Immigrazione
Le zone rosse e l’illusione della sicurezza
Sempre più si rischia di affidare la domanda di sicurezza della collettività a strategie che, senza indagare e prevenire le cause reali dei fenomeni che attentano ai diritti delle persone e alla pacifica convivenza, alimentano la sola illusione di sicurezza, rendendo “non visibile” la presenza dei “soggetti” ritenuti pericolosi.
L’ordinanza del Prefetto di Firenze permette alle forze dell’ordine di allontanare da alcune zone della città, le “zone rosse”, chi è stato denunciato: per percosse (uno schiaffo), lesioni, rissa, spaccio di stupefacenti. Denunciato. E chi ha ricevuto contestazioni relative alle regole del commercio. In pratica i venditori ambulanti.
Questa visione mina le fondamenta dello stato di diritto, perché limita fortemente la libertà di movimento, solo per essere stati denunciati, non condannati; non è necessario neppure essere comparsi davanti a un giudice.
Si crea una categoria di persone che, in quanto destinatarie di una denuncia o di una contestazione amministrativa, a prescindere dall’accertamento di fatti di reato in sede giudiziaria, si considerano “dedite ad attività illegali”.
La risposta alla legittima richiesta di sicurezza della popolazione, anche solo nei termini di “sicurezza percepita”, non può comportare deroghe generalizzate né semplificazioni rispetto all’osservanza di quelli che non sono sterili formalismi, ma garanzie poste a tutela della libertà di tutti, come la riserva di legge e di giurisdizione in materia di limitazione della libertà personale. Diversamente, si rischia un capovolgimento della scala delle fonti normative, con atti amministrativi che prendono il posto della legge e della giurisdizione.
Firenze non è sola, perché anche il comune di Calolziocorte, in provincia di Lecco, ha individuato altre zone rosse, vietando, questa volta, l’insediamento di centri di accoglienza per immigrati nelle nuove “zone rosse”. Più sincera, in fondo, l’ordinanza di Calolziocorte: il diverso per eccellenza, l’immigrato, non può accedere alla scuola, alla stazione ferroviaria, persino all’ospedale. Del resto, le persone migranti rappresentano la “categoria” per eccellenza portatrice di un’ “identità pericolosa”.
Illusorie, queste risposte: la collettività pensa che si raggiunga l’obiettivo, ma non è difficile comprendere che si tratta di soluzioni apparenti, ineffettive, naturale portato di una campagna securitaria permanente, che magnifica le situazioni di disagio e che offre risposte che, anziché risolverle, le rendono strutturali, in un circolo vizioso che si autoalimenta.
Il messaggio regressivo che si va consolidando nel senso comune per effetto di queste politiche è quello di un concetto di “sicurezza” sempre più lontano dall’ idea di sicurezza esistenziale e sociale, prodotta da politiche di solidarietà e di inclusione e dalla garanzia dei diritti sociali per tutti.
Il rafforzamento dell’idea di “pubblica sicurezza” nelle forme dell'ordine pubblico e degli inasprimenti punitivi è il portato della propaganda zero tolerance che vale a soddisfare il sentimento diffuso dell'insicurezza sociale, mobilitandolo contro le persone non per quello che fanno, ma per quello che sono, per la loro “diversa” identità.
Sono scelte che accrescono “la solitudine del cittadino globale” e la contrapposizione, dividendo la collettività anziché renderla coesa e solidale.
Si allontanano, così, gli obiettivi che davvero garantirebbero la convivenza pacifica: l’inclusione e progetti di coesione sociale, che, dove praticati, hanno consentito l’integrazione e l’effettivo aumento della sicurezza reale.
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