delle attività degli ausiliari del giudice, quando l'immobile non è adeguatamente tutelato o mantenuto in uno stato di buona conservazione, quando l'esecutato viola gli altri obblighi che la legge pone a suo carico.
Si è rilevato che tra i comportamenti che legittimano l’emissione dell’ordine di liberazione non può ricomprendersi la violazione di obblighi condominiali.
Riguardo alle ipotesi in cui l’immobile è occupato dal debitore si è evidenziato come il legislatore delegato non ha dato rilievo al riferimento alla convivenza contenuto nella legge delega, e ciò è chiaramente indice del riconoscimento non della tutela della famiglia né del debitore come figura portatrice di una situazione di debito, ma della legittima posizione abitativa, del diritto all’abitazione come diritto sociale.
Proprio per questo non rileva la mera residenza anagrafica, ma è necessario verificare da parte degli organi della procedura, l’esistenza già al momento del pignoramento e poi per tutta la procedura esecutiva di una stabile situazione di occupazione ed occorre, quindi, verificare effettivamente attraverso l’accesso del custode se il debitore risiede nell’immobile.
Per quanto riguarda le situazioni in cui immobile non è occupato dal debitore e o dal suo nucleo familiare o nel caso di violazione degli obblighi, si è segnalata l’opportunità di emettere l’ordine di liberazione all’esito del contraddittorio tra gli interessati. Ciò, tuttavia, costituisce una scelta del giudice dell’esecuzione, ma non è prevista espressamente dalla legge come nel caso di liberazione per violazione degli obblighi, prevista dall’art. 560, comma 9 c.p.c.
Si è infine segnalato in vari interventi come si debba, comunque, perseguire sempre l’interesse concreto della procedura che può anche non essere quello della immediata liberazione dell’immobile come nelle ipotesi di occupazione con versamento del canone (ipotesi che può però essere disciplinata con un contratto di locazione temporaneo, previsto dall’art. 560 c.p.c.) o di occupazione di immobili in zona “a rischio” (come nell’ipotesi in cui alla liberazione segua una rioccupazione del bene).
Poiché, comunque, l’articolo 560 c.p.c. non lascia al giudice discrezionalità sul punto si è prospettata l’opportunità in tali casi di emettere l’ordine di liberazione ma differirne l’esecuzione a dopo l’aggiudicazione.

11. La normativa antiriciclaggio.
A seguito della emanazione del decreto legislativo 21 novembre 2007 n. 231 era controversa l’applicabilità della disposizione anche alle vendite forzate.
La criticità della applicazione della normativa “antiriciclaggio” alla materia delle vendite forzate sta nel fatto che né il giudice dell’esecuzione (o il giudice delegato al fallimento) né il professionista delegato (o il curatore) hanno gli strumenti per effettuare il controllo previsto dalla legge.
La giurisprudenza di merito e la dottrina che si erano occupate della questione avevano escluso che gli oneri di adeguata verifica introdotti dalla disciplina antiriciclaggio di cui al d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231 e successive modificazioni si dovessero applicare ai professionisti delegati e, più in generale, agli ausiliari del giudice, non potendo definirsi né clienti né esecutori degli stessi, nel senso indicato dall’art. 1, 2° co., lett. p), d.lgs. 231/2007, né infine effettivi titolari del rapporto bancario acceso quale conto della procedura esecutiva.
Le lettere p) e q) del comma 12 dell’art. 1 l. delega n. 206/2021 hanno invece imposto di “p) prevedere che, nelle operazioni di vendita dei beni immobili compiute nelle procedure esecutive individuali e concorsuali, gli obblighi previsti dal decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, a carico del cliente si applichino anche agli aggiudicatari e che il giudice emetta il decreto di trasferimento soltanto dopo aver verificato l’avvenuto rispetto di tali obblighi; q) istituire presso il Ministero della giustizia la banca dati per le aste giudiziali, contenente i dati identificativi degli offerenti, i dati identificativi del conto bancario o postale utilizzato per versare la cauzione e il prezzo di aggiudicazione, nonché le relazioni di stima. I dati identificativi degli offerenti, del conto e dell’intestatario devono essere messi a disposizione, su richiesta, dell’autorità giudiziaria, civile e penale”
La legge delega prevedeva, quindi, che la normativa antiriciclaggio fosse applicata nei confronti di tutti gli aggiudicatari di beni immobili tanto nella esecuzione individuale quanto in quella collettiva ma poi in sede di esecuzione concorsuale non vi sono state variazioni
all’art. 216 del Codice della crisi, mentre nella esecuzione individuale la normativa è delega è stata attuata con la modifica dell’art. 585, 586 e 591 - bis c.p.c.
L’art. 585 c.p.c. prevede al comma 4 che “nel termine fissato per il versamento del prezzo, l'aggiudicatario, con dichiarazione scritta resa nella consapevolezza della responsabilità civile e penale prevista per le dichiarazioni false o mendaci, fornisce al giudice dell'esecuzione o al professionista delegato le informazioni prescritte dall'articolo 22 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231”.
L’art. 586 c.p.c. prevede che per pronunciare il decreto di trasferimento non solo è necessario il versamento del saldo prezzo, ma è necessario che l’aggiudicatario abbia depositato tale dichiarazione.
Il termine deve essere considerato perentorio, in linea con la sentenza n. 262/2010 delle sezioni unite della Corte di Cassazione che affermava il principio secondo la quale la perentorietà può desumersi dalla funzione assolta dal termine.
Si è creato, tuttavia, un vuoto normativo poiché l’art. 587 c.p.c. prevede che se il prezzo non è depositato nel termine stabilito, il giudice dell'esecuzione con decreto dichiara la decadenza dell'aggiudicatario, pronuncia la perdita della cauzione a titolo di multa e quindi dispone un nuovo incanto mentre nulla prevede nel caso di mancato deposito della dichiarazione antiriciclaggio.
Per consentire la prosecuzione della procedura è stata prospettata l’ipotesi di un ricorso ex art. 591- ter c.p.c. al giudice dell’esecuzione che dovrà revocare l'aggiudicazione con restituzione della cauzione
Una possibile soluzione pratica può essere la previsione, nell’ordinanza di delega, dell’obbligo, a pena di inammissibilità dell’offerta, di tutti gli offerenti di depositare insieme alla cauzione la dichiarazione prevista dall’art. 22 del d. lgs. 21 novembre 2007 n. 231 (il cui contenuto si desume dall’art. 18 della stessa legge).
Sul punto sarebbe, comunque, opportuno un intervento correttivo del legislatore.

12. La fase distributiva.
La fase distributiva è stata modificata dal decreto legislativo n. 149/2022
Prima della riforma era previsto che la fase distributiva potesse essere svolta dal giudice dell’esecuzione o delegata al professionista.
Le delibere sulle prassi adottate dal CSM prevedevano la delega della fase al professionista ma la dichiarazione di esecutività del progetto da parte del giudice dell’esecuzione.
L’art. 596 c.p.c. nella nuova formulazione prevede che il professionista delegato entro trenta giorni dal versamento del prezzo, provvede, secondo le direttive impartite dal giudice dell'esecuzione, alla formazione di un progetto di distribuzione, anche parziale, contenente la graduazione dei creditori che vi partecipano, e alla sua trasmissione al giudice dell'esecuzione. Entro dieci giorni dal deposito del progetto, il giudice dell'esecuzione esamina il progetto di distribuzione e, apportate le eventuali variazioni, lo deposita nel fascicolo della procedura perché possa essere consultato dai creditori e dal debitore e ne dispone la comunicazione al professionista delegato. Il professionista delegato fissa innanzi a sé entro trenta giorni l'audizione delle parti per la discussione sul progetto di distribuzione. Tra la comunicazione dell'invito e la data della comparizione innanzi al delegato debbono intercorrere almeno dieci giorni.
Se il progetto è approvato o si raggiunge l'accordo tra tutte le parti (o in caso di mancata comparizione per il disposto dell’art. 597 c.p.c.), se ne dà atto nel processo verbale e il professionista delegato a norma dell'articolo 591-bis c.p.c. ordina il pagamento agli aventi diritto delle singole quote entro sette giorni.
In caso di contestazioni distributive ex art. 512 c.p.c., il procedimento viene rimesso al g.e. per la decisione.
Il ruolo del giudice dell’esecuzione è quindi modificato poiché il controllo successivo operato nella precedente disciplina è sostituito da un controllo preventivo a seguito del quale le attività ulteriori sono poste in essere direttamente dal professionista delegato senza l’intervento né il controllo del giudice.
Ci si è chiesti se questo procedimento sia obbligatorio o se sia possibile evitare di delegare una parte dello stesso, mediante il meccanismo della delega parziale.
La delega parziale, pacificamente consentita dopo la riforma del 2005-2006, non sarebbe più ammissibile, secondo alcuni interpreti dopo la riforma del 2005 che ha immaginato il professionista delegato come un delegato del giudice dell’esecuzioni per tutte le attività indicate dall’art. 591 - bis c.p.c.
Da parte di altri interpreti si è però affermatala possibilità della delega parziale facendosi rilevare che:
1) nella prassi dei Tribunali la delega parziale si effettua con riferimento alla fissazione del prezzo base d’asta (che l’art 591 bis c.p.c. indica come attività del PD)
2) l’art 591 bis c.p.c. con riferimento alla vendita diretta con accordo dei creditori di cui all’art. 569 – bis, comma 4, normativizza un’ipotesi di delega parziale, in cui al GE spettano le attività fino all’aggiudicazione a al PD quelle successive.
Ritenendo ammissibile una deviazione dal modello tipico di delega totale si sono prospettate due possibili ipotesi:
- la prima prevede deposito del progetto nel fascicolo telematico con l’indicazione di un termine per eventuali contestazioni preventive che sposterebbero la fase dell’approvazione davanti al giudice dell’esecuzione. Già questa ipotesi costruisce quindi il procedimento come una ipotesi di delega parziale che prevede una deviazione dal procedimento delegato nella fase preventiva alla approvazione del progetto consentendo il completamento della delega solo nel caso di mancate contestazioni;
- la seconda permette un controllo a posteriori da parte del Giudice dell’esecuzione sull’andamento dell’udienza di approvazione e, in particolare, sugli accordi modificativi e sulla corretta qualificazione delle deduzioni delle parti come contestazioni ex art. 512 c.p.c.
Si è ritenuto che l’adozione di queste soluzioni consente un controllo più efficace da parte del Giudice dell’esecuzione e facilita i pagamenti da parte degli istituti di credito presso i quali sono depositati i fondi delle procedure che si sentono maggiormente garantiti dal provvedimento finale del giudice.
Si è, infine, affermato che l’espletamento della “udienza” di approvazione del piano di riparto dinanzi al professionista delegato non possa essere svolta, dopo la cessazione della emergenza pandemica, con modalità telematiche non essendo prevista tale modalità dinanzi al professionista delegato. In particolare si è fatto rilevare che:
1) l’art. 127 -ter c.p.c. si riferisce espressamente al giudice, attribuendo allo stesso il potere si sostituire l’udienza con l’assegnazione di termini per note e di poter anche ridurre i termini previsti dalla legge
2) l’art 597 c.p.c., modificato contestualmente all’introduzione dell’art 127 ter c.p.c., parla espressamente di udienza innanzi al PD ma non dà riferimento alla possibilità di sostituzione con note scritte
3) il meccanismo indicato nell’art 597 c.p.c. in forza del quale solo la mancata comparizione all’udienza innanzi al PD determina l’approvazione tacita del progetto, sembra poco compatibile con la trattazione scritta salvo voler applicare la previsione dello stesso art. 127 c.p.c. relativa al mancato deposito delle note scritte.
In ogni caso è possibile proporre contestazioni ex art 512 c.p.c. sia con la comparizione in udienza (ovvero il deposito di note scritte, ove si ritenga compatibile il disposto dell’art. 127
- ter c.p.c. con la comparizione dinanzi al professionista delegato ma con l’invio di PEC al professionista), sia con il deposito di un ricorso nel fascicolo dell’esecuzione.

13. L’art. 591 - ter c.p.c.
La modifica dell’art. 591-ter c.p.c. è una delle disposizioni più significative introdotte dalla riforma. La previsione che i reclami ex art. 591 - ter vengono decisi con un provvedimento impugnabile con opposizione agli atti esecutivi sana un evidente difetto della precedente disciplina che, in conseguenza della natura non definitiva della decisione resa sul ricorso ex art. 591-ter c.p.c. pur reclamata e decisa dal collegio ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c, consentiva di rimettere in discussione l’intero iter della fase della vendita impugnando il decreto di trasferimento con una opposizione agli atti esecutivi.
La nuova formulazione della norma prevede la reclamabilità degli atti del delegato con ricorso al giudice dell’esecuzione nel termine di venti giorni decorrente dall’atto o dalla conoscenza dello stesso da parte dell’interessato, la decisione del giudice con ordinanza e l’impugnazione di tale ordinanza non più con reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. ma con opposizione agli atti esecutivi.
La conseguenza è che le questioni poste con tale reclamo, che introduce un procedimento destinato a definirsi con una sentenza idonea al giudicato, non sono riproponibili con oppos

17/04/2023

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