Giustizia civile
Report convegno Anm
di DANIELA GALAZZI
ROMA - Non ce lo siamo ancora detti, ma forse una vera riforma della giustizia la stiamo facendo già.
Ieri, a Roma, si è tenuto l’interessante convegno organizzato dall’A.N.M. “Un processo civile per un Paese moderno”, nel corso del quale ci si è confrontati sullo “stato dell’arte” della giustizia civile italiana e delle prospettive di risoluzione dei problemi che la affliggono: poteva essere il solito decalogo di lamentele ed afflizioni, ed invece è stato altro.
Certo, non è mancata una analisi impietosa della situazione generale ossia dei numeri (spaventosi) delle cause civili pendenti (circa 5 milioni, di cui circa 400.000 in fase di appello); delle scoperture dell’organico del settore amministrativo (pari al 18,9%); del fallimento della gran parte delle riforme legislative che si sono susseguite in questi ultimi anni (ben 17, ricordava Claudio Viazzi); della sostanziale incapacità di utilizzare i fondi europei a nostra disposizione, con un aumento esponenziale delle spese correnti rispetto agli investimenti (e ciò, come ricordava Caudio Castelli, in controtendenza rispetto all’andamento del resto dell’Europa dove invece gli investimenti nell’informatizzazione sono mediamente aumentati del 29%), ma, nel complesso, tutti coloro che hanno preso la parola si sono mostrati cautamente ottimisti nel futuro.
Ottimismo che è giustificato in massima parte dalla capacità di autoriforma della Magistratura: si pensi alla positiva esperienza degli Osservatori della Giustizia Civile, nati dall’intuizione di Carlo Verardi ed ormai diventati una realtà in gran parte degli Uffici Giudiziari italiani, e che sono stati in grado, negli anni, di incidere sul modo di lavorare dei giudici e degli avvocati (ad esempio, elaborando prassi condivise per determinate tipologie di cause, come quelle di famiglia, così aumentando l’efficienza e la rapidità di risposta); all’utilizzo degli stages e dei tirocinii formativi, che hanno soppiantato il mai realizzato Ufficio per il Processo e che iniziano a dare i primi frutti, in termini di aumento di produttività del magistrato che li utilizza; alla massiccia introduzione dell’informatizzazione nel nostro lavoro quotidiano.
Proprio quest’ultimo punto ha costituito il nocciolo del Convegno che si è abbondantemente occupato dell’entrata in vigore del Processo Civile Telematico, una riforma epocale per la giustizia civile, certo, ma anche banco di prova della capacità della magistratura italiana di autoriformarsi.
Vi è stata, sul PCT, una convergenza piena di opinioni che è partita da una unanime convinzione: il PCT deve partire alla data prevista, perché i vantaggi che apporta al nostro lavoro sono molto più “pesanti” delle criticità che ancora presenta, tanto più che, oramai, la sua diffusione sul territorio nazionale è sostanzialmente omogenea.
I vantaggi sono sotto gli occhi di tutti coloro che già se ne servono: tra gli altri, la possibilità di gestire il ruolo in tempo reale; la semplificazione (ma non eliminazione) del lavoro delle Cancellerie; la creazione di banche dati personali; la possibilità, per i Presidenti di Sezione, di calibrare meglio i ruoli tra i vari giudici, potendo anche verificare con tempestività l’esistenza, ad esempio, di situazione di criticità cui porre rimedio.
Vi sono anche innegabili criticità: alcune sono tecniche (ad esempio, in alcuni grandi Uffici, come Napoli, la sistematica interruzione del servizio), altre hanno diversa natura e sono strettamente legate al mutamento nella modalità di svolgimento della nostra attività che consegue all’utilizzo di questo nuovo strumento.
Come ha evidenziato Antonella Ciriello, c’è assoluto bisogno, ad esempio, che l’assistenza tecnica venga estesa anche all’orario pomeridiano (magari, come suggeriva Claudio Castelli, con l’internalizzazione dell’assistenza che consentirebbe anche un notevole risparmio sui costi); che vengano organizzati con un frequenza costante corsi di riqualificazione per i magistrati e per le cancellerie; che vi sia un costante aggiornamento del sistema per adeguarlo agli istituti giuridici (un po’ come quello che avvenne per le ordinanze ex art. 702 bis c.p.c., che inizialmente non erano previste nel SICID); che sia prestata la dovuta attenzione alla gestione dei dati, in sé sensibili.
Molto di quello che occorre ancora fare, quindi, dipende soprattutto da quante risorse economiche verranno destinate a questa innovazione, perché noi Magistrati, per parte nostra, siamo pronti ad impegnarci: questo è stato il forte – e condivisibile – messaggio del Convegno.
(17 maggio 2014)
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Leggi anche: LO SPECIALE, PCT UNA SFIDA DA VINCERE
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