La risposta
I magistrati e i procedimenti disciplinari
Gent.ma Liana Milella,
nel suo Blog del 14 aprile Lei ha espresso il suo garbato dissenso rispetto alla posizione che abbiamo assunto all’interno dell’Associazione Nazionale Magistrati in relazione alla richiesta del difensore disciplinare di Nino Di Matteo. Noi come magistrati eletti in associazione siamo lealmente accanto a tutti i colleghi che ogni giorno svolgono il loro dovere in contesti di criminalità organizzata, affrontando enormi sacrifici e gravissimi rischi personali, in primis accanto al collega Di Matteo.
L’associazione non abbandonerà mai questi magistrati. Per questo ribadiamo anche in questa sede la nostra solidarietà a tutti i colleghi, da Torino a Reggio Calabria, e da ultimo ai colleghi di Palermo e di Caltanissetta, per le gravissime minacce ed intimidazioni ricevute per l’esercizio delle loro funzioni. Ma ciò non ci impedisce di assumere posizioni scomode e non demagogiche, come abbiamo fatto in occasione dell’ultima decisione associativa sopra ricordata.
L’associazione Nazionale Magistrati non è infatti la sede in cui il difensore disciplinare di un magistrato può chiedere tutela per il suo assistito.Non è mai accaduto in oltre 100 anni di storia dell’ANM che un difensore avanzasse una richiesta in tal senso. Molti sono stati i casi di colleghi valorosi coinvolti in azioni disciplinari non meno emblematiche di quelle di cui discutiamo, da Gherardo Colombo a Piercamillo Davigo, da Ilda Boccassini a Francesco Greco, da Pierluigi Vigna ad altri, procedimenti tutti conclusi con la loro piena assoluzione.
In nessuno di questi casi il difensore ha sollecitato l’intervento dell’Associazione, consapevole della “interferenza” che una tale richiesta avrebbe potuto comportare. I colleghi che si trovano ad affrontare un giudizio disciplinare devono infatti essere difesi nella sede propria, perché, come è stato spesso ricordato, ci si difende nel processo e non dal processo e senza bisogno del supporto dell’ANM, che rappresenta tutti i magistrati, compresi i componenti della sezione disciplinare e delle sezioni civili della Cassazione. Una regola di comportamento che vale per i cittadini, ma prima di tutto per gli stessi magistrati.
Riteniamo sia interesse dello stesso collega Di Matteo che il procedimento disciplinare si svolga nel rispetto delle regole e con la necessaria serenità, tenendo presente che esso si trova ancora in fase iniziale e che ben può concludersi con una richiesta di non luogo procedere una volta acquisiti i necessari atti istruttori. Ciascuno di noi può avere una sua chiara opinione sull’ iniziativa disciplinare e sulla sua fondatezza ed augurarsi che la decisione possa essere ampiamente liberatoria. Ma come magistrati eletti nell’Associazione non abbiamo motivo di dubitare della serietà e della correttezza con cui il giudice disciplinare svolgerà il suo compito.
Questo è stato lo spirito che ci ha portato, unitamente alla maggioranza dei componenti dell’ANM, a non aderire alla richiesta di Sebastiano Ardita, che sembra aver confuso i suoi due diversi ruoli di difensore disciplinare di Nino Di Matteo e di rappresentante associativo. Non è un bene per la magistratura e per i singoli magistrati, sollecitare interventi volti a stigmatizzare l’avvio di una azione disciplinare, costringendola ad entrare nel merito di decisioni che per Costituzione e per Legge spettano solo al giudice disciplinare.
Non possono esserci rappresentanti dell’ANM che si ergono a paladini solitari ne si può trascinare il prezioso e comune patrimonio dell’azione antimafia in logiche di parte, sia per ragioni di principio sia perché non è questa la strada più efficace per dimostrare quella vicinanza che i colleghi coinvolti meritano.Piuttosto, come già ha detto il gruppo Area in cui ci riconosciamo, in questa vicenda quello che desta perplessità e disagio è la constatazione di un sistema disciplinare a doppia velocità che si dimostra in alcune ipotesi, spesso inoffensive o di scarsa rilevanza, tempestivo ed occhiuto, mentre non riesce a colpire, con la stessa tempestività e con una adeguata efficacia sanzionatoria, situazioni ben più gravi come quelle che attengono alla “questione morale”.
Da ultimo alla dott. Milella, costante osservatrice della giurisdizione e della magistratura, non può sfuggire che la più alta tutela dell’indipendenza della magistratura sta nel costante rispetto delle regole etiche e giuridiche che ne disciplinano l’assetto e la vita, e che ciò vale per tutti i magistrati come per la loro Associazione.
Anna Canepa Ezia Maccora
(15 aprile 2013)