Comunicati
Magistratura democratica sulle iniziative disciplinari del Ministro della giustizia nel caso Artem Uss
La notizia dell’esercizio dell’azione disciplinare da parte del Ministro della giustizia nei confronti dei giudici della Corte d’Appello di Milano, nel caso dell’imprenditore russo Artem Uss, non può che destare sconcerto e viva preoccupazione, rappresentando una inedita, non consentita e pericolosa interferenza del Ministero nell’esercizio della giurisdizione.
L’iniziativa disciplinare del Ministro della giustizia che ascrive ai magistrati coinvolti nella decisione «un comportamento connotato da grave ed inescusabile negligenza», è in evidente contrasto con l’art. 2 del decreto legislativo n. 109 del 2006, secondo cui «l'attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove non danno luogo a responsabilità disciplinare».
In un caso come quello milanese – in cui il provvedimento in questione non è stato neppure impugnato dalla Procura Generale e appare frutto di un’equilibrata, seppure soggetta a critica, valutazione dei contrapposti interessi in gioco – non può sussistere «la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile» o «il travisamento dei fatti determinato da negligenza inescusabile» che giustificano l’esercizio dell’azione disciplinare.
Va rammentato come la sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, che rappresentano in ogni caso una modalità di esecuzione della custodia cautelare, e per di più ricorrendo all’ulteriore modalità di controllo del braccialetto elettronico, rappresenta una modalità di esecuzione di misura cautelare tendenzialmente preferibile a quella carceraria, quando c’è la disponibilità di un domicilio idoneo, in ragione del principio di estrema residualità della carcerazione preventiva; si tratta di principio significativamente promosso proprio dall’attuale Ministro, quando si è pubblicamente schierato a favore del referendum dell’anno scorso, che tendeva a ridurre significativamente l’applicazione della custodia in carcere, con l’effetto - sosteneva allora l’attuale Ministro - di “renderla compatibile con il principio costituzionale di presunzione di innocenza” (dall’Intervista dell’attuale Ministro della giustizia a Il Dubbio, del 28 aprile 2022).
Questo non significa, ovviamente, che si tratti di una soluzione sempre e comunque preferibile, dipendendo dal caso concreto; ma tanto basta a far capire che la decisione dei giudici di Milano rappresenta un atto perfettamente rientrante nella fisiologia della giurisdizione e, anzi, adeguatamente motivato nel segno del bilanciamento tra le esigenze cautelari ed i principi costituzionali.
Peraltro, guardando al merito della decisione, va evidenziato che, nella valutazione sul pericolo di fuga dell’imputato, non possono assumere rilievo eventuali informazioni riservate in possesso dei servizi informativi, per definizione non accessibili alla magistratura e della cui valutazione sono responsabili solo gli apparati di sicurezza.
In ogni caso, va ribadito che il vaglio sulle esigenze cautelari è riservato alla giurisdizione e ai meccanismi di impugnazione e verifica che le sono propri, senza preclusioni anche per un ampio diritto di critica pubblica che non può, però, degradare nell’incongruo avvio di procedimenti disciplinari. Questi, infatti, costituiscono una grave ingerenza governativa nelle modalità di esercizio della giurisdizione e nell’esercizio delle scelte del giudice, minando il principio di separazione dei poteri che governa la nostra democrazia.
Non è, quindi, prerogativa del Ministro entrare nel merito di una decisone pacificamente inserita nei binari della fisiologia giudiziaria e pregevolmente motivata nel segno del bilanciamento tra esigenze cautelari e principi di garanzia. Piuttosto, se il Ministero volesse interessarsi di questa vicenda restando nei limiti delle proprie funzioni, farebbe bene a chiedersi che cosa non ha funzionato nel meccanismo di controllo elettronico, la cui applicazione è proprio funzionale a impedire l’evasione del detenuto, dovendo il braccialetto elettronico - se funzionante - inviare un segnale, che fa scattare l’immediato controllo delle forze di polizia non appena il detenuto esce dal perimetro dell’abitazione ovvero cerca di manometterlo.
L’interesse del Ministero dovrebbe essere focalizzato sull’adeguatezza degli strumenti che vengono dati ai giudici per attuare le esigenze cautelari, e quindi sull’adeguatezza ed efficienza dei relativi appalti, perché su questi strumenti i giudici fanno affidamento nel momento in cui la legislazione non solo li prevede ma addirittura affida loro il compito, costituzionalmente importantissimo, di conciliare le esigenze del pericolo di fuga e di protezione delle vittime, con una tendenziale riduzione al minimo della carcerazione preventiva. Anche sotto questo profilo, l’azione disciplinare appare un tentativo di scaricare sulla magistratura le inefficienze dei servizi e delle dotazioni di competenza ministeriale, in spregio alla leale collaborazione che dovrebbe garantire la qualità del sistema giustizia: e questo proprio nel momento in cui il Ministro è stato chiamato dal Parlamento a rendere conto della vicenda.
L’iniziativa disciplinare ministeriale suscita grave preoccupazione perché costituisce un grave precedente che potrebbe legittimare anche in futuro una censura del merito giurisdizionale, per via disciplinare, con grave pregiudizio per la libertà del giudice di determinarsi in scienza e coscienza, prescindendo dai desiderata governativi.
Occorre rendere tutti consapevoli che un uso della “leva del disciplinare” da parte del Ministro della giustizia, teso ad operare pericolosi condizionamenti sul fisiologico esercizio della funzione giudiziaria, rende i cittadini più esposti e indifesi, costituendo, perciò, una sostanziale aggressione alle libertà costituzionali fondamentali.
Ci auguriamo che tutta la comunità giuridica riconosca la gravità del momento e reagisca compatta a questa gravissima iniziativa del Ministro della giustizia. Sotto attacco non ci sono solo i giudici della Corte d’Appello di Milano, ma la libertà e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla giustizia.
L'esecutivo di Magistratura democratica
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