Noi siamo giudici professionali, la nostra legittimazione si fonda sulla competenza, sulla conoscenza del diritto. La formazione dei magistrati, l’acquisizione da parte loro di nuove conoscenze, l’aggiornamento di quelle che già possiedono, è quindi un dovere professionale primario.
E tuttavia non è certamente un’attività neutra perché il diritto, diversamente da altre scienze, è sapere tecnico e linguaggio, ma anche strumento di governo della polis. Attraverso la formazione non impariamo quindi solo nuove regole, ma anche la consapevolezza di quale debba essere il nostro ruolo, rispetto alla legge, al precedente, alle regole extragiuridiche, ai cambiamenti del mondo che entrano nelle nostre aule; impariamo in ultima analisi che posto occupiamo, che posto occupa la giurisdizione nella mediazione di interessi che il diritto costruisce.
Che la formazione non sia attività neutra è diventato in tempi recenti molto evidenti. Per esempio quando, nel corso dell’ultima assemblea generale dell’ANM, una collega magistrata in tirocinio ha riferito di come il secondo (il secondo!) giorno di servizio dei MOT appena nominati fosse stato dedicato interamente alla formazione circa la responsabilità disciplinare. O ancora se guardiamo a quanto contino nella nostra formazione attuale gli aspetti organizzativi, ma l’organizzazione sia essenzialmente incentrata sul dato numerico statistico, che è ritenuto ormai abbastanza generalmente il primo criterio di valutazione dell’adeguatezza del nostro lavoro. O nei richiami, anche molto autorevoli, alla certezza del diritto, quindi all’uniformità delle decisioni, che è certo un valore, ma che può sacrificarne altri, specialmente in un tempo di cambiamenti grandi e molto rapidi. O infine alle vicende legate all’introduzione nei processi della digitalizzazione e degli strumenti informatici.
Tutti e tutte noi abbiamo quindi il dovere di curare la nostra formazione, ma anche di esserne attori, pienamente consapevoli di quanto essa possa essere strumento di governo della magistratura e di quanto invece è necessario che sia garanzia di indipendenza, da ogni interferenza esterna e interna, ma anche dai nostri stessi pre-giudizi, di persone che vivono in una società e in un tempo dato. E le associazioni dei magistrati, a partire dall’ANM, dovrebbero prendere parola perché l’attenzione per i numeri e per la certezza non finisca per travolgere il dovere di una decisione adeguata e comprensibile, capace di avvicinare il più possibile il processo alla concreta verità dei fatti e assicurare alle persone diritti effettivi.
Di questi temi Md Toscana vuole provare a discutere insieme: di formazione e produttivismo, di linguaggio dei giudici e PM, di accertamento del fatto e saperi extragiuridici, di cosa ci accade quando cambiano radicalmente gli strumenti del nostro lavoro, come è successo con la digitalizzazione. Abbiamo invitato a partecipare a questa discussione comune i nostri colleghi Francò Attinà, Stefano Celli, Giulia Locati, Anna Mori, Simone Spina, che sono candidati al CDC, perché riteniamo quello della formazione un tema centrale per l’indipendenza dei giudici e quindi per l’associazionismo giudiziario.
Potete seguire l’evento da remoto su questo link