Il senso dell’unità antifascista e costituzionale del 25 aprile

La giornata della memoria antinazista e antifascista assume quest’anno un significato più forte, come risposta a quanti in Italia e in Europa predicano teorie contrarie alla nostra Costituzione e rivendicano scelte di negazione dei diritti

Sono trascorsi 73 anni dal 1946, quando il 25 aprile venne dichiarato festa nazionale in ricordo della liberazione dell’Italia dal nazifascismo avvenuta l’anno prima. In questa ricorrenza si rafforza e si rinnova ogni volta la “religione civile” che tiene insieme il nostro paese: l’antifascismo. Ma con sempre maggiore frequenza e intensità, negli ultimi anni abbiamo assistito a tentativi di svalutare questo momento importante per l’identità nazionale. Oggi abbiamo forze politiche che in modo più o meno esplicito negano ogni valore a questa ricorrenza e a quello che essa vuole rappresentare nella storia del nostro paese. Si è giunti fino a considerarla “divisiva” come se non fosse un bene proprio la netta distinzione e la lontananza da ogni tipo di fascismo passato o presente.

Per questa ragione il 25 aprile di quest’anno assume un significato ancora più forte. È non solo la giornata della memoria antinazista e antifascista, ma anche la risposta a tutti coloro che, in Europa e in Italia, predicano teorie razziste, xenofobe, negazioniste, belliciste, contrarie ai principi e alla lettera della nostra Costituzione, alimentano il rancore, reclamano e rivendicano scelte di negazione dei diritti soprattutto in danno dei soggetti più deboli come i migranti.

Eppure “Bella Ciao”, la canzone simbolo della Resistenza italiana, ha scavalcato la distanza tra le frontiere e le generazioni ed è diventata, in particolare tra i giovani, un canto universale di speranza e un’espressione di libertà.

Ci appaiono oggi del tutto attuali le parole che Piero Calamandrei pronunciò in un famoso discorso tenuto al teatro Lirico di Milano il 28 febbraio del 1954: “In queste celebrazioni che noi facciamo della Resistenza, di fatti e figure di quel tempo, noi ci illudiamo di essere qui, vivi, che celebriamo i morti. E non ci accorgiamo che sono loro, i morti, che ci convocano qui, come dinanzi a un Tribunale invisibile, a rendere conto di quello che in questi anni possiamo avere fatto per non essere indegni di loro, noi vivi”.

Ed è a questa prova che tutte e tutti siamo ancora una volta chiamati in questo 25 aprile del 2019.