Rassegna

Separazione delle carriere, l’intervista al presidente di Md Riccardo De Vito

di Esecutivo di Magistratura Democratica

Il Dubbio, 16 novembre 2017

«La
battaglia sulla separazione delle carriere mi sembra un po’ datata, su altri
temi invece avvocatura e magistratura potrebbero combattere fianco a fianco».

Riccardo
De Vito, presidente di Magistratura democratica e giudice di sorveglianza a
Sassari, prende posizione sulla raccolta firme per dividere la magistratura
requirente da quella giudicante, promossa dall’Unione camere penali italiane.

Presidente, il suo collega Nicola Quatrano
ha scritto al nostro giornale di aver sottoscritto la proposta di separazione
delle carriere. Lei condivide questa battaglia?

Io
credo che oggi questo tema sia un po’ datato e che, addirittura, potrebbe
ritorcersi contro le garanzie difensive dell’attendibilità del risultato del
processo.

In quale modo la separazione tra giudice e
pm potrebbe nuocere alla giurisdizione?

Ipotizzando
carriere separate, bisognerebbe poi capire dove collocare il magistrato
inquirente e la soluzione, mi sembra di capire, potrebbe essere quella di
creare due separati Consigli superiori. In questo modo, però, si aumenterebbe
il ruolo della politica e si indebolirebbe invece quello della magistratura giudicante:
il risultato sarebbe un maggior intervento politico in materia di nomine ai
vertici degli uffici. La separazione inciderebbe poi anche sull’obbligatorietà
dell’esercizio dell’azione penale.

In che modo?

Gli
uffici requirenti, la cui indipendenza sarebbe messa in crisi, imporrebbero la
selezione delle notizie di reato. Questo comporterebbe una selezione a monte,
con il risultato che ai magistrati giudicanti filtrerebbero solo alcune notizie
di reato e non altre. La separazione, dunque, porrebbe di nuovo il tema del
criterio per l’esercizio dell’azione penale: oggi la priorità è data dalla
comune cultura giurisdizionale, dividendo le carriere potrebbero sorgere nuovi
criteri, diversi e anche potenzialmente pericolosi.

L’avvocatura obietta che il vincolo di
stretta colleganza tra magistratura requirente e giudicante mette a rischio il
diritto di difesa.

Alla prova dei
fatti, quest’affermazione mi sembra un poco ingenerosa. Concretamente, la magistratura
giudicante ha dato prova di grande indipendenza rispetto a quella requirente e
lo dimostrano vicende giudiziarie delicate come il caso Thyssenkrupp, in cui i
giudici sono pervenuti a conclusioni diverse rispetto a quelle dei pm. In
ottica comparatistica a livello europeo, nel nostro sistema il numero di
rigetti delle domande dell’accusa e di sentenze che si discostano dalle
richieste del pm toccano un tasso elevatissimo. Questo è sintomo di enorme
garanzia della difesa e smentisce l’idea di un giudice pedissequamente
schiacciato sul pm.

Quatrano ha definito i pm delle «vedette mediatiche».
Il potere mediatico dei pm può incrinare e influenzare la libertà decisionale
dei loro colleghi giudicanti?

La magistratura
non è isolata dalla società e questo è sicuramente un tema da approfondire.
Tuttavia, io non vedo in giro giudici proni all’opinione pubblica, nonostante
oggi il tasso di surriscaldamento del dibattito sia molto alto. Le cito di
nuovo il caso Thyssenkrupp, che dimostra la capacità di resistere della
magistratura giudicante. La mia opinione è che la fisiologia del nostro sistema
regga così com’è.

E quali pericoli vede nell’allontanamento della figura
del pm da quella del giudice?

Allontanare il pm
dalla cultura della giurisdizione significherebbe schiacciarlo su ruoli simili
a quello della polizia giudiziaria, non permettendogli di esercitare con
pienezza il suo ruolo di parte pubblica, anche nell’interesse dell’imputato.
Oggi, invece, proprio il suo essere parte di un unico sistema ne garantisce il
ruolo di promotore di giustizia e lo mette al riparo da quello di semplice passacarte
della polizia giudiziaria.

Non trova alcun fondamento nella battaglia dell’avvocatura
per la separazione, quindi?

Come dicevo,
considero la questione della separazione delle carriere un po’ datata.
Riconosco e rispetto, però, il fatto che gli avvocati aspirino massimamente ad
una parità di armi nel contraddittorio davanti al giudice. Io credo, però, che
sia più importante combattere sul fronte comune della tutela dei cittadini più
deboli, riformando il sistema delle difese d’ufficio e del patrocinio a spese
dello stato. Avvocatura e magistratura potrebbero fare fronte comune.

Su quali temi?

Penso ad esempio alla
battaglia della formazione comune di avvocati e magistrati e al ruolo degli avvocati nei
consigli giudiziari.

Anche la questione dei consigli giudiziari è molto dibattuta.
Sotto quali aspetti lei ritiene che
avvocati e magistrati possano incontrarsi?

Si tratta di un
tema controverso all’interno della magistratura. La mia opinione è che gli
avvocati debbano poter esprimere di più la loro voce non tanto sotto il profilo
della valutazione del singolo magistrato, quanto in materia di formazione tabellare
e organizzazione degli uffici. Ecco, su questo aspetto, come su quello della
formazione comune, ci sono punti di sensibilità comune che possono e anzi
devono essere sviluppati.

Intervista di Giulia Merlo, Il Dubbio (16 novembre 2017)

16/11/2017

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