Genova, 34° Congresso Anm
“La nuova sfida di fedeltà alla Costituzione”
Nel fare i conti con il difficile presente e con la sua crisi di identità, la Magistratura, come il Paese, ha oggi bisogno di ritrovare la sua memoria; di voltarsi indietro e di ricercare nella sua storia il senso e il valore dell’esperienza associativa che ha fatto di questa Istituzione un soggetto collettivo, protagonista e parte della crescita democratica del nostro Paese.
Una storia di crescita partita da un Congresso della nostra Associazione, nel 1965: il momento del contributo più alto che i giudici hanno dato al rinnovamento delle istituzioni e alla rifondazione della cultura giudiziaria, basata sui valori della Costituzione democratica antifascista.
Fu una presa di coscienza collettiva, per tutta la magistratura, circa la propria responsabilità nell’attuazione della Costituzione, resa possibile dal confronto associativo e dal suo pluralismo culturale: solo un anno prima, Magistratura Democratica poneva le premesse, nella sua mozione fondativa, per la svolta radicale di Gardone, affermando la necessità, poi ribadita dalla mozione conclusiva di quel Congresso, di piena e incondizionata fedeltà alla nostra Carta fondamentale, non solo enunciata a parole ma tradotta nella prassi quotidiana dell’esercizio del proprio ministero.
Questa sfida di “fedeltà alla Costituzione” oggi si rinnova: in un contesto che vede avanzare un processo di regressione della democrazia, di svuotamento dall’interno delle sue istituzioni, di costruzione di un modello alternativo di società – basato sul superamento delle fondamenta egualitarie e solidaristiche dello Stato costituzionale e sull’alterazione permanente del rapporto fra autorità e libertà – la giurisdizione è percepita come un ostacolo: occorre ridurne l’ambito di intervento; occorre espropriarla del suo ruolo di garanzia e di terzietà.
La magistratura non può sottrarsi al difficile confronto con la realtà e, come scriveva Stefano Rodotà, tornare a chiudersi dietro le alte mura di una nuova separatezza: avamposto istituzionale nella società, la magistratura continuerà ad essere investita di tutta una serie di situazioni nuove e difficili, che trovano il loro primo interlocutore nella giustizia. E, anche quando non basterà il richiamo alla Costituzione e ai principi delle Carte sovranazionali a “legittimare” le decisioni dei giudici contro l’accusa di essere nemici del popolo, i giudici non potranno farsi da parte né sottrarsi al loro compito.
Quando nella visione populista, la giurisdizione, non allineata sull’asse che unisce il popolo ai suoi portavoce, diventa antagonista alla volontà dei cittadini e all’interesse della nazione, è la sua stessa legittimazione che viene rimessa in discussione.
La sfida che la fedeltà alla Costituzione oggi ci ripropone è – allora – ritrovare quella che Salvatore Mannuzzu ha definito la “consonanza” – “l’accordo fondamentale” – del giudice con la Repubblica; che non è ricerca del consenso; non mira all’approvazione di questa o quella decisione; non si rivolge ai desiderata occasionali e volubili del popolo del momento, sondato e sobillato, ma ai valori di cui è portatore il “popolo eterno voluto dalla Costituzione”. È la consonanza che offre alla magistratura quel senso comune sul quale si fonda l’accettazione del suo operato, la fiducia dei cittadini nella Giustizia, e la sua vera legittimazione democratica (Pier Luigi Zanchetta).
Dobbiamo essere consapevoli che questa è una sfida collettiva, che chiama la Magistratura a una nuova e piena responsabilità culturale e professionale, e ad una rinnovata consapevolezza del ruolo costituzionale della giurisdizione.
Non saremo in grado di affrontarla emulando quel che accade intorno a noi, ricercando la sintonia con il sentire del momento, che reclama una Giustizia a portata di mano (Gustavo Zagrebelsky) e giudici non terzi e imparziali, ma immersi nella logica del conflitto contro il nemico sociale; con chi inneggia agli eroi solitari, fuori dalla casta e dal sistema, e alla semplificazione di cui si fanno interpreti nel dibattito pubblico sulle garanzie, sui limiti e sui vincoli della giurisdizione; con chi richiede una magistratura inconsapevole, e per questo incapace di contrastare la deriva verso il giustizialismo come il ritorno a un nuovo modello di giudice bouche de la loi, che può solo applicare le leggi, perché se vuole interpretarle deve farsi eleggere.
Solo nella dimensione dell’impegno collettivo la Magistratura può essere all’altezza della complessità della grande sfida democratica che oggi coinvolge il futuro dell’Europa e dello Stato di diritto.
Una sfida che ci impegna come giudici europei, consapevoli del percorso irreversibile sin qui compiuto e del ruolo centrale assunto dalla giurisdizione nella costruzione dell’ordinamento giuridico dell’Unione basato sui diritti fondamentali e sui valori indivisibili e universali di dignità umana, libertà, uguaglianza e solidarietà.
Ciò che è accaduto in Ungheria, in Polonia e in Turchia, è una chiara dimostrazione che i nostri valori comuni possono essere cancellati e sovvertiti in qualsiasi momento e che questi sviluppi nazionali non sono il risultato di tensioni occasionali e locali ma piuttosto semi di un indebolimento generale dell’ideale dell’Europa come spazio di Democrazia e di Giustizia. In Medel, l’associazione che oggi riunisce 24 associazioni di giudici e di pubblici ministeri di 16 paesi Europei, l’impegno collettivo dei magistrati europei si confronta con queste sfide per la difesa dei valori della democrazia europea e della giurisdizione: Medel è l’osservatorio privilegiato dal quale in questi anni abbiamo osservato la costruzione della trama coerente che tiene insieme tutti i cambiamenti prodotti dall’avanzata del populismo e nuovi sovranismi, e le mutevoli forme nelle quali si ripresentano le situazioni di crisi dello Stato di diritto; è una sentinella, che svolge una attività di vigilanza democratica, allertando le istituzioni dell’Unione e l’opinione pubblica, e offrendo sostegno alle associazioni giudiziarie e ai magistrati di fronte agli attacchi portati all’indipendenza dei sistemi giudiziari.
Uno scenario al quale ci siamo pericolosamente avvicinati e che, nella nuova stagione di incertezza che si è aperta per la nostra democrazia, non è certo scomparso dal nostro orizzonte.
E da questo orizzonte abbiamo visto avanzare progetti di riforma capaci di cambiare radicalmente l’assetto costituzionale della magistratura, riproposti con accresciuto vigore dopo le recenti vicende che hanno profondamente ferito la sua immagine e inferto un durissimo colpo alla credibilità del nostro sistema di autogoverno.
Da qui, dal nostro confronto associativo deve ripartire una riflessione collettiva, critica e autocritica, sulle degenerazioni, sulle cadute, sulle profonde trasformazioni e regressioni culturali subite in questi anni dalla magistratura.
Da qui dobbiamo ripartire per la ricostruzione di una forte identità collettiva intorno ai valori costituzionali della giurisdizione, dell’etica e della professionalità. Per ritrovare un nuovo senso comune, capace di imporsi sulle spinte all’individualismo; sugli atteggiamenti antisistema; sul sentire che esprime – ma non è in grado di elaborare – le istanze di cambiamento in un nuovo progetto comune per la giurisdizione e per la magistratura; sulle tentazioni sempre vive di chiusura corporativa. Fra tutte queste contraddittorie spinte oggi rischiamo di disperdere l’istanza forte venuta dalla magistratura alla rigenerazione, al cambiamento di se stessa, dei gruppi e dell’autogoverno, e di smarrire la consapevolezza di valori irrinunciabili, essenziali per la sua crescita culturale, per la pienezza del suo ruolo costituzionale e di quello che la Costituzione affida al Csm.
La politicità e il pluralismo sono i valori alla base delle potenzialità democratiche del nostro sistema di autogoverno che, alimentati nel circuito che lega i luoghi della rappresentanza a quelli dell’elaborazione nei gruppi e nel dibattito associativo, hanno impedito la trasformazione dell’ordine giudiziario in mera categoria professionale e hanno vivificato l’Istituzione consiliare, rendendola partecipe della vita sociale e politica del Paese, rappresentativa di fronte alla collettività di tutta la realtà viva e complessa della magistratura.
Solo ritrovando la consapevolezza del significato più autentico di questi valori (nell’autogoverno e nell’associazionismo), la magistratura sarà in grado di sviluppare la sua capacità di resistenza culturale contro il rischio di deriva populista che si annida anche al suo interno e nelle posizioni che oggi esprimono il rifiuto dei meccanismi di rappresentanza (promuovendo il modello del “buon consigliere” come magistrato non contaminato dall’impegno associativo) e del ruolo insostituibile di luoghi riflessione ed elaborazione culturale che devono tornare a svolgere i gruppi (oggi messi sotto accusa come il male da estirpare).
Posizioni che oggi rischiano di portare sostegno ai progetti di riforma per un Consiglio meno rappresentativo e per questo più debole, meno autonomo e, quindi, per un magistrato più solo, meno consapevole del proprio ruolo, più esposto a pressioni ed intimidazioni: un magistrato meno indipendente.
Per questo la nostra identità, la nostra coscienza collettiva, che nasce del confronto associativo e dal suo pluralismo, continua ad essere lo strumento di difesa insostituibile dell’indipendenza della magistratura e un valore da preservare.
Genova, 30 novembre 2019
Intervento al 34° Congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati
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