dal CSM
In Consiglio ci interessa
Domenica [Mimma] Miele è consigliera del CSM, eletta con Magistratura democratica. Con regolarità e accuratezza ci informa di quello che accade al Consiglio Superiore della Magistratura.
Dai suoi resoconti il Gruppo comunicazione di Magistratura democratica intende trarre alcuni spunti per fornire i termini essenziali di quello che ci interessa, perché riguarda (che lo sappiamo o no, che lo vogliamo, o no) la quotidianità della giurisdizione.
In occasioni recenti, esaminate nei report di Mimma Miele, il Consiglio superiore della Magistratura si è occupato di nomine di direttivi e semidirettivi con orientamenti diversi
Questi primi mesi di lavoro del Consiglio Superiore ci restituiscono plasticamente la problematicità della valutazione nelle nomine degli uffici direttivi e semidirettivi
Meritano una riflessione collettiva alcune proposte contrapposte (Procuratore SMCV, Avvocato generale Procura Generale Bologna e Presidente Tribunale Torino) discusse nell’assemblea plenaria, che evidenziano due orientamenti molto diversi, espressione entrambi di esercizio pieno della discrezionalità amministrativa caratterizzante l’organo di governo autonomo.
Da un lato vi è l’orientamento che ritiene prevalente, nel giudizio comparativo, il profilo del magistrato che ha già esercitato funzioni direttive; una prevalenza quasi assoluta, anche nel caso in cui l’esercizio del direttivo riguarda un ufficio specializzato mentre l’ufficio da ricoprire è un semidirettivo di merito di secondo grado che richiede, soprattutto alla luce delle novità introdotte dalla riforma Cartabia, una competenza/esperienza diversa e più ampia di quella tipica degli uffici specializzati. Così è avvenuto per la copertura del ruolo di Avvocato Generale presso la Procura Generale di Bologna in cui è stato nominato un magistrato attualmente Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni di Milano, che ha svolto tali funzioni specializzate per ben 20 anni a fronte di 27 anni complessivi di esercizio delle funzioni requirenti. Non senza considerare che l’aver svolto funzioni specializzate in uffici minorili e di sorveglianza è requisito attitudinale prevalente solo se si concorre per la direzione di tali uffici.
Una prevalenza del direttivo che rischia di creare un circuito separato e difficilmente accessibile a chi non esercita queste funzioni, e in assenza di una disposizione normativa che stabilisca una temporaneità effettiva, struttura un vero e proprio percorso di carriera (prima la direzione di un ufficio piccolo, poi di uno medio per approdare infine a uno di grandi dimensioni). E’ vero che in caso di esercizio positivo delle funzioni direttive non è utile disperdere la “professionalità” acquisita, ma occorre interrogarsi sulla bontà di tale “circuito della dirigenza”, sulla compatibilità con il principio costituzionale della parità delle funzioni, oltre che valutare seriamente gli effetti che la restaurazione di un tale percorso di carriera ha generato all’interno della magistratura negli ultimi anni.
L’altro orientamento, che vede al momento un nucleo di consiglieri abbastanza stabile nel voto, privilegia di volta in volta il percorso professionale del magistrato (avuto riguardo alla rilevanza e poliedricità della attività giurisdizionale svolta e alle capacità organizzative e di relazione in concreto dimostrate) ritenuto più idoneo a ricoprire quell’incarico specifico, ponendo tutti i profili professionali in comparazione tra loro, alla luce degli indicatori generali e specifici che dettagliano la normativa primaria, in un giudizio unitario complessivo che guarda da un lato all’intero percorso professionale del magistrato dall’altro alle peculiarità specifiche e territoriali dell’ufficio da ricoprire e nel contempo rifugge da ogni automatismo e mero calcolo aritmetico.
Un orientamento forse più impegnativo per quanto attiene alla valutazione comparativa ma che meglio risponde al TU della dirigenza e alla stessa giurisprudenza amministrativa: trovare un giusto punto di equilibrio tra il principio di legalità e l’irrinunciabile esigenza di tutelare il potere di autodeterminazione consiliare, che deve sempre orientarsi alla scelta del migliore dirigente da preporre al posto da coprire, nel rispetto del superiore interesse pubblico. Ciò anche al fine di arrestare tentativi di degradazione della discrezionalità consiliare a mera discrezionalità tecnica.
Ed ecco che, ad esempio, nella nomina del procuratore di SMCV è stato considerato rilevante l’aver esercitato funzioni di coordinamento nazionale (indicatore espressamente previsto dalla normativa primaria: art. 12 comma 10 del d.l.vo 160/2006, come modificato dall'art.2 comma 3 della legge 111 del 2007) oltre alla conoscenza del territorio e della criminalità che lo caratterizza (Articolo 32 del TU - Criteri di valutazione per uffici collocati in zone caratterizzate da rilevante presenza di criminalità organizzata di tipo mafioso, indicatore ritenuto di pari grado a quelli specifici, non avendo diversamente alcuna rilevanza effettiva), elementi entrambi prevalenti rispetto allo svolgimento di un incarico direttivo in un ufficio di procura di piccole dimensioni, che caratterizzava la proposta contrapposta.
Ed ancora nella nomina del presidente del Tribunale di Torino è stato dato particolare rilievo all’incarico semidirettivo svolto anche in un ufficio di grande dimensione dal magistrato proposto, anche nel suo ruolo di vicario, raggiungendo risultati organizzativi particolarmente significativi, rispetto allo svolgimento di un incarico direttivo in un ufficio di piccola dimensione (ruolo ricoperto dal magistrato destinatario di altra proposta poi risultato soccombente) che ha problematiche organizzative di tutt’altra complessità. Al riguardo vi è anche il conforto della giurisprudenza amministrativa laddove ritiene che non può esservi prevalenza automatica del direttivo sul semidirettivo, potendo risultare quest’ultimo maggiormente “specializzante” considerando le dimensioni dell’ufficio, la qualità e complessità della giurisdizione e dell’amministrazione della stessa. (Tar Lazio, sez. I, n. 2696/2021 e Cons. Stato n. 310/2021).
Certo anche in questo caso sarebbe opportuna qualche riflessione in particolare sulla rilevanza da attribuire al ruolo di vicario, che dipende dalla scelta del singolo dirigente e non è ancorato a criteri del tutto oggettivi, soprattutto in ragione del peso che assume nel percorso professionale futuro e nello stesso concetto di “carriera”.
Su queste due diverse e contrapposte impostazioni, che emergono chiaramente nelle motivazioni delle diverse delibere e nel conseguente dibattitto plenario, vi è stata una aggregazione di voto abbastanza stabile tra i consiglieri togati e laici. Il risultato finale è dipeso dall’orientamento di voto di qualche componente laico e/o togato.
L’orientamento che vede prevalere in ogni caso chi ha già esercitato un incarico direttivo è risultato maggioritario nelle procedure di nomine del procuratore di SMCV e dell’Avvocato generale di Bologna, diversamente dal Presidente del Tribunale di Torino dove è prevalso l’orientamento opposto.
Quando muta il parametro stesso di valutazione nelle singole delibere di nomine, e si assiste all’altalenante prevalenza dell’uno o dell’altro criterio, non vi è il rischio concreto di rendere meno comprensibile e ragionevolmente prevedibile l’azione del Consiglio?
Un interrogativo che richiederebbe una riflessione ampia e collettiva, soprattutto in questo contesto storico in cui è necessario riacquistare fiducia nell’operato del Consiglio Superiore e conseguentemente comprendere le scelte effettuate e la loro coerenza generale quale legittimo esercizio della discrezionalità amministrativa.
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