Caro direttore,
i fatti emersi dall’indagine di Perugia pongono tutta la magistratura di fronte a un’enorme responsabilità: restituire alla collettività la certezza di una Giustizia affidata a un’istituzione sana; dare risposte credibili allo smarrimento che ha colto l’opinione pubblica, e gli stessi magistrati, di fronte a un così grave tradimento del senso più profondo dei valori di indipendenza e di imparzialità che devono guidarci nell’esercizio della nostra funzione.
La magistratura ha sempre dimostrato di saper esercitare un controllo di legalità al suo interno con lo stesso rigore che ne guida l’azione rispetto a tutti i fenomeni di illegalità che deve affrontare. E la gravità dei fatti emersi non può far dimenticare che tutti i giorni, negli uffici e in realtà territoriali difficili, i magistrati, moltissimi di prima nomina, operano con impegno per rendere giustizia, animati dalla passione e dall’etica che derivano dalla cura per il lavoro che svolgono.
La magistratura è un corpo sano. Per questo oggi si interroga criticamente sugli effetti della regressione culturale prodotta da vecchie e nuove forme di carrierismo, rivendica rigore e trasparenza nella gestione consiliare, esige un cambio di passo rispetto alle logiche che ne hanno condizionato le scelte. E attraverso le ferme reazioni dell’Anm, la magistratura si mostra determinata ad andare fino in fondo nell’analisi severa di fatti e comportamenti e nel richiedere, ai soggetti coinvolti, una immediata assunzione di responsabilità per la ricaduta dei loro comportamenti sulla credibilità dell’istituzione.
Ma a fronte di questo complesso travaglio interno, il dibattito pubblico e politico si è orientato senza incertezze, con sorprendente uniformità e trasversalità, verso la messa sotto accusa delle “correnti”, indicate come causa di tutti i mali e responsabili di un “sistema” ormai strutturalmente deviato dalle sue finalità. E, con il dichiarato scopo di ridurre il peso delle correnti nel Csm, avanzano radicali progetti di riforma, oggi purtroppo meno avversati anche da quella parte di magistrati che traduce il rifiuto delle distorsioni correntizie nella richiesta di passi indietro dei gruppi dai luoghi della rappresentanza.
È bene che, nel confronto sul merito di queste proposte, si faccia chiarezza sulla vera posta in gioco: normalizzare la magistratura, mortificando il ruolo dell’associazionismo giudiziario e del confronto dei gruppi sulle diversità di opzioni culturali e ideali, e mutare la fisionomia costituzionale del Consiglio Superiore, organo elettivo e rappresentativo, neutralizzando le sue potenzialità democratiche, alimentate dalla sua politicità e dal pluralismo.
Già la riforma elettorale del 2002 ha introdotto un sistema per un’investitura del consigliere fondata su rapporti personali, interessi di categoria e legami territoriali. Ora la proposta di sorteggio dei componenti togati del Csm sovverte del tutto il senso della rappresentanza come aggregazione su idee e visioni diverse (dal ruolo del magistrato nella società, alla modalità di amministrazione della giurisdizione, dal concetto di carriera a quello di dirigenza) e annulla ogni principio di responsabilità (a chi e come risponderanno i “sorteggiati”?).
È il passo decisivo verso una riduzione del ruolo del Consiglio che, trasformato in organo tecnico-amministrativo e di mero governo del personale, è destinato inevitabilmente a essere subalterno alla sfera politica esterna e funzionale alla ristrutturazione in senso verticistico e burocratico dell’ordine giudiziario.
Le vicende di questi giorni dimostrano che proprio in assenza di un ruolo autorevole dei gruppi si aprono i coni d’ombra dove si muovono i singoli sulla base di logiche di potere personale.
Ecco perché difendo le correnti. Riconoscere le degenerazioni correntizie, e impegnarsi a contrastarle, deve essere la premessa per rivendicare e difendere il ruolo che storicamente i gruppi hanno svolto nel creare una magistratura consapevole, in grado di portare nell’autogoverno il risultato di elaborazioni culturali collettive e di ritrovarsi unita, attraverso il confronto plurale e aperto, nella difesa dei valori costituzionali della giurisdizione.
Mariarosaria Guglielmi,
Segretaria generale di Magistratura democratica
Lettera pubblicata su la Repubblica il 6 luglio 2019