La democrazia non insegue l’illusione che la giustizia sia “a portata di mano”.
Avvertiamo il rischio che, dopo la decisione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di sospendere in via cautelare la direttrice, la vice-direttrice e la vice-comandante dell’Istituto femminile di Rebibbia, dopo la tragica vicenda della detenuta che ha ucciso i due figli di pochi mesi precipitandoli dalla scala della zona nido, si individui nell’opinione pubblica il capro espiatorio per responsabilità che prescindono dalla comprensione della dinamica dei fatti e delle eventuali responsabilità che rispetto a tale dinamica si possono configurare.
L’accertamento giudiziario in corso, nel rispetto di tutte le garanzie, consentirà di fare piena chiarezza su quanto accaduto. Ci auguriamo che i provvedimenti di sospensione adottati non vengano utilizzati, nel dibattito pubblico e nel confronto politico, per attaccare un modello di carcere – quello rappresentato dall’Istituto femminile di Rebibbia – che costituisce un’eccellenza nel panorama penitenziario italiano.
Allo stesso modo, va scongiurato il rischio che, attraverso una semplicistica “identificazione” dei “colpevoli”, si rinvii il confronto con i problemi reali del mondo penitenziario e delle detenute con figli: sono problemi di cui il legislatore, i magistrati, gli operatori del penitenziario dovrebbero farsi carico nell’ambito di una discussione e di un confronto approfonditi.