Giornata della memoria 2018
Le leggi razziali, i magistrati, i giuristi, le riviste giuridiche
Nel giorno della memoria credo che debbano anzitutto essere ricordati i nomi dei magistrati (almeno 15) caduti nella guerra di liberazione o uccisi dai nazifascisti. Si tratta di Dino Col, Pasquale Colagrande, Francesco Drago, Carlo Ferrero, Mario Finzi, Mario Fioretti, Vincenzo Giusto, Giuseppe Garribba, Cosimo Mariano, Cosimo Orru, Nicola Panevino, Pasquale Saraceno, Vittorio Scala e Mario Tradardi oltre al vice pretore di Alba, Viglino.
A questi nomi mi sembra giusto aggiungerne almeno due: Emilio Sacerdote che non era più magistrato perché si era dimesso volontariamente prima dell’entrata in vigore delle leggi razziali. Sacerdote partecipò alla Resistenza e, dopo essere stato catturato, fu deportato prima a Flossembürg e poi a Bergen Belsen dove morì, per gli stenti patiti, qualche settimana dopo essere stato liberato dagli alleati non senza aver dimostrato, durante la sua prigionia, il suo coraggio e il suo valore. L’altro nome che credo sia doveroso ricordare (e mi scuso per eventuali altre omissioni) è quello di Pier Amato Perretta, giudice del Tribunale di Como, che mantenne una posizione di indipendenza nei primi anni del regime e, per questa ragione e per la sua collaborazione ad un periodico di ispirazione crociana, subì un trasferimento punitivo e venne dichiarato decaduto per non aver raggiunto l’ufficio di destinazione. Iniziata la professione forense il suo studio venne devastato dagli squadristi mentre successivamente, avviata un’attività imprenditoriale, dovette cessarla per la mancanza di un’autorizzazione negata da un ministro cui aveva dato torto in una causa di lavoro. Perretta si attivò per la costituzione di gruppi della Resistenza ancor prima del 1943 e fu ucciso dai tedeschi nel 1944.
Nel 2018 ricorre però l’80° anniversario delle leggi razziali e credo dunque doveroso ricordare che, a seguito dell’approvazione di queste leggi, furono dispensati dal servizio 14 magistrati: Cesare Costantini, Mario Di Nola, Mario Finzi, Ugo Foa, Mario Levi, Ugo Davide Levi, Fernando Minerbi, Umberto Muggia, Edoardo Modigliani, Mario Piperno, Vittorio Salmoni, Giuseppe Seczi, Giorgio Vital e Mario Volterra. Altri quattro (Amilcare Brizzolari, Pietro Freri, Antonino Martorana e Giuseppe Pagano) chiesero di essere messi a riposo prima del provvedimento di dispensa dal servizio. Questo numero è stato ritenuto sottostimato perché ricavato solo dai provvedimenti di dispensa pubblicati sul Bollettino del ministero mentre l’esame della graduatoria dei magistrati in servizio fino al 1938-39 farebbe emergere un numero ben maggiore di magistrati ebrei.
Il ceto dei giuristi è tra quelli più compromessi con il regime fascista. Oggi limitiamoci a ricordare invece chi, anche con forme di resistenza passiva, si limitò a contrastare le direttive del regime e ricordiamo che le riviste Il Foro Italiano, La giurisprudenza italiana e Il Monitore dei Tribunali furono duramente criticate, dalla rivista La difesa della razza, perché veniva consentito a giuristi ebrei di continuare a collaborare con le medesime; collaborazione che le direzioni delle riviste proseguirono imperterrite. Ricordo ancora che analoga opera di resistenza passiva fu posta in essere da Mario Rotondi, direttore della Rivista di diritto privato, che continuò a pubblicare saggi di giuristi ebrei, a mantenerli nel comitato scientifico, a pubblicarne i necrologi al momento della loro morte. Da segnalare che Rotondi operò anche nell’Italia occupata dai nazisti e dovette cambiare editore per non aver accettato (malgrado le intimidazioni subite) di adeguarsi alle richieste di censurare gli autori ebrei. Anzi nel 1944, durante l’occupazione nazista, pubblicò sulla rivista (édita a Milano!) il necrologio del giurista ebreo Cesare Vivante già espulso dall’università ed emigrato il cui nome, insieme a quelli di altri giuristi ebrei compariva, nel comitato scientifico della rivista, negli anni dal 1940 in poi.
Un ultimo ricordo: solo un rettore (quello di Siena), nell’inaugurazione dell’anno accademico 1938-1939, salutò caldamente, senza difendere le leggi razziali, un professore ordinario espulso (Guido Tedeschi).
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