Comunicati
Quali intercettazioni? (verso una distopia della giustizia)
Si fa un gran parlare in questi giorni dell’uso “facile” e troppo giornalistico delle intercettazioni, al punto da decretare la colpevolezza mediatica (ma anche sociale) di una persona, già prima e al di là degli esiti della cognizione piena di un giudizio penale, ritualmente celebratosi dentro e non fuori da un’aula di Tribunale.
Eccesso mediatico e uso pubblico distorto del mezzo di ricerca della prova, già raggiunti in questi ultimi anni da varie riforme: per farne alcuni esempi basti pensare alla legge sulla “presunzione di innocenza”, che inibisce l’uso delle informazioni sensibili sui presunti innocenti nelle fasi delle investigazioni, e alla riforma Orlando sulle intercettazioni, che ha imposto massima secretazione sulle intercettazioni non utili al processo. Segnali evidenti che da anni sta maturando l’esigenza di un intervento correttivo non tanto sull’uso processuale quanto sull’utilizzo esterno o sull’eventuale abuso mediatico di questo indispensabile strumento probatorio.
Che le intercettazioni (l’ascolto delle comunicazioni tra terzi, senza consapevolezza degli ascoltati) abbiano contribuito a garantire un apporto straordinario al patrimonio conoscitivo della Giustizia italiana rispetto ai più gravi fenomeni criminali, contraddistinti dalla segretezza della loro natura e salvaguardati dalla omertà, non può essere messo in dubbio neppure dai fautori di questo spirito riformista. Si tratta di una realtà, quella nostrana, afflitta da complicità e legami corruttivi tra poteri criminali occulti e organizzati e chi riveste posizioni anche di direzione nell’amministrazione della cosa pubblica, condizione che renderebbe assai poco efficace l’utilizzo dei soli mezzi di prova dichiarativi e di stampo più tradizionale.
In questo filone si inseriscono i rinnovati propositi riformatori anche del neo ministro della Giustizia, per come diffusi dalle fonti giornalistiche di queste settimane.
In questa prospettiva di contenimento dei possibili abusi stupisce tuttavia la ripresa nostalgica (ci si augura solo giornalistica) di strumenti, questi sì effettivamente desueti, quale quello delle intercettazioni preventive, evocazione che certo non appare in sintonia con i predetti propositi “garantisti”.
Le intercettazioni preventive sono comunicazioni captate all’insaputa dei conversanti, ma non utilizzabili a fini di prova e non autorizzate da un giudice ma dal solo pubblico ministero - previste dall’art. 226 disp. att. c.p.p. - utili esclusivamente a fini investigativi. Come dire, funzionali a comprendere se il reato è nella mente del suo ideatore, salvo poi rimandare la ricerca della prova del suo verificarsi e delle responsabilità del suo autore ai “veri” mezzi di ricerca della prova (tra i quali le intercettazioni vere e proprie, autorizzate dal Giudice per le indagini preliminari).
Si tratta di uno strumento, quello delle intercettazioni preventive, che nella prassi degli uffici giudiziari è fortunatamente quasi inesistente: esse sono normalmente ricollegabili ad ipotesi in cui le intercettazioni legalmente autorizzabili da un Giudice non potrebbero essere neppure ipotizzate per carenza di uno dei loro presupposti legali. Ad esempio si potrebbe ricorrere ad una intercettazione preventiva per verificare le parole del c.d. informatore o fonte confidenziale, la cui identità resti non rivelata dall’agente di pubblica sicurezza, ipotesi che, viceversa, è severamente vietata per l’accesso all’intercettazione legale.
Se questo è il rimedio per evitare la gogna mediatica dell’intercettato, ci si domanda allora quale sia il male e quale la cura e semmai se la cura proposta non sia peggio dello stesso male.
La magistratura ha maturato, negli anni, una istintiva diffidenza per tutti i mezzi di ricerca della verità che non siano utilizzabili nel futuro processo.
Le indagini – prima - e il processo – dopo - servono ad accertare dei fatti al fine di comprenderne le dinamiche e le responsabilità in modo quanto più possibile esatto, secondo i criteri della elevata probabilità, nella fase iniziale, e della ragionevole certezza, nella fase di merito, attraverso le regole di accertamento processuale previste dal codice.
Per tornare alle intercettazioni preventive e banalizzandone di gran lunga i termini: se scopro chi è l’assassino ma poi non posso usare questa conoscenza nel processo per giungere a una sentenza di accertamento della sua colpevolezza, ottengo una informazione non solo ininfluente, ma, per le sue caratteristiche di segretezza (che tale è destinata a restare non avendo sbocco processuale), anche subdola.
Una dimensione che richiama le parole di Corrado Alvaro ne “L’uomo è forte”, romanzo distopico del 1938, in cui il colpevole è funzionale al sistema, nei limiti in cui il potere controlla e conosce le sue azioni ma non le può giudicare in modo pubblico e trasparente nella dinamica processuale: “Si ricordi che noi ci interessiamo dei colpevoli. In alcuni casi, il delinquente opera ai fini più alti della giustizia, e la sua opera è necessaria alla società quanto l’esempio dei più fedeli e virtuosi cittadini. (…) Se mi fosse concesso dirlo, affermerei che noi amiamo il colpevole; noi lo seguiamo trepidamente; egli è l’amico e il compagno della nostra opera. Noi abbiamo bisogno di lui come egli ha bisogno di noi.”.
Il tema è complesso, il presunto non colpevole va certamente salvaguardato, ma quello che assolutamente non possiamo permetterci è farci irretire da schemi relazionali e procedimentali che ci portino indietro negli anni, che ci impediscano di guardare con trasparenza e linearità al nostro sistema processuale, che è soggetto, più che mai negli ultimi anni, ad un fermento culturale di cambiamento.
La Magistratura deve e dovrà sempre di più essere impegnata in prima linea in questo progetto di trasformazione: purché non si abbraccino strade che ci riportino indietro, al tempo in cui si aveva bisogno di un colpevole di cui controllare le azioni e di un innocente da processare.
Articoli Correlati
Intervento
Proviamo a fare bene
Da mailing list Anm - Intervento di Simone Silvestri all'assemblea distrettuale Anm Toscana del 9 dicembre 2024
Comunicati
La giustizia, le critiche, le persone. La necessaria tutela di un bene comune
Si ripetono con preoccupante frequenza e con crescente aggressività violente intimidazioni a chi - con diversi ruoli - assume su di sé il peso di vestire la toga.
Comunicati
Le dimissioni di Iolanda Apostolico turbano l’intera magistratura
Giustizia: Musolino (Md), dimissioni Apostolico turbano intera magistratura. (LaPresse)
Comunicati
Plenum straordinario di martedì 3 dicembre 2024: nuovo TU sulla dirigenza giudiziaria
Ieri pomeriggio si è tenuto il secondo plenum straordinario per la discussione e votazione delle due proposte di modifica del TU sulla dirigenza giudiziaria
Comunicati
La riforma del Testo Unico Dirigenza giudiziaria: il Csm ha rinunciato a un radicale cambio di metodo
Oggi il Consiglio superiore della magistratura ha deliberato la revisione del Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria. La maggioranza ha scelto di non mutare metodo e di non ascoltare la domanda di cambiamento reale che proviene da tutta la magistratura.