Comunicato Gruppo Lavoro
Luci e ombre del cd «decreto dignità»
Nonostante aspetti indubbiamente positivi, diversi e significativi sono i limiti del provvedimento, che per la tutela effettiva dei diritti fa decisamente molto meno di quanto si sarebbe potuto con un uso più controllato dello strumento tecnico.
Il primo limite è il mantenimento del cd «contratto a tutele crescenti» che non è un vero contratto a tempo indeterminato, ma rende sostanzialmente il recesso libero con il pagamento di una somma modesta e determinata solo in relazione all’anzianità di servizio. L’innalzamento della misura della indennità, pur essendo potenzialmente sul piano culturale un segnale positivo, non costituisce una modifica efficace, perché priva di un reale effetto deterrente per le anzianità minori e difficilmente applicabile nella misura massima in ragione della discontinuità delle carriere dei lavoratori soprattutto quelli meno qualificati.
Un secondo limite è la contraddizione della reintroduzione dei voucher, nonostante la vicenda del referendum, che pone alcuni interrogativi di legittimità, di legittimazione politica e culturali, e che appare più criticabile perché riferita a settori produttivi, come l’agricoltura, già ampiamente deregolamentati.
L’altro grandissimo limite è che l’introduzione di norme non modifica affatto la realtà dei rapporti di lavoro precario che vive di illegalità, come si è già visto in passato e come pure è nell’attualità, per il difficile e oneroso accesso alla giustizia e per essere stato smantellato il sistema dei controlli, problema questo che sta diventando enorme come evidenziano anche i recenti fatti di cronaca e le recenti tragedie nel contesto della piaga del caporalato. Ci si attende che venga realizzato e non solo annunciato l’aumento degli ispettori del lavoro.
Enunciazioni meramente normative non sono però sufficienti a incidere su un tessuto sociale che ha inglobato culturalmente la deregolamentazione quale aspetto strutturale del sistema economico. In assenza, ed è questo il timore, di misure dirette ad assicurare l’effettività delle tutele le singole disposizioni restano un manifesto di propaganda senza seguito sulle condizioni di vita e di lavoro.
Non può invece che essere valutata positivamente l’assunzione della prospettiva e dei temi della sinistra europea e delle organizzazioni sindacali europee con l’inversione di tendenza nella interpretazione del ruolo della politica rispetto al mondo del lavoro, non subalterno alle dinamiche di mercato.
La legge si pone in controtendenza rispetto a una stagione in cui sono state assecondate acriticamente le pretese di sempre più ampia liberalizzazione, che hanno innescato una concorrenza al ribasso sul costo del lavoro e una esasperata precarietà dei rapporti e rivendica alla politica l’imposizione di una etica dei rapporti giuridici e in particolare dei rapporti, come quello di lavoro, che nella quasi totalità dei casi intercorrono tra soggetti con forza contrattuale molto diversa e in cui uno, il lavoratore, ha la necessità di procurarsi una fonte di reddito anche a condizioni inique.
Per questo non possono essere condivise le critiche fondate su un modello teorico, che indica nella deregolamentazione del lavoro un fattore di crescita dell’occupazione e dell’economia, smentito dall’esperienza di questi anni, come ormai ammesso in molti studi promossi anche dalle organizzazioni internazionali che più lo avevano sostenuto (OCSE, FMI).
La reintroduzione, parziale, della necessità di esigenze temporanee e oggettive per i rapporti di lavoro e somministrazione a termine apre la strada al controllo giurisdizionale e contiene in sé una affermazione di principio importante: non è consentito scaricare sul lavoratore i rischi di fluttuazione anche minima della domanda essendo quello un rischio tipico d’impresa che deve essere sopportato dal datore di lavoro.
Si tratta dei temi su cui si è già aperto e si approfondirà il confronto politico tra i partiti della sinistra, nuovi e tradizionali, in vista delle prossime elezioni europee.
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