Il report del convegno

Priorita' Napoli

Il report del convegno

di Esecutivo di Magistratura Democratica

A proposito di priorità, carichi e qualità del lavoro dei magistrati … la giustizia penale.

Il seminario organizzato da AREA a Napoli il 9 giugno scorso sul tema delle priorità (GUARDA I VIDEO) ha consentito un vivace e articolato dibattito in cui temi generali ed esperienze concrete si sono integrati.

L’incontro, efficacemente moderato nelle due sessioni da Dario Del Porto di Repubblica, ha cercato di fornire  prospettive e soluzioni agli interrogativi diffusi  non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche tra gli utenti del servizio giustizia e nell’ambito della stessa classe politica, che non manca di evidenziare la complessità e le contraddizioni insite nei temi dell’obbligatorietà dell’azione penale, dei tempi di decisione, della discrezionalità delle scelte operate da uffici giudiziari e singoli magistrati.  

Il dibattito non ha mancato di far emergere critiche diffuse alla politica e al Parlamento che - attraverso una legislazione disorganica - complicano il processo penale e civile, nonché agli operatori del settore e al Ministero che - in un’ottica di tagli al personale amministrativo e alle risorse logistiche e tecniche - rendono sempre più complessa l’organizzazione dell’attività giudiziaria. Ma alla fase critica è seguito lo sforzo di comprendere se sia possibile organizzare il lavoro giudiziario in modo più razionale; affrontare prima ed in modo più efficiente  i processi e le controversie di maggiore gravità o rilevanza; individuare criteri condivisi di priorità nella fissazione e trattazione delle cause.

E’ emerso con chiarezza che parlare di "priorità" è parlare sì del cuore della vita degli uffici, ma è anche parlare del ruolo del giudice nella società, di autogoverno, di struttura dell’ufficio del PM, di assetti costituzionali.  E altrettanto chiara è apparsa l’assoluta necessità di  un  miglioramento della conoscenza statistica e della cultura organizzativa all'interno del sistema: se tutti adottassimo gli strumenti statistici già disponibili, ogni processo avrebbe un “peso”, idoneo a tener conto delle molte variabili che attualmente spesso impediscono al processo penale di sortire risultati concreti. Se la dirigenza dell'ufficio pubblicizzasse i criteri di priorità e ne seguisse il rispetto, nessun magistrato correrebbe rischi disciplinari per essersi attenuto alle regole che l’ufficio stesso si è dato.

1.  Introduzione: il ruolo di impulso delle Procure - All’inizio del dibattito si è cercato anzitutto di mettere in luce (Furio Cioffi, Corte di Appello Napoli, coordinamento distrettuale di Area) che, tra i diversi princìpi costituzionali che governano la materia, non possono essere pretermessi quelli che richiamano non solo tutti i magistrati ed il loro sistema di Autogoverno, ma anche lo stesso Ministero della Giustizia ad un serio e ponderato impiego delle (scarse e comunque non illimitate) risorse economiche destinabili al settore (artt. 97 e 81 Cost., quest’ultimo novellato nel 2012): ne consegue  che tempo e numero dei processi definibili non costituiscono più una “variabile indipendente”, in ossequio ad una visione formalistica ed antiquata dell’obbligatorietà dell’azione penale.

Inoltre, si è osservato che la discussione sulle priorità nella trattazione dei procedimenti, negli uffici sia requirenti che giudicanti, non può che partire da una considerazione generale di logica: l’efficacia dell’adozione dei criteri di priorità è inversamente proporzionale al numero delle categorie di procedimenti prioritari. Inoltre, tra i “miti da sfatare” in tema di priorità, c’è quello dell’apparente “sacrificio dei soggetti deboli” del processo, da molti indicati nelle persone offese: in realtà così non è, poiché l’adozione tra i criteri di priorità di quello della “gravità in concreto” del reato tende, anzi, a valorizzare l’elemento del danno effettivo patito. Inoltre, proprio diverse tipologie di reati “seriali” (guida senza patente, contrabbandi, furti e contraffazioni di modesta entità)  determinano – quantomeno nel distretto di Napoli - un notevole numero di processi senza alcun interesse al risarcimento per la p.o. Inoltre, è importante non solo che le Procure adottino criteri di priorità (come può evidentemente ricavarsi anche dall’art. 1, comma 2° d.lgs. 106/2006), ma che lo facciano in modo trasparente e condiviso nel programma organizzativo previsto dall’art. 1, comma 6°, d.lgs. 106, poiché è chiaro che solo la costante esperienza dei Sostituti nella fase requirente può garantire una scelta incisiva e realistica delle priorità. D’altra parte, sarebbe inutile un’adozione di priorità “autoreferenziale” da parte del Procuratore, senza un concerto o quantomeno un confronto col corrispondente Tribunale. E’altrettanto importante, poi, che il rispetto delle priorità dell’Ufficio nella fase inquirente sia garantito ed incentivato da rilevazioni statistiche finalmente ponderate, che tengano conto della “qualità” del procedimento prioritario definito, oltre che della mera quantità (Fabrizio Vanorio, Procura Napoli, componente del CDC dell’ANM). 

2. Priorità nel processo penale: il primo grado - Nella densa sessione del mattino dedicata alla giustizia penale, si è in seguito sottolineato (Luigi Buono, Tribunale Napoli, componente del CDC) che  il tema dei criteri di priorità nella trattazione degli affari penali investe un  tema fondamentale: la compatibilità col principio costituzionale di obbligatorietà dell’azione penale di scelte tendenti a razionalizzare le risorse limitate a disposizione degli uffici giudiziari per fronteggiare l’enorme carico di lavoro, al fine di assicurare un servizio efficiente ed un processo di durata ragionevole.   

Il quadro di riferimento normativo in cui collocare l’individuazione delle priorità nella trattazione degli affari è quindi rappresentato in primo luogo dai principi costituzionali:
-    il principio  di  ragionevole durata del processo nell’ambito di un processo giusto (art. 111 Cost.), quelli di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione degli uffici (art. 97 Cost.) e di obbligo di copertura e di equilibrio di  bilancio ( art.81 Cost.),  che investono anche l’amministrazione della giustizia, sono principi che vanno adeguatamente contemperati con quelli di obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.) e di soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.).
L’equilibrato contemperamento dei  richiamati  principi costituzionali comporta (Luigi Buono) che, in presenza di un ingente quantitativo di notizie di reato da trattare e della insufficienza delle risorse a disposizione, che non  rende possibile definire tutti i procedimenti in un tempo ragionevole, appare legittimo  stabilire dei criteri di priorità che, traducendosi in scelte organizzative degli uffici requirenti e giudicanti, non comportino il definitivo ‘accantonamento’ di alcuni procedimenti, ma solo la loro ‘postergazione’ rispetto ad altri ritenuti, in base a criteri trasparenti e predeterminati, prioritari.

Le  priorità, dunque  (Carlo  Sabatini, Tribunale Roma, coordinamento distrettuale di Area),  trovano  non solo fondamento in regole logiche e di generico buon senso, ma in norme positive. Accanto  ai principi costituzionali suindicati, i riferimenti normativi  si rinvengono altresì   nel vigente art. 132 bis disp. att. c.p.p. e  nella c.d. legge Carotti  (l. 479/1999) nonché nell’art. 227 d.lgs. 51/1998, di istituzione del “giudice unico”.

E’ al riguardo emersa forte,  nella quasi totalità degli interventi,  l’esigenza di un autogoverno diffuso praticato dal basso in cui ogni magistrato partecipi alle scelte organizzative  dell’ufficio in cui lavora. Lo stesso dicasi riguardo all’esigenza di un coordinamento degli uffici inquirenti e quelli giudicanti in ogni grado del processo in una prospettiva unitaria che coordini verso un risultato generale gli obiettivi del singolo ufficio: una scelta definitiva e netta per una giurisdizione semplificata e partecipata.

Sono stati illustrati i provvedimenti dei capi di alcuni  uffici giudiziari (Napoli, Bologna e Genova), i quali, recependo le indicazioni formulate dalla Commissione tabelle e richiamandosi alle indicazioni contenute nelle circolari del CSM del 2006 e 2007,  hanno stabilito che, pur nel rispetto dei criteri di priorità stabiliti dall’art. 132 bis disp.att. c.p.p., i giudici si  dovranno attenere ad ulteriori criteri di priorità nella gestione delle udienze e delle sopravvenienze, trattando con precedenza alcuni procedimenti  e fissando, invece,  udienza di trattazione oltre la maturazione del termine di prescrizione allorché nei procedimenti per reati “di minore impatto e/o attesa sociale”, al momento dell’udienza di smistamento,  ritengano evidente l’impossibilità di giungere a sentenza definitiva, pur  con clausole di salvaguardia  a  tutela delle parti civili e  di interessi di particolare rilevanza.

Il riferimento al principio di offensività, rapportato alla concreta gravità del reato ed al valore economico del profitto o del danno dallo stesso cagionati potrà certamente concorrere a individuare criteri di priorità coerenti.

Simili provvedimenti dei dirigenti degli uffici si inseriscono nel solco delle scelte organizzative legittime ed ammissibili sulla base delle  richiamate circolari del CSM. Invero, tenuto conto della ratio dell’istituto della prescrizione, che sancisce il disinteresse dell’ordinamento giuridico all’applicazione della pena dopo un lasso di tempo proporzionato all’entità del fatto, il far maturare in primo grado una prescrizione, che si verificherà quasi certamente nei gradi successivi appare una scelta del giudice legittima, se giustificata da un provvedimento organizzativo del dirigente, che miri ad evitare attività processuali inutili e dannose per l’intero sistema,  ad assicurare la più celere trattazione e definizione di altri processi, grazie alla diminuzione del carico di lavoro dei magistrati ed a garantire per il futuro, anche a seguito dell’incentivazione al ricorso ai riti alternativi, una riduzione del numero delle prescrizioni.   

3. Priorità nel processo penale: il giudizio di appello - Significativo altresì  il richiamo (Barbara Calaselice, Corte di Appello Napoli, segretario della Giunta ANM di Napoli), nel quadro normativo di riferimento,  all’indicazione legislativa contenuta nella recentissima legge 28.4.2014 n. 67, in cui, oltre alla delega al Governo per la depenalizzazione di numerosi reati, è prevista anche una delega per l’esclusione della punibilità di condotte sanzionate con sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento, senza pregiudizio per l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno ed adeguando la relativa normativa processuale penale.

E non solo: la possibilità di individuazione di criteri di priorità non arbitrari, ma oggettivi e trasparenti  oltre a precisi riferimenti normativi è già stata scrutinata in sede consiliare sin dalla risoluzione del CSM del 9.11.2006, interpretativa della legislazione vigente. Sin da allora si invitavano i dirigenti degli uffici  inquirenti e giudicanti ad adottare iniziative e provvedimenti idonei alla razionalizzazione della trattazione degli affari e dell’impiego delle scarse risorse disponibili: iniziative e scelte correttamente collocabili nell’ambito  del sistema tabellare. Su questa stessa linea  si inserisce  altresì  la nota del 22 luglio 2009 con cui il PG della Cassazione, nel richiedere ai Procuratori Generali presso le Corti d’Appello una relazione utile a verificare il corretto ed uniforme esercizio dell’azione penale, segnala la necessità di approfondire i “tempi e modi dell’esercizio dell’azione penale, con riferimento anche alle assegnazioni, all’eventuale adozione di criteri di priorità nella trattazione degli affari....”.

Interessante anche l’esperienza ligure, riportata da Diana Brusacà (GIP a Spezia e componente del Consiglio giudiziario di Genova): il Consiglio giudiziario, in sede di approvazione delle tabelle della Corte di Appello, a fronte di criteri di priorità tra loro del tutto disomogenei dei Presidenti di sezione, ha formalizzato l’auspicio per il futuro ad una più articolata riflessione sul profilo qualitativo delle tipologie processuali e sul necessario coordinamento dell’Ufficio in quanto tale, fornendo altresì indicazioni esplicite sul ruolo dei Presidenti di sezione come stabilito nella circolare CSM, che costituisce punto qualificante dell’organizzazione specifica degli uffici di secondo grado.

Interessante e positiva è apparsa la situazione degli uffici requirenti liguri: sulla base di una proposta formulata dal Consiglio giudiziario di Genova, tutti i Procuratori della Repubblica del distretto hanno inteso esercitare i poteri che sono attribuiti loro dal decreto legislativo n. 106 del 2006, inserendo fra le regole organizzative dei loro uffici i criteri di priorità. La proposta del Consiglio Giudiziario è stata quindi formalizzata in un documento inviato a tutti i dirigenti degli uffici e trovava nella propria giustificazione nella necessità di razionalizzare le risorse e di uniformare le prassi nel distretto, tenuto conto che si tratta di realtà geografiche molto simili da un punto di vista economico - sociale ed anche in  relazione alle più frequenti tipologie di reato.

L'iniziativa ha inizialmente incontrato alcune resistenze di natura concettuale e culturale, ma alla fine tutti i dirigenti degli Uffici requirenti hanno condiviso la necessità di comuni criteri di priorità.  E’ stato, quindi, elaborato  uno schema  che è stato, poi, adottato (con minime differenze) da tutte le Procure della Repubblica del distretto. E tale schema, e questo è stato il passaggio importante, è stato, alla fine di questo percorso condiviso, inserito in tutti i progetti organizzativi redatti dai Procuratori ed in tutte le tabelle predisposte dai Presidenti dei Tribunali del distretto ligure.

In definitiva, ogni tentativo serio di razionalizzare le risorse organizzative adottando anche scelte processuali – che è ciò in cui si sostanziano i criteri di priorità nella trattazione degli affari – non può che richiedere il coinvolgimento di uffici di Procura, di Tribunale e di Corte di Appello e va, dunque, nel senso di una condivisione delle scelte  (Fabrizio Vanorio, Barbara Calaselice, Diana Brusacà, Carlo Sabatini, Luigi Buono).

Interessanti i contributi dei relatori che hanno dato conto dell’esperienza degli Uffici di provenienza o comunque monitorati: gli uffici napoletani, romani, milanesi, genovesi, di legittimità, illustrando  altresì  possibili rimedi organizzativi, sulla scia dei provvedimenti adottati  concretamente negli  uffici, e dei possibili criteri di individuazione dei processi a trattazione prioritaria.

4. Le valutazioni del mondo universitario e forense - Vivaci sono state le obiezioni di rappresentanti dell’accademia e dell’avvocatura: appare ambigua, per il prof. Alfonso Furgiuele (Università Federico II di Napoli), l’affermazione secondo cui l’introduzione di criteri di priorità non intaccherebbe  il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale; di fatto le scelte effettuate  in tal senso metterebbero in crisi tale dogma al quale provocatoriamente potremmo anche rinunciare, a fronte di un intervento legislativo che preveda una discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale regolamentata e sottoposta a controllo giurisdizionale. In realtà (avv. Valerio Spigarelli, presidente dell’Unione Camere penali italiane) la prescrizione è oggi utilizzata come principio di temperamento all’esercizio dell’azione penale; le scelte di priorità nella trattazione degli affari rappresentano  vere e proprie scelte di politica criminale allorquando nella individuazione delle priorità si selezionano reati disomogenei rispetto alla loro effettiva gravità;  le scelte  dovrebbero essere rimesse al legislatore, nei confronti del quale sarebbe il caso di riporre fiducia, e non alla magistratura.

L’avv. Domenico Ciruzzi, presidente della Camera penale di Napoli, si è espresso in termini più favorevoli sull’adozione delle priorità, pur ritenendo imprescindibile che l’esigenza di definire in tempi più rapidi e certi i processi per determinate categorie di reato “gravi in concreto” non vada a discapito della necessaria funzione dell’avvocatura (a suo giudizio, a volte è accaduto che l’esigenza di concludere nel merito alcuni processi prima della prescrizione abbia ristretto oltre misura i tempi riservati agli interventi difensivi).

Tuttavia anche gli esponenti dell’avvocatura hanno auspicato che Consigli Giudiziari e Consiglio Superiore della Magistratura concorrano ad una discussione sulle priorità, che  determini scelte politiche: nessuna modifica dell'art.112 Cost., dunque, ma una soluzione interna alla dialettica politica sulla giustizia.

Resta, dunque, problematica, secondo il pensiero di molti, l’individuazione  dell’organo deputato a compiere tali scelte: il Parlamento, con il rischio  di una possibile  sostanziale disapplicazione di alcune norme incriminatrici, o i singoli capi degli uffici giudiziari, con l’altrettanto significativo rischio di lesione del principio di uguaglianza e dell’adozione di scelte di politica criminale a opera di soggetti non responsabili politicamente (Spigarelli).

5. I risultati finali del processo penale in Italia: l’esperienza della Corte di Cassazione -  Secondo Ercole Aprile (Corte di Cassazione, candidato di Area al CSM), la soluzione più coerente con i principi costituzionali è che le scelte sulle priorità della giustizia panale siano adottate dagli uffici giudiziari, ma creando un momento di raccordo con le direttive generali dell’Autogoverno centrale e periferico e le indicazioni ricavabili dalle norme emanate dal Legislatore. 

E all’obiezione (Luigi Buono) secondo cui, di fatto, le notizie di reato non prioritarie finirebbero comunque per non essere trattate, incanalando i relativi reati sui binari della prescrizione, si può rispondere che ciò non sarebbe addebitabile ai criteri di priorità, ma all’oggettiva impossibilità di smaltimento dell’intero carico giudiziario: le priorità servirebbero soltanto a governare meglio la situazione, trasformando la discrezionalità esercitata di fatto dai singoli magistrati in scelte guidate da alcune direttive di carattere generale.

Peraltro, a ben guardare (Carlo Sabatini) un criterio di priorità è sempre stato immanente al sistema, e forse sarebbe di per se stesso sufficiente a legittimare ogni intervento che individui modi e tempi diversi di trattazione dei processi: il legislatore, infatti, nello stabilire una gerarchia delle sanzioni indica anche una gerarchia dei disvalori e quindi delle priorità da affrontare. 

Si è evidenziato in molti interventi, tuttavia, che ciò presupporrebbe una risposta legislativa  sempre ben meditata e non frutto di sovrapposizioni caotiche di spinte politiche diverse; attualmente, per la grave incoerenza del sistema sanzionatorio, l'entità della pena non può costituire un parametro decisivo (Luigi Marini, Corte di Cassazione, presidente di MD).

In un’ottica volta ad individuare percorsi virtuosi, tutti hanno ricordato come la magistratura ha negli ultimi tempi utilizzato strumenti di azione che rientrano negli spazi di autonomia degli stessi operatori del diritto: il riferimento è a tutti quegli atti (protocolli, intese, circolari dei dirigenti realmente ‘condivise’ con i magistrati, gli avvocati e il personale amministrativo ecc.) che, mirando a migliorare modi e tempi dell’attività giudiziaria, hanno cercato di organizzare gli uffici  in base alle specificità delle singole realtà  e delle singole attività.

Non sono mancati rilievi critici alla formulazione dell’attuale 132 bis disp. att. c.p.p.: si è sottolineata  al riguardo l'assenza di una logica costituzionalmente corretta all'interno della norma  laddove sono  sopravvalutati gli  elementi personologici (come ad esempio la recidiva; lo stato di detenzione anche per fatti diversi, la condizione di migrante) o processuali (il fermo o l’arresto anche se non più in atto) a scapito di una valutazione degli interessi / diritti protetti dalla norma violata e delle caratteristiche delle persone offese (Luigi Marini).

6. Il ruolo della politica – Ricco di spunti anche autocritici è apparso l’intervento di Anna Finocchiaro, presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato (per impegni sopravvenuti non è potuto esser presente il presidente della Commissione Giustizia del Senato, Nitto F. Palma). La senatrice ha ricordato che una ragione, se non la principale, dell’attuale “ingolfamento” della giustizia penale è data dalla molteplicità di interventi di politica criminale sia di matrice governativa che parlamentare, tra loro scoordinati e spesso anche in contraddizione, al punto da rendere assolutamente attuale e cogente l’auspicio di un codice penale che riassuma in sé tutte le norme incriminatrici. Certamente delicato è il problema dei tempi della giustizia penale e delle sue possibili soluzioni, ma occorre nutrire comunque fiducia nel sistema costituzionale vigente in tema di giustizia, che contempla nel suo seno un equilibrato meccanismo di autogoverno, nell’ambito del quale la componente togata e quella di nomina parlamentare possono trovare l’opportuno raccordo su una questione così decisiva.

7. Gli interventi dei candidati di Area alle elezioni del CSM - Richiamando i principi fissati nel Programma elettorale di Area, gli attuali candidati al CSM hanno sottolineato come, a fronte delle risorse insufficienti, dell’assenza di riforme necessarie a fronteggiare l’enorme carico di lavoro degli uffici giudiziari, i criteri di priorità nella trattazione degli affari appaiono strumento indispensabile attraverso il quale, nell’ambito di una direttiva quadro consiliare, siano responsabilizzati i dirigenti e si crei un percorso virtuoso tra gli organi giudicanti di primo e secondo grado per garantire una efficiente organizzazione del servizio. Hanno auspicato altresì  interventi di dettaglio differenziati  in relazione al tessuto sociale ed al territorio in generale (Ercole Aprile); una più razionale distribuzione delle  pur scarsissime risorse  di cui disponiamo, per indirizzarle, nei limiti del possibile, verso processi che siano in grado di assicurare una risposta concreta e definitiva di giustizia (Lucio Aschettino, Tribunale di Nola, candidato al CSM). Hanno, infine, evidenziato come, attraverso la responsabilizzazione dei dirigenti nella formulazione di progetti organizzativi,  le priorità diverranno anche strumento da “opporre” ai rilievi disciplinari collegati all’inerzia ed ai ritardi (Antonello Ardituro, Procura di Napoli, candidato al CSM).

8. Le conclusioni del convegno - Gli interventi conclusivi di Nicola Di Grazia, segretario del Movimento per la giustizia – Art. 3 e di Egle Pilla per il Coordinamento nazionale di Area, pur nel riconoscimento dell’indubbia complessità del problema, hanno espresso il forte auspicio di Area per l’avanzamento della discussione politica e consiliare in materia e l’ulteriore diffusione di progetti organizzativi basati sulle priorità e condivisi tra gli uffici di diverso grado.

30/06/2014

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