Comunicati
Le mancate convalide dei trattenimenti in Albania: una soluzione obbligata
I provvedimenti del tribunale di Roma, sezione immigrazione, sono diretta e prevedibile conseguenza della sentenza del 4 ottobre della corte di giustizia, investita da un giudice della Repubblica Ceca.
La corte ha stabilito che “un paese è sicuro se si può dimostrare che tutto il suo territorio sia tale: ciò può accadere solo se non vi siano forme di persecuzione, torture minaccia di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato”.
La stessa corte ha stabilito che il giudice nazionale “deve”, non “può”, rilevare la violazione delle norme di diritto dell’unione relative alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro.
I provvedimenti sono stati emessi da sei diversi giudici della sezione, ed è quindi frutto di una valutazione unanime, come confermato dal comunicato stampa della Presidente di Sezione.
Nel quadro delineato dalle norme e dall’interpretazione vincolante resa nota dalla Corte di Giustizia, sono state avviate egualmente le procedure di trattenimento in Albania di persone provenienti da Paesi che, secondo quanto stabilito dalla corte di giustizia, non sono certo sicuri.
Basti pensare a quanto accaduto in Egitto a Giulio Regeni.
Questa scelta si pone in aperto contrasto con lo stato di diritto che prevede cessioni di sovranità all’Unione europea e sulla soggezione del diritto italiano ai diritti fondamentali riconosciuti, nel contesto europeo, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e dalla Convenzione europea dei diritti umani.
Nessuna maggioranza politica, neppure la più estesa, può comprimere i diritti umani inviolabili e indisponibili perché lo Stato di diritto ‒ costruito dopo l’irripetibile esperienza delle dittature del secolo scorso ‒ prevede limiti invalicabili.
E spetta a una magistratura autonoma e indipendente fare rispettare questo limite.
L’Esecutivo di Magistratura democratica
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