Sul libro-intervista di Sallusti e Palamara
Per non falsificare la storia della giurisdizione
Il libro-intervista di Alessandro Sallusti e Luca Palamara amputa ed omette una parte importante della storia della Magistratura e riduce una stagione complessa ad una vicenda “emblematica” dell’aggressione portata per via giudiziaria a presunti avversari dalla magistratura “politicizzata”, rappresentata da Md. Così facendo, si persegue il fine di riabilitare singoli protagonisti interessati da quelle vicende e si attenta al cuore di un valore essenziale per la tenuta della democrazia: la fiducia nell’imparzialità della giurisdizione, quale strumento di tutela dei diritti e delle garanzie, e nel suo ruolo di difesa della legalità e dei principi dello Stato di diritto.
Il libro-intervista di Alessandro Sallusti e Luca Palamara ricostruisce come un “sistema” la storia recente e quella attuale della magistratura italiana: un terreno di caccia di correnti interessate a spartirsi i vertici degli uffici giudiziari (soprattutto delle Procure), in pieno accordo con la politica. Meglio, con una parte della politica: quella di sinistra.
Il “Sistema”, secondo il libro, trarrebbe linfa dal collateralismo storico di Magistratura democratica con le organizzazioni politiche della sinistra (dal Pci al Pd), e dalla lotta per via giudiziaria contro i “nemici di turno” (Berlusconi, e poi Renzi e Salvini).
La finalità e la strumentalità di questa lettura, e dell’evidente impegno mediatico nel divulgarla, non sono difficili da cogliere: si parte dalla crisi della magistratura, svelata dalle indagini perugine sulle nomine di dirigenti, e dallo spaccato aperto all’interno della magistratura da quelle vicende, per arrivare a riscrivere la storia di intere stagioni e vicende giudiziarie, accertate nei processi e da sentenze passate in giudicato, utilizzando come chiave di lettura l’azione di una magistratura “politicizzata” e da sempre impegnata in una “lotta politica”, per via giudiziaria, contro i suoi “avversari”.
Una rilettura che, se da un lato vuole riabilitare singoli protagonisti interessati da quelle vicende, e colpire Magistratura democratica come espressione deteriore della magistratura “politicizzata”, dall’altro attenta al cuore di un valore essenziale per la tenuta della democrazia: la fiducia nell’imparzialità della giurisdizione, quale strumento di tutela dei diritti e delle garanzie, e nel suo ruolo di difesa della legalità e dei principi dello Stato di diritto.
Un ruolo che, proprio nella lunga fase di crisi della nostra democrazia, segnata dalla corruzione e dai conflitti d’interesse al vertice dello Stato, ha rappresentato un argine allo sviluppo dell’illegalità pubblica e un punto di tenuta fondamentale per le istituzioni investite dalla perdita di credibilità.
Erano gli anni in cui Alessandro Pizzorusso scriveva che se la maggioranza politica di centrodestra avesse continuato con il suo programma di controriforme avrebbe fatto “regredire di almeno un secolo il livello di evoluzione delle nostre istituzioni giudiziarie”. E nel Rapporto preliminare sulla missione in Italia del Relatore speciale dell’Onu si poteva leggere di come fossero “ragionevoli i timori dei giudici e dei pubblici ministeri che vedono minacciata la loro indipendenza”.
La difesa dei valori dell’indipendenza e dell’autonomia della giurisdizione ha visto in quella stagione impegnata tutta la magistratura, unita da una forte consapevolezza dei valori in gioco, trasversale ai gruppi: nell’avvertire le minacce derivanti dai tentativi di aggressione alla Costituzione e dai conflitti di interesse portati ai vertici dello Stato, la magistratura fu in grado di esprimere con fermezza un fronte unitario e riconoscibile nella difesa dell’assetto di indipendenza della giurisdizione e di tutti i valori dello Stato di diritto.
Tutto questo nella “ricostruzione” del libro è omesso e tanto basta per amputare una parte della storia della magistratura intera e di interi uffici giudiziari, riducendo quella stagione ad una vicenda “emblematica” dell’aggressione portata per via giudiziaria a presunti avversari dalla magistratura “politicizzata” rappresentata da Md.
La magistratura italiana, chiamata oggi ad una riflessione seria e coraggiosa su sé stessa e sulla crisi che attraversa anche l’autogoverno e l’associazionismo, non merita una simile opera di rimozione della verità della sua storia né le mistificazioni di un racconto caratterizzato da omissioni e dimenticanze significative o affermazioni indimostrate e allusioni sui singoli.
Magistratura democratica è stata parte importante di questa storia e, sin dalla sua nascita, ha portato avanti il suo impegno nell’associazionismo giudiziario all’insegna della consapevolezza della responsabilità che la magistratura ha nella realizzazione della Costituzione.
Un impegno che, per questo, ha sempre rifiutato l’idea della neutralità rispetto ai valori costituzionali e quell’idea della politicità che, dietro un’apparente neutralità, cela invece l’adesione e il legame tacito al sistema politico e agli interessi dominanti: proprio quella “politicità” che le vicende di Perugia hanno disvelato.
Magistratura democratica ha saputo riaffermare, anche nella stagione più buia del terrorismo politico, il valore essenziale e insostituibile della garanzia giuridica, destinato ad operare in qualunque congiuntura politica, con qualunque maggioranza politica, e con qualunque governo.
Anche nella sua storia più recente, Magistratura democratica ha sempre rivendicato e rinnovato il suo impegno – da gruppo di giuristi – per l’attuazione della Costituzione, in tutte le occasioni in cui abbiamo visto prendere corpo le minacce di progetti regressivi, e rispetto a tutte le sfide poste da progetti regressivi alla democrazia e alla giurisdizione.
Lo abbiamo fatto sulla base dei contenuti dei provvedimenti, dei comportamenti e delle leggi, senza mai guardare al colore politico del governo o in nome di una logica di consenso, alla quale ci dichiariamo estranei: abbiamo portato il nostro contributo di conoscenza critica nel dibattito sul referendum costituzionale del 2016; abbiamo rinnovato il nostro impegno in difesa dei valori del garantismo penale e del giusto processo, a fronte di scelte di diritto penale espressivo-simbolico e di torsioni regressive, e dei valori dell’eguaglianza, della solidarietà e della dignità delle persone, oltre che della funzione emancipatrice dei diritti fondamentali, a fronte di politiche regressive sull’immigrazione e sulla sicurezza.
Abbiamo agito al nostro interno con lo strumento della critica dei provvedimenti e delle prassi, e nella consapevolezza che ad ogni magistrato è richiesta un’elevata professionalità per difendere la propria indipendenza e per garantire, attraverso la motivazione delle sue decisioni, la chiara, inequivoca e fondamentale equidistanza dalle parti e dagli interessi in gioco. È qui, in questo punto, che vive e che può essere verificata la vera imparzialità, e che si costruisce il rapporto di fiducia con i cittadini.
Respingiamo ogni accusa di volerci attribuire compiti di opposizione politica generale o di sostegno ad una parte politica. Ribadiamo la nostra consapevolezza che il diritto e i diritti agiscono da limite al potere, e che solo il rispetto dei diritti e delle regole ci rende sempre attenti ai limiti della nostra funzione e della nostra azione.
Questa consapevolezza ci accompagna nel tentativo di declinare nell’attualità la nostra storia e di confrontarci con tutte le riflessioni, anche di autocritica, che ci impone il presente e alle quali non ci siamo mai sottratti. Per questo non ci limitiamo a contrastare l’accusa di strumentalità, ma vogliamo evidenziare alcuni punti di riflessione che, guardando al passato, ci diano indicazioni per il futuro.
- È necessario ripartire dal metodo di una politica associativa aperta al confronto e all’ascolto, e pronta a mettersi in discussione. Per questo occorre una seria analisi autocritica, anche nel nostro gruppo e in tutto il fronte della magistratura progressista, rispetto alle dinamiche associative che in questi anni hanno seguito la logica dei “migliori”, dei “lungimiranti”, di chi ritiene di avere la competenza e la capacità di scegliere in autonomia, o al più in circoli chiusi e ristretti di “ottimati”. Sono queste dinamiche che hanno contribuito alla formazione di luoghi di decisione nei gruppi, distanti da quelli aperti del confronto interno, e che hanno concorso alla creazione di un assetto oligarchico, sottratto al controllo democratico che il confronto aperto nel gruppo garantisce. Questo assetto è risultato funzionale a pratiche consociative di gestione del potere e ad una sua amministrazione nell’autogoverno in funzione delle aspettative dei singoli, espressione del nuovo carrierismo e della involuzione culturale subita dalla magistratura. Il precipitato di caduta etica e opacità che ha riguardato anche esponenti di tutta la magistratura progressista – sul quale non intendiamo chiudere gli occhi – non si ripeterà se questione morale e controllo democratico cammineranno di pari passo.
- Lo scandalo delle nomine, esploso proprio in relazione alla scelta del dirigente di un ufficio requirente, ha riproposto con maggiore urgenza anche il tema di riflessione rappresentato dal ruolo delle Procure, dalle modalità con le quali esercitano i loro poteri, dalla sfera di discrezionalità che li caratterizza, dai criteri di trasparenza delle scelte e della loro azione, dalla capacità di rendiconto e, più in generale, dalla compatibilità dell’assetto delle Procure con quello della giurisdizione, quale risulta dalla Costituzione e dal principio costituzionale del potere diffuso. Una compatibilità che richiede di recuperare con urgenza gli anticorpi culturali rappresentati dalla visione costituzionale della magistratura fondata sulla pari dignità e sull’eguaglianza delle funzioni.
- Serve riprendere in mano un progetto di cambiamento reale ed effettivo della magistratura che ci coinvolga tutti. Le reazioni mediatiche di questi giorni e le evidenti strumentalizzazioni di cui la magistratura intera è vittima ci chiamano tutti ad assumere la responsabilità di trovare strade comuni per un futuro che garantisca autonomia ed indipendenza alla giurisdizione. Occorre comprendere e far valere le responsabilità collettive e individuali, ma non sarà la gara a chi è stato più puro ad indicarci la via. E il percorso di rinnovamento non si esaurisce nella individuazione delle responsabilità: sarà piuttosto il punto di partenza per decidere su quali basi rilanciare il futuro dell’associazionismo, in un confronto aperto e senza pregiudizi, di cui Magistratura democratica vuole essere parte e soggetto promotore.
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