Primo Seminario
Registrazione e Resoconto primo seminario - La riforma della giustizia civile
“La riforma della giustizia civile”
PRIMO SEMINARIO, 7 marzo 2024 ore 15:30
Il processo di cognizione di primo grado.
Il 7 marzo 2024 ha avuto inizio il secondo ciclo di seminari promosso da Magistratura Democratica con riguardo alla riforma introdotta - in attuazione della legge delega n. 206/2021 - dai dd.lgs. n. 149/2022, n. 151/2022 e succ. mod.[1], peraltro senza che l’opera di pulizia e di coordinamento, da più parti auspicata ed imposta dalla stessa legge delega (con l’obiettivo della semplificazione, speditezza e razionalizzazione della disciplina processuale), sia stata realizzata dal legislatore delegato.
Il nuovo ciclo di incontri mira a verificare gli effetti che la riforma ha avuto sul funzionamento della giustizia civile nel primo anno di applicazione. Nel corso del primo seminario l’attenzione è stata rivolta in particolare a verificare:
a) se negli uffici di primo grado siano stati predisposti protocolli o adottate linee guida con riguardo ad aspetti specifici della riforma;
b) se la nuova disciplina della fase introduttiva abbia o no favorito la riduzione dei tempi del processo;
c) se vi sia stata o no prevalenza nell’adozione del rito semplificato rispetto a quello ordinario e – con riguardo al rito semplificato - quale significato sia stato attribuito alle locuzioni «complessità dell’istruzione probatoria» e «giustificato motivo» di cui al novellato art. 281-duodecies c.p.c.;
d) se allo scopo di salvaguardare i principi di oralità, concentrazione e immediatezza, nel processo ordinario sia stata considerata l’opportunità di fissare un’udienza per interrogare le parti o per altri adempimenti prima dello scambio degli atti ex art. 171 ter c.p.c.;
e) se e quali effetti abbiano avuto con riguardo alla redazione degli atti il novellato art. 46 disp. att. c.p.c. ed il d.m. n. 110/2023.
Nel corso del seminario si è tenuto conto dello «Schema di decreto legislativo concernente disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149», approvato dal Consiglio dei ministri il 15 febbraio 2024 e trasmesso al Parlamento il 6 marzo 2024, affinché esprimano pareri le Commissioni giustizia del Senato e della Camera.
1. Le questioni oggetto di trattazione nel seminario.
A) Le regole del processo costituiscono sempre il frutto dell’interpretazione: altro, infatti, è il testo delle disposizioni, altro sono le norme da applicare nel caso concreto. Di fronte alle regole del processo che, anche dopo la riforma, costituiscono un tessuto composito e complesso, ove convivono disposizioni contraddittorie, risalenti a momenti storici diversi ed ispirate a «rationes» diverse, uno dei compiti più impegnativi dell’interprete consiste nel tentativo di ricomporre l’unitarietà, l’armonia e la completezza del sistema, nella consapevolezza che, mentre sul piano sostanziale sono fisiologici e doverosi l’evoluzione giurisprudenziale e l’adeguamento ai valori sociali ed economici, sul piano processuale i valori prevalenti consistono nella certezza e nella uniformità della interpretazione. Il sistema, per definizione completo unitario ed armonico, non costituisce un dato immanente ma è comunque il frutto di un’opera di classificazione: la completezza, l’unità e l’armonia sono, in ogni caso, frutto di un’attività ordinatoria; è l’interprete, che si sforza di classificare e collocare i fenomeni. La stabilità delle regole del processo soddisfa l’interesse alla predeterminazione dei rischi e dei costi, contribuisce alla deflazione del contenzioso e, soprattutto, interferisce con il principio di uguaglianza.
Il buon andamento del processo e la tutela dei diritti sono certo affidati a norme la cui violazione può determinare la nullità degli atti e della decisione, come pure - nei congrui casi – alla possibilità di controllo dei provvedimenti giudiziari sotto il profilo della motivazione. Ma essi sono in gran parte legati ai poteri discrezionali che l’art. 175 c.p.c. demanda al giudice ai fini del più sollecito e leale svolgimento del procedimento, poteri il cui esercizio è di per sé insuscettibile di sindacato. In considerazione di ciò, le regole processuali non possono prescindere dai profili organizzativi (in particolare da quelli posti a carico dei presidenti di sezione dall’art. 47-quater, comma 1 ord. giud. e dai programmi di gestione che i capi degli uffici sono tenuti a redigere annualmente ai sensi dell’art. 37 d.l. n. 98/ 2011, convertito in l. n.111/2011), né possono prescindere dalle iniziative sviluppatesi ormai da tempo in funzione di una gestione condivisa del servizio giustizia con le esperienze degli Osservatori sulla giustizia civile, la realizzazione dei protocolli d’udienza, l’elaborazione di linee guida, di modelli di atti e di provvedimenti per la gestione dei processi[2].
Di qui l’interesse a conoscere se negli uffici siano stati predisposti protocolli o adottate linee guida con riguardo ad aspetti specifici della riforma, o siano stati invece seguiti percorsi individuali, affidati alle scelte dei singoli magistrati.
B) Ogni processo di cognizione - quale che ne sia la disciplina - si snoda attraverso una serie di passaggi obbligati: il primo consistente in alcune verifiche formali attinenti alla verifica della regolarità del contraddittorio e degli atti introduttivi ed all’adozione dei provvedimenti che si rendano necessari all’esito di tale verifica; il secondo relativo alla definizione del «thema decidendum» in base alla prospettazione dell’attore ed a quelle difensive del convenuto; il terzo concernente la valutazione sul percorso da imprimere al processo, che potrebbe proseguire con l’assunzione dei mezzi probatori ritenuti necessari o invece essere definito, anche già nella prima udienza, quando l’attività istruttoria non si renda necessaria, o perché non richiesta, o perché ritenuta inammissibile o irrilevante. In alcuni casi è imposta la completezza degli atti introduttivi, con possibilità di integrazione quando ricorrano «giusti motivi»; in altri la definizione del «thema decidendum» e del «thema probandum» può essere affidata a memorie integrative; in altri ancora, in considerazione della natura degli interessi in gioco, il «thema decidendum» ed il «thema probandum» possono essere integrati e modificati nel corso del procedimento.
Non è difficile dunque immaginare un unico modello processuale, suscettibile di svilupparsi secondo le varianti indicate, in base a criteri di flessibilità idonei a sottrarre gli interpreti e gli operatori alle questioni di coordinamento tra diversi modelli processuali, la coesistenza dei quali appare priva di oggettiva giustificazione.
La disciplina positiva, tuttavia, non va in questa direzione. Anche all’esito della riforma convive, infatti, una pluralità di modelli processuali: il processo ordinario; quello c.d. «del lavoro», che si applica in realtà non soltanto alle controversie di lavoro ed a quelle previdenziali, ma anche alle controversie locatizie, a quelle agrarie, alle opposizioni alle sanzioni amministrative e agli altri casi elencati nel capo II del d.lgs. n. 150/2011; il processo «semplificato», con le varianti previste innanzi al giudice di pace e nei casi previsti dal capo III dello stesso d.lgs. n. 150/2011; il processo «unificato» in materia di persone, minori e famiglie; quello in camera di consiglio nelle materie contenziose; il processo «unitario» per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e per l’apertura della liquidazione giudiziale; il processo per l’accertamento del passivo nelle procedure concorsuali.
Nel processo ordinario, la riforma ha anticipato lo scambio delle memorie previsto dall’art. 183, comma 6, c.p.c. ad una fase anteriore alla prima udienza.
La nuova disciplina ha suscitato un intenso dibattito circa la compatibilità dell’esercizio dei poteri ufficiosi del giudice ex art. 171-bis c.p.c. con le dimensioni del ruolo di ciascun magistrato, particolarmente elevato in alcuni uffici giudiziari, e sulla circostanza che la norma non interrompe il «ping - pong» delle memorie, cosicché è apparso possibile che, alla prima udienza, ne sia disposto uno scambio ulteriore. Il giudice effettua le verifiche preliminari, adotta i provvedimenti consequenziali ed indica le questioni rilevabili d’ufficio di cui ritenga opportuna la trattazione, senza, tuttavia, contraddittorio tra e con le parti. Nessuna indicazione è contenuta quanto al provvedimento eventuale di mutamento del rito, e mancano esplicite previsioni di coordinamento del rito ordinario con l’opposizione a decreto ingiuntivo.
Da quest’insieme di questioni l’interesse a conoscere se la nuova disciplina della fase introduttiva abbia o no favorito la riduzione dei tempi del processo, e se negli uffici vi sia stata o no prevalenza nell’adozione del rito semplificato rispetto a quello ordinario nonché - con riguardo al rito semplificato - quale significato sia stato attribuito alle locuzioni «complessità dell’istruzione probatoria» e «giustificato motivo» di cui al novellato art. 281-duodecies c.p.c.
Ai problemi (o almeno ai principali problemi) applicativi posti dalla riforma tende adesso a dare una risposta, come si dirà, il richiamato «Schema di decreto legislativo concernente disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149» (infra, par. 3).
Per la verità, alcuni di tali problemi sono fin da ora superabili in via interpretativa. In particolare, grazie a quanto previsto, in generale, dagli artt. 175 e 117 c.p.c., nonché dall’art. 183-bis c.p.c., è stata prospettata la possibilità dell’anticipata fissazione di un’udienza e, in quell’occasione, della eventuale trasformazione del rito da ordinario a semplificato. L’adozione del processo semplificato consentirebbe peraltro di superarne altri, pur essendo stati manifestati timori circa l’interpretazione della espressione «giustificato motivo» di cui all’art. 281-duodecies, comma 4, c.p.c. e sul rischio che, con il mutamento di rito, possa restare compressa l’attività di integrazione degli atti introduttivi.
C) In base agli artt. 127, 127-bis e 127-ter c.p.c., in vigore dal 1° gennaio 2023, le udienze nelle quali non sia prevista la presenza di soggetti diversi dalle parti, dai difensori e dagli ausiliari del giudice, oltre che in presenza, possono svolgersi mediante collegamento audiovisivo e possono essere sostituite dal deposito di note scritte. Sull’ampia formula legislativa, si è sviluppato un vivace dibattito e sono state prospettate diverse interpretazioni soprattutto in relazione alla prima udienza dei processi introdotti con ricorso da depositare.
Questo primo seminario offre l’occasione per verificare se la gestione delle udienze sia stata affidata all’esercizio dei poteri ufficiosi del singolo giudice oppure se siano state adottate soluzioni uniformi nell’intero ufficio giudiziario o, almeno, in ciascuna sezione, nonché per verificare la tipologia delle udienze che si è ritenuto necessario svolgere con l’una o l’altra modalità.
La questione di fondo resta quella indicata un anno addietro: quali udienze debbano necessariamente svolgersi in presenza, quali possano svolgersi mediante collegamento audiovisivo e quali possano essere sostituite dal deposito di note scritte; ovvero quali siano i rapporti tra il principio di oralità, concentrazione ed immediatezza e i poteri del giudice diretti al più sollecito e leale svolgimento del processo. Si ritiene comunque coerente con il sistema volto a favorire il dialogo processuale tra il giudice e le parti che la prima udienza sia tenuta sempre dal giudice incaricato.
Il seminario è stato rivolto a trovare una risposta anche a questi quesiti e, in particolare, a verificare se, allo scopo di salvaguardare i principi di oralità, concentrazione e immediatezza, nel processo ordinario sia stata considerata l’opportunità di fissare un’udienza per interrogare le parti o per altri adempimenti prima dello scambio degli atti ex art. 171 ter c.p.c.
D) La disciplina sulla redazione degli atti e sui requisiti di ammissibilità delle impugnazioni ha suscitato timori e preoccupazioni. Si è temuto che qualcuno potesse farne un uso improprio. Sennonché l’art. 5 d.m. 7 agosto 2023, n. 110, sulla dimensione degli atti ai sensi dell’art. 46 disp. att. c.p.c., prevede una deroga ogni qual volta la controversia presenti «questioni di particolare complessità, anche in ragione della tipologia, del valore, del numero delle parti o della natura degli interessi coinvolti». Lo stesso art. 46 disp. att. c.p.c. dispone che «il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione dell’atto non comporta invalidità, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo». Per sottrarsi a conseguenze sulle spese giudiziali, basta invocare la particolare complessità della controversia, la tipologia, il valore, il numero delle parti o la natura degli interessi coinvolti. Inoltre, il potere del giudice di applicare la sanzione economica è discrezionale, impone una specifica motivazione e, quindi, un impegno maggiore. Sotto altro profilo, si è temuto che la sanzione di inammissibilità delle impugnazioni per mancanza di chiarezza, specificità e sinteticità, deducibili dagli artt. 342, comma 2, 434 e 366 c.p.c. avrebbe potuto stimolare le Sezioni Unite a nuovi esercizi di nomofilachia ed aprire nuove occasioni di confronto tra le istituzioni giurisdizionali e forensi, e che avrebbe potuto far dimenticare che il più autorevole collegio della Corte (Cass. civ., sez. un., 30 novembre 2021, n. 37552), già prima della riforma, aveva chiarito che «l’eccessiva lunghezza e una certa farraginosità – dell’atto di impugnazione - non ne comportano l’inammissibilità tutte le volte che l’interpretazione complessiva dell’atto consenta, comunque, di comprendere agevolmente lo svolgimento della vicenda processuale e di individuare con chiarezza la portata delle censure rivolte alla sentenza impugnata».
In ogni caso, si è ritenuto utile porre l’interrogativo circa il se e quali effetti abbiano avuto con riguardo alla redazione degli atti il novellato art. 46 disp. att. c.p.c. ed il d.m. n. 110/2023.
2. Le prassi applicative emerse nel seminario.
2.1. Gli effetti della riforma della giustizia civile introdotta dai dd. lgs. n. 149/2022, n. 151/2022 e succ. mod., in attuazione della legge delega n. 206/2021, non sono stati uniformi e hanno risentito, ovviamente, della realtà dei singoli uffici riproponendo tra l’altro, ancora una volta, l’esigenza di rimettere mano a un’opera di seria e razionale revisione della geografia giudiziaria, dopo il timido percorso avviato alcuni anni addietro. Negli uffici caratterizzati da più gravi arretrati - con giudici oberati da ruoli pesanti e spesso assai risalenti nel tempo; la molteplicità di provvedimenti che essi sono chiamati ad adottare anche nell’ambito di procedimenti cautelari o per far fronte a richieste di ordinanze in corso di causa; la mancanza di sezioni specializzate; risorse organizzative insufficienti anche per quanto attiene all’ufficio del processo, e altro ancora - si è resa più aleatoria l’applicazione del modello processuale, prefigurato nella riforma, di un giudice che alla prima udienza arriva preparato su tutto, conosce alla perfezione le difese che nel frattempo le parti, in base a quel modello, hanno dovuto esplicitare, è in grado di esperire il tentativo di conciliazione e, se del caso, già inviare la causa in decisione. In altri uffici invece – come è stato riferito nel corso del seminario - l’estrema agilità del ruolo e le favorevoli condizioni organizzative hanno finito per rendere equivalenti i riti applicabili, cancellando in pratica sotto il profilo dei tempi processuali le differenze esistenti tra il rito «ordinario» ed il rito «semplificato». Da più parti, nel convegno, è stato dunque ricordato ancora una volta che per migliorare l’efficienza della giustizia non servono soltanto buone leggi, non basta restringere i termini per il compimento delle attività processuali, configurarne in rigidi schemi la scansione o costellare il processo di una proluvie di memorie scritte, ma occorre un contesto organizzativo idoneo a far sì che le aspettative e le finalità perseguite con gli interventi normativi riescano poi a tradursi concretamente nei fatti.
Ciò posto, con riguardo alla scelta di rito si è riscontrato che negli uffici di più grandi dimensioni ai quali hanno fatto riferimento i partecipanti al seminario, o con riguardo alle cause di maggiore complessità (come, ad esempio, quelle relative alla materia successoria, alle cause in tema di appalto o di responsabilità extracontrattuale, alle cause trattate nelle sezioni specializzate in materia d’impresa ecc.) o per le quali si prospettano sin dall’inizio esigenze istruttorie complesse, il rito ordinario costituisce l’opzione normale. Nelle udienze di rito ordinario la comparizione personale delle parti, generalmente effettuata in presenza, salvo la possibilità di tenerle da remoto in situazioni particolari (come ad esempio nel caso di parti distanti dal loro avvocato o dal luogo d’udienza), si è dimostrata molto utile ai fini della conciliazione giudiziale, giacché essendo ormai cristallizzati il «thema decidendum» ed il «thema probandum», e a preclusioni ormai maturate, un interrogatorio libero pazientemente condotto ha contribuito ad individuare l’interesse sostanziale sottostante alle posizioni delle parti e ad agevolare l’esito conciliativo della lite[3].
Tenuto conto di ciò, è stato auspicato che gli avvocati si adoperino per incentivare la partecipazione personale delle parti alla prima udienza ciò che, oltre a favorire la deflazione del contenzioso, gioverebbe a rendere più consapevoli i cittadini dei compiti svolti dai giudici e dagli avvocati, dei problemi connessi all’amministrazione della giustizia e dell’alea relativa agli esiti del processo.
È stato inoltre riferito che specie nelle cause caratterizzate da minore complessità e rientranti nella competenza del tribunale in composizione monocratica, l’evidenziazione alle parti nel decreto ex art. 171-bis c.p.c. delle questioni rilevabili d’ufficio e l’invito a dedurre al riguardo può favorire la definizione del processo in prima udienza e comunque il suo più sollecito svolgimento.
La possibilità di concentrare in una sola udienza anche la discussione relativa ai mezzi di prova ha indotto tendenzialmente a limitare la trattazione con modalità «in presenza» solo alle prime udienze, ove svolgere l’interrogatorio libero e il tentativo di conciliazione (nel rito ordinario sempre, in quello semplificato quando compaiono le parti), e ad adottare la trattazione scritta per le altre, salvo quelle relative all’assunzione di testi. Si è cercato in tal modo di attuare la finalità, sottesa alla riforma, di concentrare quanto più possibile l’attività processuale in una sola ed esaustiva udienza davanti al giudice.
Nella esperienza applicativa è stata ritenuta valida l’opposizione a decreto ingiuntivo fatta con ricorso, soluzione adesso esplicitata nello schema di d.lgs. correttivo (infra, par. 3); è stata accolta un’interpretazione lata del «giustificato motivo» ex art. 281-duodecies c.p.c. e si è ritenuto - ma non esistono al riguardo posizioni uniformi – che, in assenza del decreto di verifica preliminare tempestivo, il termine per memorie a ritroso non decorra.
Una questione particolarmente dibattuta attiene al caso in cui, essendo il convenuto rimasto contumace, in sede di verifica ex art. 171-bis c.p.c. manchi la prova che la notifica sia andata a buon fine. È stata prospettata l’interpretazione (seguita in alcuni uffici) secondo cui, in tal caso, il giudice non dichiara la contumacia, ma, con un provvedimento interlocutorio anteriore all’udienza di prima comparizione, invita l’attore a integrare la prova dell’avvenuta notificazione, ovvero, a seconda dei casi, a rinnovare quest’ultima, riservandosi poi di dichiarare all’udienza l’eventuale contumacia del convenuto.
Altra questione riguarda i casi nei quali, all’esito delle verifiche preliminari, siano stati adottati provvedimenti (come ad es. quello relativo alla concessione del termine per rinnovare la notifica della citazione, o il provvedimento che autorizza la chiamata in causa di un terzo) da cui conseguirebbe l’esigenza di un secondo decreto di verifica preliminare sulla costituzione del terzo. Ma la «consolle» del magistrato non porta ad evidenza del giudice questa ulteriore attività, per cui si è ritenuto, in alcune prassi applicative, che le verifiche ulteriori debbano essere fatte alla prima udienza.
2.2. Una delle maggiori criticità emerse nell’applicazione delle norme introdotte dalla riforma riguarda la scansione delle attività prescritte, con riguardo al rito ordinario, dall’art. 171-bis c.p.c., una scansione che (peraltro discostandosi da entrambe le opzioni alternative formulate dalla commissione ministeriale presieduta dal prof. Luiso nei lavori preparatori della riforma) finisce per contraddire l’obiettivo, che il legislatore si prefiggeva, di una riscrittura della fase preparatoria idonea a favorire l’individuazione anticipata del «thema decidendum» e del «thema probandum».
La mancanza di contraddittorio nella fase delle verifiche preliminari potrebbe non giovare all’individuazione di vizi processuali o di un eventuale difetto di giurisdizione o di competenza, che verrebbero poi rilevati all’udienza ex art. 183 c.p.c. con conseguente regressione e/o allungamento dei tempi) del processo. Sempre il compimento «in solitario» da parte del giudice delle verifiche preliminari potrebbe indurre, all’opposto, a ritenere sussistenti vizi processuali o situazioni impeditive della prosecuzione del processo, che, magari, il contraddittorio avrebbe consentito di valutare come insussistenti. Possono inoltre verificarsi (magari a causa di un ruolo particolarmente gravoso del giudice o per l’impossibilità di un affiancamento adeguato degli addetti all’ufficio per il processo) ritardi nell’emissione del decreto ex articolo 171–bis c.p.c. Ciò non impedirà il decorso dei termini per il deposito delle memorie ex art. 171-ter c.p.c., né lo svolgimento dell’udienza ex art. 183 c.p.c. alla data indicata nell’atto di citazione, dove verranno effettuati i controlli preliminari che prima non sono stati compiuti, con il rischio ancora una volta di regressione del processo. Ed in tale contesto, vi è anche il rischio che il giudice possa essere indotto a valutare come opzionali le verifiche preliminari secondo la scansione delineata dall’art. 171–bis c.p.c., nella certezza che gli stessi controlli potranno essere comunque effettuati nella prima udienza di trattazione, e per di più con la garanzia del contraddittorio delle parti.
Nella ricerca di una ragionevole applicazione della normativa processuale, si è ritenuto, dunque, di poter trovare una soluzione a questi problemi con l’individuazione di un’udienza intermedia (udienza «anticipata» o udienza «filtro», come viene definita) idonea ad anticipare il contraddittorio ed a far sì che il processo possa pervenire all’udienza ex art. 183 c.p.c. senza che vi siano più questioni preliminari o pregiudiziali da affrontare, senza vizi processuali da sanare, con la possibilità di uno svolgimento più proficuo del tentativo di conciliazione, l’individuazione chiara e definita degli eventuali adempimenti istruttori da compiere e, se del caso, con un processo già maturo per la decisione.
A quest’opera, come ad altri aspetti della riforma, si stanno dedicando con il consueto e prezioso impegno gli Osservatori sulla giustizia civile.
Nel corso del seminario, è stata riferita l’esperienza dei gruppi di lavoro interni all’Osservatorio di Firenze che, durante il primo anno di applicazione della riforma, hanno elaborato alcune proposte di possibili «linee guida» o «regole protocollari», ora in attesa di approvazione da parte dell’assemblea generale dell’Osservatorio, e con una sospensione dovuta all’annuncio del menzionato schema del d.lgs. correttivo. Tali proposte hanno tenuto conto anche dell’orientamento espresso in alcuni provvedimenti emessi dal tribunale di Firenze nelle prime applicazioni della riforma.
Per quanto riguarda il rito ordinario, particolare attenzione è stata dedicata appunto alla possibilità di fissare un’udienza intermedia prima di quella (indicata nell’atto di citazione o differita ai sensi dell’ art. 171-bis c.p.c.), ribadendosi nel contempo l’opportunità che anche l’udienza «filtro», ove ritenuta possibile, si svolga in presenza o da remoto piuttosto che con note di trattazione scritta, e ciò in linea con la preferenza assoluta manifestata anche dall’Osservatorio nazionale per l’udienza in presenza.
La soluzione positiva è stata ancorata al generale potere di direzione del processo demandato al giudice ai sensi dell’articolo 175 c.p.c. e alle esigenze di economia processuale e di accelerazione della tutela dei diritti sottese alla riforma; ed è stata evidenziata la necessità che il provvedimento relativo alla fissazione dell’udienza intermedia preveda anche il differimento della prima udienza ex articolo 183 c.p.c. al precipuo scopo di evitare la decorrenza dei termini per il deposito delle memorie ai sensi dell’ articolo 171-ter c.p.c.
Sono stati individuati anche alcuni casi in cui l’udienza intermedia potrebbe dimostrarsi particolarmente utile. Innanzi tutto, ai fini della discussione e pronuncia sull’istanza di sospensione ex articolo 649 c.p.c. in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, istanza che l’opponente avrebbe l’onere di proporre nell’atto introduttivo. Il carattere «lato sensu» cautelare del provvedimento ex articolo 649 c.p.c. e la prassi giurisprudenziale che, anche prima della riforma «Cartabia», prevedeva l’anticipazione della discussione e la pronuncia sull’istanza di sospensione della provvisorio esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, suffragano tale applicazione, cui è connessa per la parte opposta - all’atto della costituzione in giudizio - la possibilità di prendere posizione sulla richiesta di sospensione, realizzandosi per questa via un contraddittorio pieno in ordine alla presenza o no dei presupposti per l’ accoglimento dell’istanza. Si è ritenuto di poter pervenire al medesimo risultato anche con riguardo all’istanza di concessione della provvisoria esecuzione. A tal fine la comparsa di costituzione dell’opposto dovrebbe contenere un’apposita istanza motivata di trattazione anticipata e, per garantire il pieno contraddittorio in ordine alla discussione sulla sussistenza o meno dei presupposti per la concessione del provvedimento, il giudice dovrebbe assegnare alla parte opponente termini per note difensive e per eventuali integrazioni documentali.
L’udienza intermedia, prima che intervengano le memorie integrative ex art. 171-ter c.p.c., viene ritenuta possibile e utile anche per la discussione su questioni idonee a definire il giudizio, come nel caso – verificatosi in concreto - di rilievo ufficioso da parte del giudice, in sede di verifiche preliminari, di una situazione di incompetenza. Ancora, la praticabilità di un’udienza intermedia (evitando tra l’altro l’incremento delle spese legali connesso allo scambio di memorie ex art. 171–ter c.p.c., con l’effetto altresì di ostacolare potenzialmente la conciliazione e di determinare un irrigidimento delle posizioni non utile all’esito positivo del procedimento di mediazione disposto dal giudice ai sensi del d.lgs. n. 28/2010 e succ. mod.) è ritenuta possibile nel caso di rilevata assenza di una condizione di procedibilità della domanda, ovvero quando il giudice, letti gli atti di causa, intenda effettuare una proposta di conciliazione ex articolo 185-bis c.p.c. o tentare lui stesso la conciliazione. Altre ipotesi cui si è fatto accenno nel seminario attengono alla possibilità che il giudice ritenga, sulla base dei soli atti introduttivi, che la causa non richiede ulteriori attività e approfondimenti, o ancora a quella di risolvere anticipatamente questioni di connessione con altri giudizi che il convenuto potrebbe evidenziare al momento della costituzione o altrimenti all’udienza ex art. 183 c.p.c.
Il ricorso all’udienza intermedia appare più difficilmente praticabile in caso di contumacia del convenuto, ragion per cui nell’ambito delle menzionate proposte di protocollo fiorentino si reputa che la fissazione di udienze intermedie in ipotesi di convenuto contumace debba essere limitata a situazioni del tutto eccezionali.
Uno dei casi in cui l’udienza anticipata si dimostrerebbe particolarmente utile, attiene alla possibilità di conversione del rito ordinario in quello semplificato.
Nel seminario è stata riferita l’esperienza del tribunale di Rovigo in cui, al fine di evitare che la scansione delle attività processuali delineate nell’art. 171-bis c.p.c. potesse ostacolare il lavoro di abbattimento dell’arretrato, iniziato già prima che ciò fosse imposto dal PNNR, si è tenuta nel gennaio del 2023 una riunione ai sensi dell’art. 47-quater ord. giud. coinvolgendo anche i giudici onorari ed i funzionari dell’ufficio del processo. In tale riunione, prendendo spunto dall’articolo 117 c.p.c., si è deciso di dar corso ad un’anticipata conversione del rito da attuare in una fase precedente al deposito delle memorie ex art. 171-ter c.p.c. In base a tale scelta interpretativa il giudice, una volta effettuate le verifiche preliminari previste dall’art. 171-bis c.p.c., fissa con decreto un’udienza ai sensi dell’articolo 117 c.p.c., disponendo la comparizione personale delle parti, sospendendo i termini per il deposito delle memorie integrative ed evidenziando nel provvedimento che all’udienza così fissata si discuterà della conversione del rito. Una volta avvenuta la conversione (sempre che ricorrano i presupposti del rito semplificato), alcuni giudici fissano un’altra udienza per una ritenuta maggiore garanzia del contraddittorio, mentre altri (la maggioranza), dopo l’immancabile richiesta che ne viene fatta, assegnano i termini di cui all’articolo 281-duodecies, terzo comma c.p.c.
Questa linea interpretativa è stata riassunta in una nota congiunta che il Consiglio dell’Ordine degli avvocati il 7 marzo del 2023 ha inviato a tutti gli iscritti, nota contenente anche l’invito a proporre l’opposizione a decreto ingiuntivo nella forma del rito semplificato ma che, per questa parte, non ha trovato l’adesione del Foro, per il timore che la proposizione in tale forma anziché con atto di citazione, così come previsto nella norma vigente, potesse comportare conseguenze negative sul piano processuale. Per fugare poi il timore che la conversione anticipata del rito potesse determinare conseguenze limitative in ordine all’interpretazione del «giustificato motivo» di cui all’art. 281-duodecies c.p.c. (locuzione riguardo alla quale, peraltro, sembra prevalere negli uffici giudiziari un’interpretazione non restrittiva), nel corso di una riunione dei giudici della sezione civile con i componenti del Consiglio dell’Ordine degli avvocati, sono state date assicurazioni circa il fatto che anche solo per esigenze di replica questo termine sarebbe stato assegnato.
L’adozione di questa linea interpretativa ha portato a stimare (anche se il registro SICID, per quanto riferito, non evidenzia l’evento «conversione del rito») che al Tribunale di Rovigo circa il 90% dei procedimenti iniziati con rito ordinario sono stati convertiti nel rito semplificato.
La ricerca di un’udienza intermedia che valga ad accelerare il contatto del giudice e delle parti costituisce non un modo per sterilizzare la riforma, ma una ragionevole interpretazione per rendere effettivi i principi di concentrazione, speditezza e semplificazione che la riforma ha inteso valorizzare, Debbono essere dunque salutate con favore le modifiche preannunciate al riguardo nello schema del d.lgs. correttivo (infra, par. 3).
2.3. Nel corso del seminario è stata richiamata più di una volta l’esigenza di un forte recupero dell’oralità e quella di favorire quanto più possibile metodi processuali fondati sul contatto tra giudice e parti. È stata sottolineata in particolare la tendenza a trasformare modalità di trattazione del processo necessitate e pienamente giustificate nella fase dell’emergenza sanitaria, in prassi che hanno finito per prendere il sopravvento anche in periodi di recuperata normalità, cosicché la trattazione scritta (con tra l’altro un uso eccessivo delle memorie ex art. 171-ter c.p.c.), è diventato il metodo abituale delle attività processuali, erodendo sempre più la grande utilità che al lineare e sollecito svolgimento del processo può derivare dal contatto diretto del giudice e delle parti. In alcuni uffici vi sono magistrati che concentrano le cause in presenza in una giornata e quelle a trattazione scritta in un’altra giornata, con la conseguenza che i tribunali si stanno svuotando e si va perdendo il senso stesso della funzione dell’udienza e della presenza del giudice in ufficio. In realtà – com’è stato osservato - la presenza del giudice in ufficio non è finalizzata soltanto alla celebrazione dell’udienza: il giudice che è nel suo ufficio è quello anche con cui si può parlare e al quale si può chiedere un chiarimento, che può incontrare un consulente, un delegato, un avvocato che gli chiede chiarimenti su un provvedimento. Peraltro, nelle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari debbono essere indicati i giorni di udienza di ciascun magistrato. L’udienza, intesa come singolo passaggio procedurale (udienza di prima comparizione, udienza di trattazione, di precisazione delle conclusioni) può anche essere sostituita con le modalità previste dall’art. 127-ter c.p.c., ma la norma non consente di sostituire l’udienza intesa come giorno e luogo fisico in cui il giudice è in tribunale. E non è da escludere che la diffusione e forse anche l’abuso della trattazione scritta possano produrre problemi peggiori dei mali che si volevano risolvere.
2.4. Con riguardo al quesito circa il se e quali effetti abbiano avuto con riguardo alla redazione degli atti il novellato art. 46 disp. att. c.p.c. ed il d.m. n. 110/2023. nel seminario è emersa, com’era prevedibile, una risposta negativa. La modifica dell’articolo 46 disp. att. c.p.c. ha prodotto effetti scarsamente apprezzabili. Nella generalità dei casi gli atti difensori contengono tutt’al più un sommario delle questioni che vengono trattate, ma non si riscontra un reale sforzo di sintesi, né risulta che i giudici, nel regolamento delle spese di giudizio, abbiano sanzionato l’eventuale prolissità degli atti, pur essendo innegabile - a fronte di difese realmente ridondanti, inutili e, soprattutto, prive di specificità, come spesso accade ad es. nella materia di famiglia - l’esigenza di insistere nella formazione di un atteggiamento culturale che consideri la chiarezza e sinteticità degli atti quale elemento costitutivo di un dialogo processuale idoneo a consentire al giudice di individuare con immediatezza e precisione le questioni di cui si controverte e i beni che si intende tutelare.
3. Lo schema del d.lgs. “correttivo”.
Come anticipato, nel corso del seminario è stato fatto più volte riferimento allo Schema di decreto correttivo approvato dal Consiglio dei ministri il 15 febbraio 2024, contenente disposizioni che dovrebbero risolvere la gran parte dei problemi interpretativi riscontrati nella pratica applicazione della riforma.
a) A parte le norme «tecniche» di mero adeguamento al processo civile telematico ed agli strumenti informatici, con l’eliminazione di una serie di disposizioni ormai obsolete (come quelle relative ai depositi in cancelleria, all’espunzione dall’articolo 125 c.p.c. dell’indirizzo fax che nessuno usa più e alla previsione di inserimento nella citazione dell’indirizzo PEC delle parti), o a modifiche correlate ad esigenze di carattere sistematico (con conseguente anticipazione al decreto ex art. 171-bis c.p.c. del termine per il rilievo d’ufficio dell’incompetenza, che nell’attuale formulazione dell’art. 38 c.p.c. coincide invece con la prima udienza), le altre più significative modifiche relative al primo libro del c.p.c. riguardano l’art. 127-ter c.p.c. quanto all’inserimento della previsione secondo cui l’udienza non può essere sostituita con quella cartolare allorché la presenza personale delle parti sia prescritta dalla legge o disposta dal giudice, e l’art. 128 c.p.c. relativamente alla specificazione che il giudice, salvo che una delle parti si opponga, può disporre la sostituzione dell’udienza ai sensi dell’articolo 127-ter c.p.c. anche per le udienze pubbliche (nella sostanza quelle ex art. 281-sexies c.p.c., l’udienza di rito del lavoro, che peraltro sembrano mal prestarsi ad essere sostituite dal deposito di note scritte).
Non è stata invece considerata l’esigenza di adeguare gli artt. 122 e 123 c.p.c. (in base ai quali l’interprete ed il traduttore giurano «davanti al giudice») con quanto previsto dall’art. 193, comma 2, c.p.c., per il quale il giudice «può assegnare un termine per il deposito di una dichiarazione sottoscritta dal consulente con firma digitale»; ma appare ragionevole ritenere che all’applicazione generale della seconda disposizione si possa pervenire in via interpretativa.
b) Con riferimento al secondo libro, recependo suggerimenti e anticipazioni già attuate nell’esperienza applicativa, si propone di riformulare l’art. 171-bis c.p.c., allo scopo soprattutto di evitare il giro di memorie a vuoto che può determinarsi per effetto della formulazione attuale della norma, di anticipare la possibilità di trasformazione del rito e di chiarire da quando decorrono i termini per il deposito delle memorie ex art. 171-ter c.p.c.
A tal fine, mentre il primo comma resta immutato quanto alla previsione che, scaduto il termine di cui all’articolo 166 c.p.c., entro i successivi 15 giorni il giudice istruttore verifica d’ufficio la regolarità dei contraddittorio, viene spostata a un secondo comma la previsione relativa alla pronuncia dei provvedimenti previsti dagli articoli 102, secondo comma, 107, 164, secondo, terzo, quinto e sesto comma, 167, secondo comma, 182, 269, secondo comma, 271, 291, primo comma, e 292, primo comma c.p.c. con l’aggiunta che in tali casi il giudice deve fissare una nuova udienza per la comparizione delle parti e che, almeno cinquantacinque giorni prima di tale nuova udienza, deve procedere nuovamente alle verifiche preliminari. Nella relazione viene sottolineato che con la nuova formulazione si è voluto rendere doveroso il provvedimento del giudice, trascurando tuttavia di considerare che - come osservato - sono le concrete condizioni organizzative dei singoli uffici più che il minore o maggiore impegno dei giudici ad influire sul puntuale e tempestivo adempimento di quanto prescritto dalla legge.
Nella norma che si propone di introdurre con riguardo alla pronuncia dei provvedimenti conseguenti alle verifiche preliminari è stato espunto il riferimento all’articolo 171, terzo comma c.p.c. (dal momento che tale articolo verrebbe a sua volta modificato con la previsione che il giudice dichiara la contumacia nel decreto di cui al novellando art. 171-bis c.p.c.); è stato inserito il riferimento all’art. 271 c.p.c. e ciò - come si legge nella relazione - per far sì che, quando il terzo intende chiamare in giudizio un altro terzo, deve farlo chiedendo un ulteriore spostamento della prima udienza; e si prevede (terzo comma del novellando art. 171-bis c.p.c.) che il giudice, ricorrendone i presupposti, possa disporre il passaggio al rito semplificato[4], con correlativa abrogazione dell’art. 183-bis c.p.c., che riserva alla prima udienza il mutamento di rito. Nel correttivo verrebbe dunque accolto quanto già anticipato nella prassi applicativa di alcuni uffici (come ad es. nel caso già ricordato del tribunale di Rovigo), con una disposizione quanto mai opportuna, giacché – come è stato osservato nel corso del seminario – il differimento della possibilità di conversione alla prima udienza, quando già le parti si sono dette tutto e si sono scambiate le memorie integrative, e quando l’unica cosa che manca è eventualmente la fase istruttoria ove necessaria (ma la fase istruttoria nel rito ordinario e in quello semplificato sono la stessa cosa, non c’è più un’istruzione semplificata come nel rito sommario), si dimostrerebbe ormai privo di utilità pratica. Sebbene inutile in considerazione della identità della fase istruttoria, la conversione del rito ordinario in rito semplificato non preclude di per sé il passaggio inverso ed il ritorno al rito ordinario, quando il giudice lo ritenga necessario alla luce delle memorie e delle integrazioni delle parti ex articolo 281-duodecies c.p.c. in funzione della fase decisoria, che resta diversa nell’uno e nell’altro modello processuale.
Una delle novità più significative dello schema correttivo attiene alle seconde verifiche preliminari che il giudice, ai sensi dell’ultima parte del novellando art. 171-bis c.p.c., è tenuto ad effettuare almeno cinquantacinque giorni prima della nuova udienza; ed è da ritenere che con il secondo decreto ex art. 171-bis c.p.c., il giudice possa adottare i provvedimenti conseguenti alle attività eventualmente non espletate, ad esempio dichiarando l’estinzione del giudizio ove non sia avvenuta l’integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c.
Tra il primo ed il secondo decreto, le parti avrebbero la facoltà di replicare alla solitaria pronuncia dei «provvedimenti previsti dagli articoli 102, secondo comma, 107, 164, secondo, terzo, quinto e sesto comma, 167, secondo comma, 182, 269, secondo comma, 271, 291, primo comma, e 292, primo comma», nonché al rilievo dell’incompetenza ai sensi dell’art. 38 c.p.c.
La scansione in due commi diversi (secondo e terzo) delle verifiche preliminari è funzionale a far sì che (i termini per il deposito del-) le memorie integrative di cui all’art. 171–ter c.p.c. scattino solo quando la regolarità del contraddittorio è stata assicurata; ma, se non si inserisce la previsione di un’udienza intermedia in cui le parti abbiano la possibilità di interloquire al riguardo (e non sempre, del resto, la gravosità dei ruoli o le concrete condizioni organizzative consentono al giudice l’accuratezza delle verifiche preliminari), vi è il rischio che, a fronte di eventuali errori riscontrati ex post, l’attività processuale debba poi regredire. Opportunamente viene invece stabilito (sebbene alla conclusione relativa alla decorrenza dal provvedimento del giudice possa pervenirsi fin da ora) che i termini per le memorie di cui all’articolo 171-ter c.p.c. iniziano a decorrere solo quando è pronunciato e comunicato il decreto previsto dal terzo comma dell’art. 171-bis c.p.c. e si computano rispetto all’udienza fissata nell’atto di citazione o a quella fissata dal giudice istruttore a norma di quest’ultimo articolo.
Nel correttivo non sono contenute disposizioni volte a salvaguardare il contraddittorio per il caso in cui il decreto del giudice ex art. 171-bis c.p.c. sia emesso oltre i 40 giorni prima dell’udienza in cui le parti hanno l’onere di depositare a pena di decadenza la prima memoria ex art. 171-ter c.p.c. o addirittura i venti in cui hanno l’onere di depositare, sempre a pena di decadenza, la seconda memoria. Sarebbe, dunque, opportuno precisare che, in tal caso, l’udienza dovrà essere differita.
Sempre con riguardo al libro secondo, particolare attenzione viene dedicata al rito semplificato, con l’introduzione di disposizioni volte a incentivarne l’utilizzazione o a chiarire dubbi interpretativi.
Viene così esplicitato il significato della parola «sempre» di cui al secondo comma dell’art. 281-decies c.p.c. nel senso che, «nelle sole cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, il processo di cognizione di primo grado può essere introdotto nelle forme del procedimento semplificato anche se non ricorrono i presupposti di cui al primo comma» e si precisa espressamente (allo scopo di superare incertezze insorte nella pratica applicativa) che il processo semplificato può essere utilizzato nell’opposizione alla esecuzione, in quella agli atti esecutivi e nell’opposizione a decreto ingiuntivo, con rimessione all’opponente della scelta del rito.
Costituisce un mero chiarimento la disposizione secondo cui, quando la causa è di competenza del tribunale in composizione collegiale, è il giudice istruttore che deve fissare con decreto la data della prima udienza (novellando art. 281–undecies c.p.c.), mentre, con il novellando art. 281-duodecies c.p.c., da un lato, si prescrive, al terzo comma, che, alla prima udienza, le parti possono proporre a pena di decadenza (non solo le eccezioni, come nella disciplina attuale, ma anche) le domande che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dalle altre parti, così superando l’interpretazione restrittiva che in base al testo vigente avrebbe costretto l’attore e proporre l’eventuale nuova domanda in un autonomo processo[5]; dall’altro, si precisa, al quarto comma (venendo incontro ad alcune preoccupazioni manifestate dall’avvocatura), che le memorie ivi previste possono essere consentite dal giudice, se richieste, (solo) quando la relativa esigenza «sorge dalle difese della controparte», così scongiurandosi richieste a fronte ad esempio di mere contestazioni in diritto. Costituiscono poi semplici puntualizzazioni le modifiche che si vorrebbero apportare all’art. 281-terdecies c.p.c.[6], in particolare con l’intento di evitare la fissazione di un’udienza collegiale altrimenti imposta dall’articolo 275-bis c.p.c., fermo restando che, ove richiesto anche da una sola delle parti, il giudice istruttore fisserà l’udienza di discussione davanti al collegio con conseguente applicazione dell’art. 275-bis c.p.c.
Nel novellando art. 473-bis c.p.c., infine, sono regolate - sulla traccia segnata dall’art. 4 d.lgs. n. 150/2011 - le conseguenze dell’errore di rito nel processo «unificato» in materia di persone, minori e famiglie, la definizione dell’ambito del quale in relazione ai procedimenti in camera di consiglio dovrebbe peraltro rimanere affidata alla interpretazione.
c) Con riguardo al libro quarto, si propone di modificare gli artt. 645 e 648 c.p.c., per offrire uno spazio alla decisione sulla esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo opposto in pendenza dello scambio di memorie anteriore all’udienza. Sebbene non sia considerata l’opposizione di terzo alla esecuzione di cui all’art. 619 c.p.c., né la dichiarazione di esecutività del decreto ingiuntivo opposto, ai sensi dell’art. 649 c.p.c., la scelta del processo semplificato, pur ancora facoltativa, dovrebbe risolvere le questioni. L’interruzione del «ping-pong» delle memorie per provvedere sulla esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo opposto nel caso in cui l’opposizione a decreto ingiuntivo sia proposta nelle forme del processo ordinario appare praticabile indipendentemente dalle modifiche in fieri. L’omessa menzione degli artt. 619 e 649 c.p.c. sembra, quindi, una questione superabile.
***
A fronte delle diverse reazioni suscitate dalla riforma (quella che esprime entusiasmo per i provvedimenti legislativi adottati; la posizione in cui si manifesta, all’opposto, un radicale dissenso per le modificazioni introdotte o che ne prospetta una lettura tale da complicarne l’applicazione; la terza che prende atto della disciplina sopravvenuta e si sforza per ricavarne le interpretazioni più funzionali allo scopo del processo, che è quello di rendere concreta per tutti la tutela giurisdizionale dei diritti davanti a un giudice terzo, indipendente e imparziale), non può esservi dubbio che debba essere quest’ultimo l’atteggiamento dei giuristi.
I primi orientamenti interpretativi, di cui è stato riferito nel corso del seminario, sembrano andare, positivamente, in questa direzione. E non pare azzardato affermare che, grazie anche a questi orientamenti ed all’opera di riflessione che si è andata sviluppando nelle più diverse sedi tra gli studiosi e gli operatori del diritto, il legislatore abbia tratto (stia traendo) impulso per migliorare la disciplina vigente. Come è stato ribadito nel seminario, anche dall’opera paziente degli interpreti e degli «addetti ai lavori» dipenderà, tra l’altro, la possibilità che le stesse norme processuali, nonostante l’opinabilità e le perplessità che possono avanzarsi con riguardo a questa o a quella scelta legislativa, riescano a comporsi in un quadro operativo capace di dare maggiore concretezza all’idea, cui da tempo si aspira, di un processo tendenzialmente unitario, duttile nelle forme e ricco nei mezzi di tutela, che consenta di adattare la risposta di giustizia a seconda delle circostanze del caso concreto.
In un quadro certo di garanzie di cui l’imparzialità del giudice, il contraddittorio delle parti, la parità delle armi e la ragionevole durata del giudizio sono profili strettamente intrecciati, già nella Relazione al codice del 1940, scritta da Piero Calamandrei, veniva rilevato che «il codice si è ispirato al principio della adattabilità (o, come anche autorevolmente fu detto, della elasticità) del procedimento: ad ogni tappa del loro iter processuale le parti e il giudice trovano dinanzi a sé, proposte dalla legge alla loro scelta, molteplici strade e sta a loro scegliere, secondo i bisogni del caso, la via più lunga o le scorciatoie». E nello stesso senso si è espresso il Consiglio Superiore della Magistratura con la Risoluzione del 18 maggio 1988, redatta da Giuseppe Borrè, con riguardo alla novella del 1990 sul processo civile, per la quale «ciò che conta veramente non è tanto l’accelerazione “in assoluto”, quanto il fatto che il processo, magari a costo di una pausa iniziale, sia posto in condizioni di non partire col “piede sbagliato” di una udienza di mero rinvio».
[1] L’art. 41 d.l. n. 36/ 2022, convertito in l. n. 79/2022 ha aggiunto gli artt. 37-bis, 37-ter e 37-quater alla legge delega ed ha regolato il funzionamento del «Comitato tecnico-scientifico per il monitoraggio sull’efficienza della giustizia civile».
L’art. 1, comma 380, l. n. 197/ 2022 ha modificato l’art. 35 d.lgs. n. 149/2022 contenente la disciplina transitoria.
L’art. 8, comma 9-bis, d.l. n. 198/2022, convertito in l. n. 14/2023, l’art. 3, comma 1, d.l. n. 105/ 2023, convertito in l. n. 137/ 2023 e l’art. 11, comma 5, d.l. n. 215/ 2023, convertito in l. n. 18/2024 hanno prorogato la possibilità di delega ai giudici onorari nei procedimenti innanzi al tribunale per i minorenni.
Gli artt. 22 e 23 d.l. n. 19/2024 hanno dettato nuove regole per il personale della giustizia.
L’art. 25 dello stesso decreto ha modificato gli artt. 546, 553, 630 c.p.c., 36 disp. att. c.p.c. e la rubrica del capo II del titolo IV delle stesse disposizioni di attuazione, nonché aggiunto l’art. 551-bis c.p.c.
Sono inoltre pendenti in Parlamento diverse altre proposte di legge per la riforma della normativa processuale, e sono numerose le disposizioni di produzione secondaria emanate in sedi diverse per il funzionamento della giustizia civile.
[2] Nelle locandine dei “Dialogoi” era riprodotta una frase di uno scrittore cinese: “La speranza è come una strada nei campi. Non c’è mai stata una strada ma quando molte persone vi camminano la strada prende forma” (LIN YUTANG). Le regole del processo sono la strada segnata da coloro che la percorrono.
[3] La comparizione personale delle parti si è dimostrata particolarmente preziosa, tra l’altro, nella materia della famiglia, favorendo l’accoglimento di proposte conciliative quando la comparizione è avvenuta davanti al collegio.
[4] In base al novellando art. 171 – bis c.p.c., «se ritiene che in relazione a tutte le domande proposte ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell’articolo 281-decies, il giudice dispone la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato di cognizione e fissa l’udienza di cui all’articolo 281- duodecies nonché il termine perentorio entro il quale le parti possono integrare gli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti».
[5] Qualora poi per effetto della proposizione delle nuove domande venissero meno i presupposti per mantenere il rito semplificato, non è da escludere che il giudice possa disporre la conversione del rito semplificato in rito ordinario.
[6] «Quando ritiene che la causa sia matura per la decisione, il giudice procede a norma dell’articolo 281-sexies. Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, l’istruttore dispone la discussione orale della causa davanti a sé e all’esito si riserva di riferire al collegio. La sentenza è depositata nei successivi sessanta giorni. Se una delle parti lo richiede, il giudice procede a norma dell’articolo 275-bis».
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