Dal Consiglio nazionale
Non esiste un dovere di transizione “decorosa”
La morte di Cloe Bianco non può lasciare indifferenti.
Non ci lascia indifferenti, non solo come cittadini e cittadine, ma prima come magistrati e magistrate di questa Repubblica cui spetta di rimuovere gli ostacoli di fatto che impediscono una vera uguaglianza.
Perché la professoressa Bianco aveva chiesto nel processo che fosse riconosciuto il suo diritto a essere quella che sentiva di essere, aveva chiesto di dichiarare che quello che lei era (una donna, non un uomo vestito da donna, come invece affermato anche ieri da una importante esponente delle istituzioni pubbliche) non rappresentava alcuna violazione degli obblighi del suo lavoro di insegnante. Nel processo ha avuto torto.
È stata una decisione sbagliata, non moralmente o eticamente non condivisibile, ma giuridicamente sbagliata.
Perché i divieti di discriminazione proteggevano la diversità della prof. Bianco e quindi impedivano che quella diversità potesse essere qualificata inadempimento disciplinarmente sanzionabile.
Già con una decisione del 1996 infatti, (la sentenza Cornwall County Council), la Corte di Giustizia, ha affermato che “il diritto di non essere discriminato in ragione del proprio sesso costituisce uno dei diritti fondamentali della persona umana” e che l’applicazione di un tale divieto non può“essere ridotta soltanto alle discriminazioni dovute all’appartenenza all’uno o all’altro sesso”.
Al contrario esso deve applicarsi anche alle discriminazioni che hanno origine, come nel caso rimesso al giudizio della Corte, nel mutamento di sesso.
In quella decisione il giudice dell’Unione ha anche affermato che “siffatte discriminazioni si basano essenzialmente, se non esclusivamente, sul sesso dell’interessato” e che, quindi, “una persona, se licenziata in quanto ha l’intenzione di sottoporsi o si è sottoposta ad un cambiamento di sesso, riceve un trattamento sfavorevole rispetto alle persone del sesso al quale era considerata appartenere prima di detta operazione”, per poi sostenere che “il tollerare una discriminazione del genere equivarrebbe a violare, nei confronti di siffatta persona, il rispetto della dignità e della libertà alle quali essa ha diritto e che la Corte deve tutelare”.
E analoghi principi la Corte ha affermato nelle pronunce: Causa C-117/01
K.B. v. National Health Service Pensions Agency and Secretary of State for Health e Causa C423/04, Sarah Margaret Richards contro Secretary of State for work and pensions.
Merita poi aggiungere come la protezione contro le discriminazioni dovuta alle persone trangender non sia limitata a coloro che abbiano ultimato l’iter l’iter medico/giudiziario/amministrativo di mutamento del sesso, ma sia necessariamente estesa anche quelle che hanno intenzione di darvi inizio, come affermato già dalla Corte di Giustizia in motivazione in Cornwall County Council e come ribadito nella causa A.P., Garcon et Nicot c. Francia, ric. N. 79885/12, secondo cui riconoscere l’identità di genere delle persone transgender solo in caso di compimento di un’operazione o di un trattamento di sterilizzazione, a cui non si vuole essere sottoposti, significa subordinare l’esercizio del diritto alla rinuncia al pieno esercizio del diritto della integrità fisica e che richiedere l’irreversibilità della trasformazione integra violazione, da parte dello Stato, di un suo obbligo positivo di garantire il diritto al rispetto della vita privata, con conseguente violazione dell’art. 8 Cedu.
Né certo può dirsi che il diritto della professoressa Bianco alla propria identità potesse legittimamente esercitarsi, anche nell’ambito del suo rapporto di lavoro, solo in modo che fosse tollerabile per la comunità scolastica, o che quella comunità avesse diritto di interferire con le manifestazioni di quell’identità.
Con l’ordinanza 185/2017 infatti la Corte Costituzionale, a fronte dell’affermazione del giudice remittente secondo cui il mutamento dei caratteri sessuali secondari non dovrebbe ritenersi condizione idonea alla rettificazione del sesso, in quanto l’esplicazione del diritto della persona transessuale alla propria identità personale dovrebbe essere bilanciato con quello della collettività a non essere costretta «ad elaborare regole di comportamento certamente molto lontane dalla tradizione secolare», ha al contrario affermato che “la denunciata imposizione di un onere di adeguamento da parte della collettività non costituisce affatto una violazione dei doveri inderogabili di solidarietà, ma anzi ne riafferma la perdurante e generale valenza, la quale si manifesta proprio nell’accettazione e nella tutela di situazioni di diversità, anche «minoritarie ed anomale».
L’amministrazione scolastica, i genitori, gli allievi non avevano quindi diritto di pretendere un coming out “corretto” o “responsabile”, avevano invece l’obbligo giuridico di rispettare l’identità della prof. Bianco.
Il fatto che non sia successo è anche responsabilità del sistema giudiziario, una responsabilità che sentiamo come nostra, di ciascuno di noi. L’unico modo per onorare la memoria della prof. Bianco e riparare al torto che le è stato fatto è diffondere anche al nostro interno la cultura del rispetto delle diversità come espressione dei doveri inderogabili di solidarietà affermati così chiaramente dalla Corte Costituzionale.
documento del Gruppo Lavoro di MD, approvato dal Consiglio nazionale
PER APPOFONDIMENTI - https://www.questionegiustizia.it/articolo/sei-libera-ed-eguale-a-patto-che-gli-altri-lo-accettino
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