di Luigi Marini
ROMA –
Leggendo
la stampa di questi giorni sui fatti della giustizia ho pensato che
viviamo tempi strani.Abbiamo un procuratore della Repubblica che
deve astenersi dalle indagini più delicate che il suo ufficio sta
trattando, ma la cosa può trovare tranquillanti risposte
burocratiche che eludono il tema e lasciano la conduzione delle
indagini ad un “suo” aggiunto; abbiamo il capo dell’ufficio
ispettivo del ministero che formalmente resta estraneo alle
delicatissime attività che il suo ministro avvia, ma la cosa viene
definita dal ministro in persona priva di implicazioni negative e
tale da autorizzarlo a criticare il Csm che se ne sta doverosamente –
e prudentemente – interessando: del resto, anche a qualche magistrato
adesso piace l’dea, che tanto abbiamo criticato, che se non ci sono
reati in vista tutto diventa lecito anche sul piano politico e
amministrativo.
Ma dopo le letture di ieri devo dire che viviamo
tempi stranissimi. Un processo genovese per fatti di rilevante
gravità del 2001 (caso Diaz) ristagna in Corte di Appello e scivola
verso la prescrizione perché da oltre un anno, si legge sui
giornali, non si riescono a notificare gli atti a funzionari dello
Stato, che si presume noti e reperibili. Sembrerebbe un fatto
incredibile, e pensavo che non dovrei meravigliarmi se una qualche
organo terzo volesse vederci chiaro.
Adesso leggo che per il
presidente della corte di appello le cose non stanno andando in modo
allarmante. Effettivamente, in tempi stranissimi anche
l’inverosimile diventa normale.