Sono entrata in Magistratura nel 1989; ero attratta da questo percorso anche perché ho sempre creduto che in un ordinamento democratico fondato su una Carta Costituzionale che vede il principio di eguaglianza anche sostanziale e la tutela dei diritti come cardini del sistema, le regole di diritto servano soprattutto a proteggere i soggetti deboli (i forti si tutelano benissimo da soli!).
È stato dunque naturale, appena entrata, rivolgermi alla corrente (si chiamavano così, senza l’accezione negativa degli ultimi anni) che meglio incarnava quella concezione, Magistratura democratica.
Il mio settore di attività è sempre stato quello penale: sono stata pubblico ministero a Torino, giudice penale collegiale e monocratico; Gip/Gup (funzione impegnativa e meravigliosa!) a Ravenna; dal 2011 giudice della Corte d’Appello di Bologna; ora sono in Corte di Assise.
Amo il diritto penale perché è un misto di tecnica giuridica a volte molto raffinata e di umanità varia e spesso disperata; nell’occuparmi di reati economici ho visto che tutto ciò che lede quel tessuto crea diseguaglianza, disagio, sofferenza che a volte sono il presupposto di reati violenti, basti pensare che le ultime aggressioni a colleghi sono maturate in contesti civilistici.
Mi sono occupata anche di misure di sicurezza applicabili agli imputati infermi di mente (gli ultimi degli ultimi!) partecipando a un tavolo di lavoro regionale insieme ad altri colleghi, a psichiatri e operatori UEPE. Mi interesso di bioetica, in particolare dei temi di fine vita, e di responsabilità professionale dei sanitari.
Dal 2016 al 2020 sono stata componente del Consiglio giudiziario di Bologna, esperienza che mi ha consentito di conoscere la materia ordinamentale, sempre più essenziale nell’esercizio della giurisdizione e sempre meno “neutra”.
Non mi sono mai pentita di aver scelto questo lavoro – questo servizio – e mi piacerebbe che l’Istituzione riacquistasse la credibilità e la dignità che sembra a volte avere perso.