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La riforma del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria: un’opportunità da cogliere senza esitazioni
Magistratura democratica, ad esito di una elaborazione collettiva del gruppo, maturata nel tempo, offre alla riflessione delle istituzioni, della magistratura associata e di tutti i magistrati e i giuristi, una riflessione sull’attuazione del decreto legislativo n. 44 del 2024.
I compiti che il CSM dovrà svolgere per attuare la riforma della dirigenza giudiziaria consentono, se lo si vorrà, di dare strumenti per la trasparenza e la leggibilità delle scelte, che valorizzando la scelta di criteri generali piuttosto che di criteri sulla singola nomina, può consentire di combattere l’indispensabile battaglia contro il carrierismo e il clientelismo da troppo tempo rimandata.
La riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al decreto legislativo n. 44 del 2024, tra molti interventi discutibili e talvolta fortemente negativi, ha operato una rilevante riscrittura del procedimento e dei criteri di valutazione per la nomina agli incarichi direttivi rimettendo al Consiglio superiore della magistratura il compito di adottare entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore e, quindi, entro il 20 luglio 2024, le delibere necessarie a dare attuazione alle disposizioni del decreto.
Molte scelte della riforma non sono quelle che avremmo desiderato. Ritenevamo – e riteniamo tuttora – urgenti e indispensabili interventi volti a garantire l’effettiva temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi, conformemente all’idea di una magistratura orizzontale, in cui, nel quotidiano esercizio della funzione giudiziaria, ciascun magistrato sia titolare e responsabile del servizio reso, attribuendo ai magistrati con funzioni direttive e semidirettive il compito di coordinare le risorse per la realizzazione di questo risultato.
Così non è stato: il legislatore non ha introdotto strumenti e criteri capaci di perseguire questo obiettivo e di porsi in contrasto con l’idea di magistratura verticale che rischia di penetrare sempre di più nella cultura professionale.
Nonostante ciò, il compito affidato al CSM in materia di normazione secondaria costituisce una importante occasione per rimeditare l’approccio in materia di dirigenza giudiziaria che si è andato affermando nell’attività consiliare; anche per tutelare l’immagine ed il ruolo del Consiglio e contrastare le derive carrieristiche che inquinano il volto costituzionale della magistratura.
In questi anni non si sono fatti i conti con le cause più profonde che hanno generato la crisi attraversata dalla magistratura, palesatasi grazie alle chat acquisite nella nota indagine perugina, e non si è affrontato adeguatamente uno dei nodi che l’avevano determinata: la selezione della dirigenza degli Uffici. Il tema coinvolge: l’adeguatezza delle fonti e dei criteri di acquisizione delle informazioni sulle qualità degli aspiranti; la conclamata elusione del principio di temporaneità negli incarichi dirigenziali, frutto anche del fallimento delle verifiche valutative in sede di conferma negli incarichi; il ruolo dei gruppi associati dentro il CSM e le modalità di scelta.
L’esercizio della discrezionalità è stato troppe volte incomprensibile, il sistema di selezione e i suoi esiti continuano ad essere poco leggibili e quindi a inquinare il ruolo dei gruppi associati, ritenuti a torto o a ragione compartecipi di tale sistema, e, per altro verso, a mettere in crisi la percezione di sé e del proprio ruolo di ciascun magistrato.
Magistratura democratica, all’esito di un confronto interno che dura da tempo, ritiene necessario un cambio di prospettiva sulla questione delle nomine ad incarichi direttivi e semidirettivi, nella consapevolezza che le aspettative riposte sull’attuale sistema sono andate deluse.
Infatti l’aumento della discrezionalità assegnata al CSM ha determinato alcuni effetti non desiderabili: si è incentivato il carrierismo (sacrificando la promessa costituzionale di una magistratura orizzontale e creando quasi due circuiti di “carriera”: quella direttiva/semidirettiva e quella “normale”, da troppi vissuta come un quid minus); è aumentato il clientelismo (ossia il cedimento alla ricerca di logiche di protezione che sono il tradimento della necessaria indipendenza del magistrato).
L’aumento della discrezionalità ha reso troppe decisioni del CSM scarsamente comprensibili – a causa di una moltitudine di indicatori spesso “usati” secondo gerarchie contingenti mobili e mutevoli – alimentando la delegittimazione del CSM nel corpo della magistratura; e di conseguenza si sono dilatati – oltre i tassi fisiologici – gli spazi di intervento del giudice amministrativo.
E’, quindi, necessario, innanzitutto, rafforzare il livello di leggibilità delle scelte. Il legislatore delegato attribuisce al CSM la responsabilità di determinare il rilievo da attribuire – ai fini della comparazione tra i diversi aspiranti – agli indicatori attitudinali che è necessario valorizzare in relazione alle tipologie di incarichi da ricoprire.
Ciò consente al CSM di introdurre previsioni generali e astratte che attribuiscano a un certo indicatore un peso specifico calibrato sulla particolare tipologia di incarico da assegnare. Per essere espliciti: il CSM dovrà decidere se, per ricoprire determinati uffici, debba essere privilegiato – e in quali termini – il percorso professionale dell’aspirante: in alcuni casi potrà avere maggior rilievo la pluralità di esperienze giudiziarie; per altri uffici, viceversa, l’avere maturato una marcata competenza in una materia ad elevato tasso di specializzazione; per altri uffici ancora, avere maturato competenze organizzative o ordinamentali; per altri ancora potranno assumere maggior rilievo l’esercizio di funzioni di secondo grado rispetto a chi ha solo esperienze maturate in primo grado o viceversa. Il che presuppone che – all’atto della pubblicazione dei posti – il CSM si impegni a chiarire quale particolare tipologia di incarico è messa a concorso (anche intesa come posizione tabellare o gruppo di lavoro, per gli incarichi semidirettivi).
Questo sforzo richiederà di esplicitare il peso specifico dei vari indicatori in relazione ai diversi uffici, consentendo di verificare in modo trasparente se gli aspiranti abbiano i requisiti richiesti per gli specifici posti messi a concorso e rendendo, quindi, più comprensibile il percorso decisionale seguito dal Consiglio.
E’ inoltre necessario riprendere consapevolezza del valore esperienziale che l’anzianità svolge, quanto meno sino ad un determinato livello del percorso professionale, e conseguentemente valorizzare il contributo che tale fattore apporta sotto il profilo attitudinale (posto che il prolungato esercizio delle funzioni giudiziarie – ove positivamente esercitate – costituisce sicuramente un razionale indicatore sotto il profilo del merito).
Ciò potenzialmente sdrammatizzerà le polemiche sulle singole decisioni del CSM e ne rafforzerà auspicabilmente il livello di accettazione, con positivi effetti sulla legittimazione dell’intero governo autonomo della Magistratura.
La scelta del legislatore di attribuire particolare rilievo alle pregresse esperienze di direzione, di organizzazione, di collaborazione non deve trasformarsi nella creazione di un circuito di carriera dirigenziale, quasi “censo separato” dal resto del corpo giudiziario, per lo più caratterizzato da un continuo passaggio da un incarico direttivo all’altro, senza soluzioni di continuità. Ma è indubbio che non si possa prescindere da tali pregresse esperienze; conseguentemente, ancora una volta, si rende indispensabile introdurre meccanismi efficaci che ne consentano una valutazione specifica e adeguata, proprio al fine di apprezzarne l'effettivo positivo esercizio.
La scelta di una temporaneità effettiva delle funzioni direttive o semidirettive avrebbe consentito, pur senza accantonare le competenze acquisite, di eliminare la corsa agli incarichi (in una logica ascensionale) e rilanciare l’idea di una magistratura orizzontale non gerarchizzata, con magistrati che si distinguono solo per funzioni, come vuole la Costituzione. Sotto questo profilo la riforma ha introdotto una scelta non condivisibile e ciò costituisce una occasione persa.
Senza coltivare prospettive velleitarie che si porrebbero in contrasto con la scelta del legislatore, l’intervento del Consiglio può tuttavia fare in modo che possano almeno essere scongiurati gli effetti più negativi per gli Uffici, come quelli conseguenti a improvvisi e non prevedibili abbandoni dell’incarico per perseguire altre aspirazioni personali che provocano lunghe scoperture nei ruoli dirigenziali. Ad esempio il CSM, senza incidere sulla legittimazione a partecipare a un concorso, potrebbe introdurre forme di incentivo a concludere il precedente incarico: ciò favorirebbe almeno il completamento degli incarichi direttivi, legati ad un progetto organizzativo (il cui compimento è esso stesso sintomo di capacità organizzativa) e limiterebbe il numero di scoperture improvvise che si vengono a determinare negli uffici giudiziari.
Si tratta di un possibile (e ragionevole) temperamento tra esigenze del singolo magistrato e bisogni del sistema giudiziario nel suo complesso (posto che questi ultimi legittimamente e necessariamente devono entrare nelle valutazioni che precedono la decisione).
In conclusione: Magistratura democratica auspica che il CSM prenda sul serio la sfida della riforma del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria che la legge impone: rafforzando la prescrittività dei criteri che regolano l’esercizio del potere di scelta del CSM e introducendo meccanismi che, nel valorizzare le attitudini anche con riferimento al dato esperienziale del magistrato, raggiungano ragionevoli contemperamenti tra le ambizioni del singolo e le esigenze di funzionalità del sistema giudiziario.
Pur nella consapevolezza che nessun mutamento normativo può di per sé essere totale garanzia della correttezza dei comportamenti – essendo questa rimessa alla dimensione etica e deontologica che il corpo giudiziario è in condizione di esprimere – riteniamo comunque che il necessario rafforzamento del quadro di regole sia utile a sostituire la “legge della forza” con la “forza della legge”.
L’Esecutivo di Magistratura democratica
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