Venerdì ci ha lasciato Filippo Paone. Pubblichiamo un ricordo di Valerio Savio
L’avevo visto l’ultima volta un paio di mesi fa. Allegro, sorridente, propositivo, come al solito con idee organizzative per la sezione di Corte di Appello Civile che a Roma presiedeva (pensate: dopo quarant’anni di penale, a quasi settant’anni, rifiutando l’idea per lui assurda e comunque prematura della pensione, “alla ricerca di nuovi stimoli”, era voluto passare al civile). Mi chiedeva dei candidati al Consiglio, di che “Consiglio verrà”. Guardava al futuro.
Guardava al futuro con passione. Passione è forse la parola che meglio descrive la sua esistenza e la sua personalità. Passione per il lavoro, da sempre al centro della sua vita, lavoro a tempo pieno, con al centro l’attenzione alle persone coinvolte dal processo, con chiara l’idea che dietro ogni scelta che il magistrato fa ogni giorno, nel giudizio, nell’organizzazione, nella pianificazione del lavoro, vi sono precise e a volte diversissime opzioni culturali. Con chiara l’idea che il magistrato lavora bene solo dentro una organizzazione ed in un contesto culturale collettivo, che non può vivere e lavorare isolato, come una monade, ritenendosi autosufficiente.
Passione per la Politica. Per gli amici. Per MD (che per lui era e doveva sempre essere capace di essere innanzitutto una congrega di amici, MD di cui a Roma Filippo è stato una delle anime per decenni, fin dagli Anni Settanta, fin dai tempi in cui, come ha detto una volta Gianfranco Viglietta, “l’unica cosa che MD era in grado di garantire ai suoi iscritti erano i procedimenti disciplinari dovuti all’impegno associativo e politico” ).
Passione per i colleghi con cui lavorava, con cui discuteva, con cui magari litigava. Passione per le donne, di cui amava la bellezza, ma anche lo spirito di iniziativa, il sano senso pratico, l’equilibrio, la sensibilità e l’umanità. Passione per l’ANM (quando ha presieduto la Giunta di Roma, con un impegno quotidiano che si è visto in pochi casi). Passione per tutti coloro che con lui interagivano — avvocati in testa — perché sapevano mettersi in sintonia con il suo abito mentale ed il suo stile di vita fatto di rapporto umano, condivisione di valori, impegno.
Se con te dibatteva anche aspramente, di politica, o in camera di consiglio, e magari si arrabbiava e ti prendeva pure idealmente per il bavero, allora voleva dire che ti voleva bene, ti stimava, con te voleva interagire. Se ti mostrava indifferenza, era innanzitutto perchè ti sentiva troppo lontano, troppo diverso, individualista, arrivista, opportunista, o peggio: ignavo.
Ecco: per lui la Politica, ad ogni livello, dentro e fuori la Magistratura, era fatta innanzitutto, irrimediabilmente ed in modo imprescindibile, di intensi rapporti umani. Ed i rapporti umani, sul lavoro, dovevano essere altrettanto irrimediabilmente fatti ed innervati di valori in senso lato “politici” perchè afferenti allo stare insieme per obiettivi e valori comuni. Scherzava, ma non troppo: “Quando mi trovo a mangiare da solo, mi chiedo: dove ho sbagliato?”.
Non era un Giurista ed un Grande Intellettuale né ci ha mai tenuto ad esserlo e anzi si sarebbe arrabbiato con chi c’avesse provato ad etichettarlo ed imbalsamarlo così. E’ stato però un Giudice colto, che ha ogni giorno cercato con tutte le sue capacità ed energie di dare vita al modello costituzionale di giurisdizione. E’ stato davvero un Magistrato Democratico. A tutto tondo.
Ciao caro Filippo, mi mancherai. Come mi mancheranno le nostre discussioni in cui quasi mai eravamo d’accordo, ma dopo le quali alla fine anch’io ero un po’ meno d’accordo con me stesso.
Valerio Savio – vicepresidente Anm
(26 luglio 2014)