Dal giorno in cui la Corte Suprema di Cassazione ha reso definitiva la condanna di Silvio Berlusconi per il delitto di frode fiscale, ai magistrati italiani sono state rivolte espressioni offensive e gravissime accuse da parte di determinati settori politici e dell’informazione. I pubblici ministeri e i giudici che nelle varie fasi processuali si sono occupati della vicenda giudiziaria di Berlusconi sono stati accusati di aver concorso dolosamente ad un esito processuale preordinato in odio politico a Berlusconi. E’ la peggiore della accuse che si possano fare ai magistrati, quella di agire in odio alla parte.
Nell’intento di svilirne la funzione, si sono additati in modo spregiativo i giudici come impiegati che hanno fatto un compitino e vinto un concorso, dimenticando che l’accesso per concorso previsto dall’art. 106 delle Costituzione costituisce una garanzia per i cittadini e la collettività e ignorando l’impegno e la qualità delle formazione professionale continua dei magistrati che è da tempo apprezzata nelle sedi internazionali e considerata un modello anche per gli altri ordinamenti.
Non siamo di fronte alle critiche anche severe ed aspre dei provvedimenti giudiziari che sono pienamente legittime e costituiscono esercizio di un diritto costituzionalmente garantito, siamo di fronte alla diffamazione e alla calunnia contro una funzione essenziale dello Sato liberale e democratico.
Ciò è intollerabile non solo per la funzione giurisdizionale e i magistrati che la esercitano, ma per lo stesso assetto costituzionale dello Stato e per l’ordinata convivenza civile. C’è chi parla, a sproposito, di eversione della democrazia solo perché non piace una sentenza definitiva e se ne vorrebbe l’eliminazione in modo improprio. Ma è proprio in questa pretesa e nel dileggio della giurisdizione che sta l’eversione della democrazia. Siamo ancora una volta di fronte alla pretesa dell’impunità per ragioni politiche, tante volte affacciata, anche da fronti contrapposti, nel corso dei decenni passati.
Accuse e calunnie sono state rivolte anche ai magistrati che si riconosco nell’esperienza associativa di Area e in particolare a quella parte della magistratura che si è riconosciuta in Magistratura Democratica, descritta come una setta impegnata nell’eversione. La storia di questo gruppo associativo non è la caricatura grottesca che ne è stata fatta di recente su alcuni giornali, con l’estrapolazione di pezzi di saggi o articoli, talora risalenti a vari decenni fa e in qualche caso manipolati fino alla falsificazione. E’ la storia di magistrati che hanno inteso e intendono la giurisdizione non, come è stato in anni passati, quale presidio della legalità nell’interesse di pochi, ma come tutela delle libertà e dei diritti di tutti seguendo la stella polare del principio di uguaglianza stabilito dall’art. 3 della Costituzione.
Crediamo che il Consiglio non possa restare indifferente alle offese e alle calunnie rivolte non solo ai magistrati che si sono occupati di specifiche vicende processuali ma a tutti i magistrati e debba in modo alto e forte respingere quelle offese e calunnie riaffermando la dignità istituzionale della magistratura.
Vittorio Borraccetti (anche a nome degli altri componenti del gruppo di Area) nel Plenum dell’11 settembre 2013.
(11 settembre 2013)