Sono un magistrato che viene da una regione remota, il Piemonte

Assemblea nazionale Anm del 26 novembre 2023

Sono un magistrato che viene da una regione remota, il Piemonte

Giulia Marzia Locati
giudice del Tribunale di Torino


E sono qui, oggi, perché ho due preoccupazioni.


1.      La prima nasce da una frase che nei giorni immediatamente successivi alla “questione Apostolico” abbiamo sentito tante volte: i Magistrati non possono mettere nel nulla decisioni prese da un governo democraticamente eletto. È un’idea legittima, semplicemente bisogna essere consapevoli che si colloca al di fuori del nostro sistema costituzionale. Nella democrazia parlamentare, infatti, il governo non è eletto dal popolo (come alcuni vorrebbero), perché il popolo elegge solo il parlamento. E la differenza non è banale, perché il cuore del nostro sistema democratico e rappresentativo dovrebbe essere il parlamento.

Inoltre, quando il Giudice ravvisa contrasto tra una decisione di rango governativo, o anche parlamentare, e una fonte superiore (Costituzione, Cedu, Fonti Europee) non può, ma deve, risolvere il contrasto a favore delle fonti superiori.

Chi ha fatto quell’affermazione presuppone che il nostro modello costituzionale sia superato, e le riforme che si preannunciano vanno proprio in quella direzione.

Ebbene, c’è stato un tempo in cui i giudici erano obbligati ad applicare solo la legge, anche quando in contrasto con i diritti e i principi fondamentali: è stato il tempo delle leggi razziali e dell’olocausto, tempo in cui non vorremmo tornare.


2.      La seconda preoccupazione nasce dall’intervento del segretario generale dell’associazione, laddove ha fatto riferimento alla categoria dell’inopportunità: la collega Apostolico avrebbe cioè tenuto una condotta non opportuna per un magistrato, che deve non solo essere, ma anche apparire imparziale. Io credo che questo sia un discorso molto pericoloso: valutare l’imparzialità, e anche la sua apparenza, non dalla concreta conduzione delle udienze e dal modo in cui vengono decisi i processi, ma da come un collega o una collega conduce la propria vita privata, significa pensare che il magistrato non debba vivere nel mondo reale. Noi possiamo andare in moschea il venerdì, in sinagoga il sabato o in chiesa la domenica, e possiamo e dobbiamo giudicare di liti familiari. Possiamo amare il nostro animale da compagnia e non per questo non saremo sereni nel giudicare il reato di maltrattamenti su animali. Affermare che ciò che facciamo nella nostra quotidianità ci rende parziali, significa ignorare che ci rende solamente più umani, consapevoli di cosa sia quell’umanità che dobbiamo giudicare, restando imparziali non perché indifferenti al mondo, ma ai concreti interessi del processo. Credo allora che si debba passare dalla categoria dell’opportunità a quella della legalità, e affermare con forza che anche noi abbiamo il diritto di manifestare le nostre opinioni, nelle forme e nei limiti riconosciuti dalla Costituzione.

Ho avuto di recente la fortuna di ascoltare delle colleghe ucraine e polacche: in quei paesi ai giudici è vietato persino parlare nelle università. Il presidente Santalucia ci chiedeva in apertura di riflettere in che direzione ci stiano conducendo questi attacchi: io vorrei evitare di ritrovarmi in Polonia e in Ungheria, senza aver fatto nulla.

04/12/2023

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