La recente circolare del Ministero dell’Interno relativa al
rintraccio e alle espulsioni degli stranieri irregolari e al programma
di riapertura dei CIE sembra riproporre soluzioni che si sono rivelate
errate e controproducenti in materia di rimpatrio dei cittadini dei
Paesi terzi in posizione irregolare sul territorio dello Stato.
La
paventata riapertura dei CIE nei territori delle Regioni italiane e il
rafforzamento delle azioni di allontanamento coattivo degli stranieri
irregolari rischiano di impegnare risorse pubbliche nel perseguire tali
soluzioni, sottraendole a efficaci strategie di integrazione e di
contrasto al radicamento del terrorismo.
Il fallimento della
scelta dei trattenimenti nei CIE è sotto gli occhi di tutti, illustrato
anche dai rapporti e dalle relazioni delle Commissioni parlamentari – da
ultimo, dall’aggiornamento 2017 del Rapporto sui Centri di
identificazione ed espulsione in Italia a cura della Commissione per la
tutela dei diritti umani del Senato – e testimoniato, ancora una volta,
dalle recenti vicende che hanno riguardato il CPA di Cona dove, in
seguito al decesso di una donna ivoriana richiedente asilo, sono emerse
condizioni di vita incompatibili con il rispetto della dignità.
La
riapertura dei CIE rischia di farci imboccare quella pericolosa china
di bagattellarizzazione della privazione della libertà personale, che in
passato si è tradotta in applicazione di vere e proprie misure
detentive comminate a persone non autrici di reato, in assenza di
adeguata riserva di giurisdizione (art. 13, comma 2, Cost.) e delle
garanzie di Ordinamento penitenziario; misure, inoltre, espiate in
luoghi e condizioni tali da comportare spesso la violazione dell’art. 3
CEDU in materia di trattamenti inumani e degradanti, come ammonisce, a
tacer d’altro, la sentenza CEDU, Grande Camera 15 dicembre 2016,
Khlaifia c. Italia.
Ripercorrere la stessa strada, senza che siano
cambiate le condizioni di partenza umane, giuridiche, materiali e
logistiche, comporterebbe il rischio di privare i cittadini stranieri
irregolari del godimento dei diritti fondamentali e dello status di
persona. In questo clima, peraltro, si amplificherebbe il pericolo di
contribuire ulteriormente alla creazione di sacche di consenso per i
fenomeni criminali, prima di tutto quello terrorista, e di attivare
fenomeni di radicalizzazione.
Magistratura democratica, in pieno
accordo con quanto già rilevato dall’ASGI e da moltissime altre
associazioni e organizzazioni operanti nel campo dell’assistenza ai
migranti, auspica che si scelga una via diversa, ed in particolare:
1.
Limitazione degli strumenti di allontanamento coattivo, compresa la
misura del trattenimento nei CIE, ai casi estremi, caratterizzati da un
intenso pericolo di fuga e da una concreta e significativa pericolosità
sociale, non desumibile dalla semplice irregolarità nel soggiorno o
dalla mera mancanza di documenti; in accordo, del resto, con i principi
di volontarietà, proporzionalità e gradualità fatti propri dalla
Direttiva 2008/115/CE;
2. Sostegno e incentivazione dei
rimpatri volontari assistiti, misura in grado di garantire un rientro
consapevole e sicuro, anche attraverso l’eliminazione del divieto del
reingresso per gli stranieri irregolari che prestano collaborazione alla
loro identificazione e al rimpatrio;
3.
Implementazione dei sistemi per anticipare l’identificazione al momento
dell’ingresso negli Istituti di pena dei detenuti stranieri condannati,
conformemente a quanto previsto dal d.lgs n. 146/2013;
4.
Ricollocamento degli strumenti di allontanamento coattivo nella piena
legalità costituzionale, attraverso l’attribuzione ai giudici
professionali del controllo sui provvedimenti di trattenimento;
5.
Previsione della possibilità per i giudici che si occupano di convalide
e di proroghe dei trattenimenti nei CIE di effettuare visite periodiche
presso tali centri;
6. Riduzione del termine massimo
di 12 mesi previsto per il trattenimento nei CIE dei richiedenti asilo, a
fronte del termine massimo di 90 giorni oggi previsto per il
trattenimento ordinario;
7. Riesame delle procedure
con le quali vengono siglati gli accordi bilaterali di riammissione,
accordi spesso non coperti dalle garanzie e dalla trasparenza del
diritto dei trattati, sottratti al controllo del Parlamento e ridotti al
rango di protocolli operativi tra polizie.
Sono questi solo
alcuni dei temi che, unitamente a quello fondamentale delle garanzie
processuali dei richiedenti asilo, intendiamo riproporre all’attenzione,
oltre che del dibattito pubblico, anche della magistratura associata ed
in particolare dell’Associazione nazionale magistrati, che già in
passato su questi temi si è autorevolmente distinta per posizioni
attente al rispetto dei diritti fondamentali.
Non si tratta di
eccessi di garantismo ma di affrontare un vasto fenomeno sociale in modo
realistico e civile perché la democrazia si difende applicando in ogni
situazione i principi del rispetto della libertà individuale e della
dignità.
Il Comitato Esecutivo di Magistratura democratica, 13 gennaio 2017