L’Anm sulla libertà di espressione dei magistrati

I magistrati possono partecipare a dibattiti organizzati da partiti? La risposta alla domanda non sembra essere così scontata. Il primo punto all’ordine del giorno del Cdc dell’Associazione nazionale magistrati di inizio aprile era infatti proprio la regolamentazione della partecipazione dei magistrati alle iniziative organizzate da partiti politici.

I colleghi di Magistratura indipendente, nel chiedere di parlare del tema, erano rimasti fino a quel momento un po’ vaghi, non indicando come e in che termini si sarebbe potuta e dovuta concretizzare questa regolamentazione.

Poco prima della discussione, come da regola statutaria, è stato depositato il documento del gruppo che guida l’Anm. Dopo avere richiamato i concetti di imparzialità e di apparenza di imparzialità, ecco esplicitata la proposta: l’inserimento dell’auspicio che “i colleghi declinino l’invito a partecipare ad eventi organizzati in via esclusiva da partiti politici” in quanto tale partecipazione “danneggia l’immagine della magistratura tutta davanti all’opinione pubblica”.

Unici esclusi da questo auspicio: magistrati che ricoprono ruoli nell’ambito dell’Anm o delegati.

Dopo un ampio dibattito e la presentazione di alcuni documenti di segno decisamente contrario, è stato depositato un documento che ha visto la convergenza di tutti gli altri gruppi associativi e che ha affermato, partendo dai principi costituzionali – così come interpretati dalla Corte costituzionale – e dalle regole deontologiche, che non vi possono essere limiti eteroimposti alla libertà di manifestazione del pensiero del magistrato sui temi della giustizia, anche nell’ambito di dibattiti organizzati da partiti politici. Non solo: è stata anche respinta l’ipotesi di differenziare la categoria all’interno, tra coloro che sono legittimati a esprimersi pubblicamente (chi riveste un ruolo) e chi no (i magistrati semplici).

L’iniziativa di Magistratura indipendente, seppur bocciata, ha immediatamente trovato un contraltare al CSM, nella proposta del consigliere laico Felice Giuffrè per l’apertura di una pratica “per la definizione delle linee guida in ordine alla partecipazione dei magistrati ad eventi pubblici e per l’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, di riunione e di associazione nel rispetto dell’interesse costituzionale alla garanzia del prestigio, della credibilità, dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura”. 

La posta in gioco non è da poco: la possibilità di comprimere (peraltro con fonti neppure legislative) diritti fondamentali, in nome di un’apparenza sempre più svincolata dalla sostanza. E la formalizzazione del fatto che è ammissibile una distinzione tra di noi non solo per funzioni (alcuni possono intervenire ai dibattiti pubblici, altri no). Per ora la proposta è stata rispedita al mittente.