Sulla riforma del sistema elettorale per il Consiglio Superiore della Magistratura

CSM e riforme in cantiere

Sulla riforma del sistema elettorale per il Consiglio Superiore della Magistratura

Le degenerazioni emerse nell’esercizio del governo autonomo della magistratura hanno trovato terreno di coltura anche nei meccanismi elettorali di elezione del Consiglio superiore della magistratura. Si impone pertanto una riforma del sistema elettorale. Magistratura democratica esprime contrarietà alle ipotesi di selezione dei componenti del CSM fondate sul sorteggio e sulla base di modelli elettorali di stampo maggioritario. È necessario un modello elettorale che assicuri una rappresentazione plurale della magistratura: equilibrata nella rappresentanza delle ispirazioni culturali, dei generi, dei territori. In questo senso, Magistratura democratica esprime apprezzamento per la proposta elaborata dalla Commissione Luciani, auspicando che – su di essa – si sviluppi un dibattito parlamentare che coinvolga nella riflessione anche la magistratura.

1. La necessità di una riforma del sistema elettorale del CSM / 2. Alcune proposte sul tappeto che non condividiamo / 3. La necessità di un sistema che assicuri pluralismo: la proposta della Commissione Luciani / 4. La necessità di assicurare una equilibrata rappresentanza di genere / 5. L’auspicio di un dibattito aperto sulla riforma in cantiere 

 

1.     La necessità di una riforma del sistema elettorale del CSM

 

L’ennesimo richiamo del Presidente Mattarella alla necessità di una rigenerazione etica e culturale della magistratura si incrocia, con fortunato tempismo, con le garanzie prestate dalla Ministra Cartabia all’imminente definizione della riforma del CSM e, in particolare, del suo sistema elettorale.

Le cronache ci raccontano della degenerazione dell’associazionismo giudiziario trasformato da momento di confronto tra sensibilità culturali e giuridiche differenti (da cui scaturiscono diverse proposte di politica giudiziaria) ad occasione e strumento per la gestione ed il mantenimento di posizioni di potere, fondate, anche, sul clientelismo elettorale; tali posizioni di potere hanno avuto un formidabile impulso dall’attuale sistema elettorale. 

Ne discende l’indefettibile urgenza di una riforma che, prima della scadenza elettorale di luglio 2022, proponga un metodo di selezione che faccia tesoro della negativa esperienza passata, impedendo il ripetersi delle condizioni che hanno provocato quell’insana degenerazione che tanto discredito ha portato all’autorevolezza della magistratura. Una vergogna da non ripetere, ma che non può essere dimenticata.

L’esperienza passata ci insegna che l’azione dei gruppi associati è stata fortemente condizionata da nuclei di potere a carattere regionale ovvero da leadership personali a cui larga parte della magistratura ha chiesto garanzie di protezione e rassicurazioni in ordine alle prospettive di carriera. L’attuale sistema elettorale ha consentito a quelle oligarchie correntizie la gestione di candidature bloccate che hanno svilito il confronto tra i gruppi associati e persino all’interno di ogni gruppo ostacolando, di conseguenza, la più ampia ed autentica rappresentanza delle varie sensibilità che percorrono la magistratura. La paura di incorrere in disavventure disciplinari o, comunque, di non vedere turbato il proprio percorso professionale e l’ambizione rivolta verso scintillanti carriere direttive, hanno costituito la cifra autentica di molte scelte elettorali, consentite dall’attuale sistema. 

Una riforma elettorale del CSM che ambisca ad agevolare il percorso di rigenerazione etica e culturale della magistratura, sollecitata anche dal Presidente Mattarella – e della cui necessità è consapevole e vuole essere protagonista gran parte della magistratura – deve tenere ben presente le cause e le ragioni di quella degenerazione da cui tutti vogliamo emendarci. 

 

2.     Alcune proposte sul tappeto che non condividiamo

 

La disaffezione e la sana frustrazione, generatesi in esito all’annichilimento del dibattito associativo e allo svilimento della sua funzione, ha indotto alcuni a proporre il sorteggio come estremo rimedio alla ritenuta incapacità dei gruppi associati di rigenerarsi. Comprendiamo le ragioni di questo forte dissenso, ma non condividiamo il rimedio proposto; esso – oltre a porsi in frizione con il dettato costituzionale – rappresenta una dichiarazione di resa di una parte della magistratura che giudica l’intero corpo giudiziario incapace di selezionare, e quindi gestire, in modo sano e funzionale, il governo autonomo e preferisce, per ciò, affidarsi alla sorte.

Altri gruppi hanno proposto diverse forme di sistemi elettorali di impronta maggioritaria; si tratta di un metodo che rischia di svilire la possibilità che il Consiglio rappresenti le plurali sensibilità della magistratura, negandone la loro più ampia rappresentanza, in funzione di una migliore “governabilità” delle scelte. Quest’ultima, tuttavia, è estranea alla funzione consiliare che non si regge su un approvato e generico programma di governo, quanto piuttosto su scelte contingenti, fondate su maggioranze variabili: il Consiglio, a differenza del Parlamento, non ha bisogno di esprimere una maggioranza stabile; per contro, la ricerca di governabilità può stimolare e generare stabili accordi, sia in fase elettorale, sia nella successiva gestione del governo autonomo, che rischiano di riproporre proprio quelle dinamiche di potere che stanno alla base delle più recenti degenerazioni. Il sistema elettorale maggioritario, dunque, non costituisce un antidoto a quelle disfunzioni, ma può costituirne il prodromo. 

E questi effetti negativi sarebbero esaltati da un sistema elettorale maggioritario fondato su piccole circoscrizioni elettorali che valorizzerebbero, nella concreta contesa elettorale, la prospettiva di protezione dei singoli e di tutela delle loro ambizioni di carriera, piuttosto che le differenti proposte di politica giudiziaria, capaci di confrontarsi con tematiche complessive di respiro nazionale. E questo senza tenere conto del fatto che proprio l’esistenza di potentati regionali, volti alla tutela di interessi micro-corporativi, sia stata uno dei principali fattori di degenerazione che andrebbero inibiti e non agevolati. 

Si tratta, insomma, di sistema elettorali che non stimolano un consenso fondato su un rendicontabile rapporto di rappresentanza delle varie sensibilità presenti nella magistratura, ma possono contribuire a generare un consiglio di nominati, che garantisce ed implementa la formazione di gruppi che alimentano ancora il clientelismo elettorale, fondato ora sulla paura, ora sull'ambizione smodata. Infine, i sistemi maggioritari non tutelano, né promuovono la pari opportunità tra donne e uomini, violando la necessaria ed equa rappresentatività di genere, tutelata dall’art. 51, comma 1, della Costituzione.

 

3.     La necessità di un sistema che assicuri pluralismo: la proposta della Commissione Luciani

 

Pur nella consapevolezza del fatto che non esistono modelli elettorali “perfetti”, le valutazioni che precedono fanno, dunque, preferire i sistemi proporzionali o almeno quelli con potenziali effetti proporzionali. 

Si tratta, infatti, di sistemi che garantiscono la plurale rappresentatività delle diverse sensibilità presenti in magistratura e sono in grado di dare autentiche chance di successo anche a nuove aggregazioni che si propongano come alternative ai gruppi associati “storici”. Inoltre, quei sistemi ostacolano il consolidarsi di maggioranze precostituite nella gestione effettiva dell’autogoverno e stimolano un costante e progressivo confronto tra sensibilità plurali, generante esiti non preventivabili, raffinando verso l’alto – e proprio grazie al confronto – la qualità delle scelte di politica giudiziaria, obbligando eletti e gruppi che li hanno sostenuti, a renderne conto.

Queste valutazioni ci spingono ad esprimere apprezzamento verso la proposta della Commissione Luciani che – oltre a prevedere un aumento del numero dei componenti del Consiglio (necessario per migliorare la sua funzionalità) – prevede, quanto al modello elettorale, il sistema del c.d. voto singolo trasferibile. 

Si tratta di un modello elettorale che: (a) garantisce una possibilità di partecipazione al confronto elettorale anche a singoli magistrati o a gruppi associativi appena affacciatisi nel panorama associativo, favorendo così il pluralismo anche per l’elettorato passivo; (b) pur conservando il modello del collegio unico nazionale per le categorie dei candidati di legittimità e requirenti, prevede – per i candidati giudicanti di merito – la suddivisione del territorio nazionale in tre collegi di medie dimensioni; si tratta di una previsione che – da un lato – “avvicina” i candidati ai territori; ma che – per converso – rende i candidati sufficientemente distanti da essi, così indebolendo la possibile influenza dei potentati locali, influenza che è alla base di molte degenerazioni; (c) con la previsione che ciascuno dei tre collegi per la categoria giudicanti di merito esprima un numero di eletti di almeno 4-5 consiglieri, assicura un risultato necessariamente rappresentativo della pluralità di ispirazioni culturali che sono presenti nel corpo della magistratura (e, quindi, tendenzialmente proporzionale); (d) con la previsione che ciascun elettore debba esprimere «in ordine decrescente un minimo di tre preferenze e un massimo pari al numero dei seggi assegnati al collegio» – preferenze che poi potranno essere valorizzate al momento dell’assegnazione dei seggi – il sistema favorisce anche l’espressione di voti verso candidati non necessariamente “organici” ad un solo gruppo associativo (favorendo così la possibilità per l’elettore di “riconoscersi” trasversalmente in più candidati); (e) con la previsione di meccanismi che favoriscano l’elettorato passivo di candidature provenienti da ambedue i generi e con la previsione della necessaria espressione di «almeno una preferenza per un candidato di genere diverso da quello degli altri» [ovviamente in caso vi siano candidati appartenenti a più generi], il modello immaginato dalla Commissione Luciani vuole favorire, quantomeno in linea tendenziale, una più equilibrata rappresentanza di genere nell’istituzione consiliare.

Tuttavia, affinché il sistema produca i suoi effetti benefici, è necessario prevedere integrazioni alla proposta della Commissione Luciani che garantiscano un numero di candidati significativo, nonché quote minime di risultato, in funzione della rappresentanza di genere. 

 

4.     La necessità di assicurare una equilibrata rappresentanza di genere

 

Sul punto, non possiamo certo ignorare  che il dibattito sulla rappresentanza di genere nella composizione del Consiglio -  giustamente percepito dall’opinione accademica più attenta al tema come “volto attuale della questione di genere nella magistratura” – era giunto, con la delibera consiliare del 2 aprile 2014, a proposte più radicali, quali la doppia preferenza di genere nella elezione della componente togata e la riserva di una quota minima di genere di 1/3 sia per la componente togata che per quella laica.

La proposta Luciani si muove invece su un terreno di misure più blande, che però riteniamo ugualmente importanti anche in considerazione della dimensione costituzionale delle “azioni positive” in materia elettorale: pensiamo, in particolare, all’esplicito riferimento al principio delle pari opportunità di genere anche per l’elezione della componente non togata e all’inedita possibilità, per il  singolo magistrato, di  votare nello stesso collegio contestualmente due candidature,  qualora siano di genere diverso. 

Resta in ogni caso il nostro impegno a promuovere dall’interno e “dal basso”,  a prescindere dall’intensità delle misure promozionali della parità di genere che saranno introdotte (e che ovviamente auspichiamo della maggiore efficacia possibile),   la massima rappresentanza femminile nella dimensione associativa e dell’autogoverno, nell’aspirazione a un’uguaglianza costituzionale sempre più  gender sensitive e senza dimenticare  che proprio il tema della  composizione del CSM assume un’indiscussa centralità nella riflessione, più ampia,  del ruolo della magistratura nella elaborazione di una lettura del diritto che tenga conto della “non neutralità di genere” e nel  riconoscimento, e contrasto, dei gender bias in tutti i settori, sostanziali e processuali, dell’ordinamento giuridico, a partire dall’ordinamento giudiziario stesso. 

 

5.     L’auspicio di un dibattito aperto sulla riforma in cantiere

 

In conclusione: della proposta della Commissione Luciani riteniamo molto positiva la possibilità per l’elettore di comporre sulla scheda il suo Consiglio ideale – se non integralmente almeno in una sua rilevante porzione – in quanto  gli consentirà di valutare ed apprezzare la personalità di candidati provenienti da sensibilità e culture professionali diverse, rendendo gli eletti meno “leggibili” come rappresentanti di un singolo gruppo e assai più vicini all’idea costituzionale del consigliere che esercita il suo ruolo senza vincolo di mandato e in rappresentanza di tutti i magistrati e non solo dei suoi elettori.

            Tuttavia, siamo preoccupati dall’assenza di un dibattito autentico e partecipato su questi temi. La recente memoria del travolgimento del progetto di riforma del processo penale, proposto dalla Commissione Lattanzi e sacrificato sull’altare di un compromesso al ribasso, tra le antagoniste forze politiche che compongono la maggioranza di Governo, ci rende perplessi. Siamo tuttavia fiduciosi che la Guardasigilli saprà vigilare sulla tenuta dello spirito di fondo della proposta della Commissione Luciani, nella prossima riforma in gestazione.

Peraltro, la recente approvazione di un disegno di legge (di conversione del decreto legge n. 118/2021), volto ad organizzare le modalità di svolgimento del concorso per l’accesso in magistratura (con una sostanziale riduzione del vaglio critico in ordine alle qualità degli aspiranti), senza nessun dialogo non solo con l’ANM, ma neppure quello istituzionale con il CSM, accentua la percezione di una scarsa attenzione del Legislatore verso le ragioni e gli argomenti che la magistratura è in grado di portare al dibattito; in tal modo si rischia di far mancare al confronto parlamentare l’apporto di esperienza e conoscenza che la magistratura potrebbe offrire non solo in ordine agli effetti giuridici delle norme che la governano, ma soprattutto alle dinamiche etiche e culturali che dalle innovazioni regolamentari possono determinarsi. 

Ci auguriamo, perciò, che nelle valutazioni del Governo prevalgano le ragioni funzionali ad agevolare la rigenerazione della magistratura, auspicata dal Capo dello Stato, piuttosto che valutazioni mosse da contrapposti pregiudizi e preconcetti ideologici, rispetto ai quali trovare l’ennesimo compromesso al ribasso.

20/10/2021

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