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Il contrasto ai crimini contro l’umanità interessa davvero?
La vicenda della scarcerazione e del rimpatrio di un imputato raggiunto da mandato d’arresto emesso il 18 gennaio 2025 dalla Corte penale internazionale, per crimini di guerra e contro l’umanità, in ipotesi commessi nella prigione libica di Mitiga in danno di persone migranti e potenziali richiedenti protezione internazionale, sollecita riflessioni e interrogativi.
Anzitutto, questa vicenda ci dice quanto sia fragile la narrazione che vuole l’attuale maggioranza impegnata a contrastare i trafficanti che governano i flussi di migranti: essa trova drammatica smentita da questa triste pagina di storia. Oggi è sempre più evidente la natura simbolica, di pura propaganda, dei provvedimenti tesi ad aggravare le pene a carico di scafisti reclutati poco prima della traversata in cambio di una flebile speranza di approdo, mentre ai veri governanti dei flussi migratori viene concesso un lasciapassare. Uno Stato duro con i disperati e debole con i criminali più potenti non è quello disegnato dalla Carta costituzionale.
Ma – al di là della (grave) vicenda contingente – si affacciano interrogativi di estremo rilievo per chi ha davvero a cuore l’affermazione globale della tutela dei diritti umani e l’effettività della giurisdizione della Corte penale internazionale.
Il 16 marzo 2023, il Consiglio dei ministri aveva annunciato di voler approvare il disegno di legge per l’introduzione di un codice dei crimini internazionali, per dare attuazione agli obblighi assunti con lo Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale, decidendo però di stralciare, ai fini dell’elaborazione di un ulteriore disegno di legge (che non ha avuto alcuno sviluppo), l’intero settore dei crimini contro l’umanità e il crimine di genocidio.
Già allora Magistratura democratica aveva colto, e posto all’attenzione della comunità dei giuristi (https://www.magistraturademocratica.it/articolo/i-crimini-internazionali-come-questione-prioritaria-e-qualificante), il problema di un evidente disimpegno politico dell’attuale governo sul tema, fondamentale e irrinunciabile, della cooperazione con la Corte penale internazionale per un effettivo contrasto ai core crimes del diritto internazionale penale (crimini di guerra, crimini di aggressione, crimini contro l’umanità e genocidio).
La mancata esecuzione del mandato d’arresto emesso il 18 gennaio 2025 dalla Corte penale internazionale ci pone ora davanti alle conseguenze concrete e inaccettabili di tale disimpegno politico.
Lo Stato italiano ha emanato la legge 20 dicembre 2012, n. 237, con cui si obbliga a cooperare con la Corte penale internazionale, ma è tuttora privo di una legislazione, sostanziale e processuale, che dia concreta e specifica attuazione a tale obbligo (basti pensare all’assenza, nel nostro ordinamento, di uno strumento di deroga al principio generale dell’immunità personale del capo di Stato), il che lascia gravi margini di incertezza operativa sulle procedure da seguire per la consegna degli imputati su mandato d’arresto della Corte penale internazionale.
E’ proprio questa incertezza che avrebbe prodotto l’errore procedurale evidenziato dalla Corte d’Appello di Roma nell’ordinanza del 21 gennaio 2025 con la quale ha disposto la scarcerazione dell’imputato: e cioè il fatto che sia stata utilizzata, per l’arresto, la procedura d’iniziativa della polizia giudiziaria ‒ prevista per la procedura estradizionale ‒ in luogo dei passaggi sequenziali previsti (in attesa di una legge di attuazione più completa e specifica) dalla legge 237 del 2012, i quali prevedono una interlocuzione prodromica, che in questo caso non c’è stata, tra il Ministro della giustizia e la Procura generale presso la Corte d’Appello di Roma.
Non possiamo, oggi, che prendere atto della grave responsabilità politica che il nostro Stato si è assunto nel venire meno all’obbligo di consegna di un imputato raggiunto da un mandato d’arresto della Corte penale internazionale che invece l’Italia aveva l’obbligo di eseguire, e della ricaduta che tale omissione viene ad avere, anche sul piano comunicativo e simbolico, in ordine al valore politico attribuito ai diritti umani e al contrasto dei crimini contro l’umanità.
L'Esecutivo di Magistratura democratica
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